Storia della bicicletta

TUTTA una serie di studi e di trasformazioni ha da poco condotto alla soluzione del problema velocipedistico: – da poco tempo cioè si è riusciti a trovare il veicolo leggero, scorrevole e pratico che noi chiamiamo bicicletta – ma l’idea velocipedistica pare sia vecchia assai; in talune sculture Egizie (nientemeno!) sono rappresentati degli amori alati a cavalcione di un’asta terminata da due ruote.

Dagli Egizi in poi non si trova più traccia della idea dell’autolocomozione per mezzo di ruote, fino al secolo XV della nostra era; – in questo periodo si tentò di far muovere dei pesanti veicoli a mezzo di corde attortigliate agli assi e mosse da pertiche. – Ma poco possiamo sapere intorno a questi tentativi – e anche poco sappiamo di tentativi fatti nel secolo XVI e XVII.
Nelle memorie dell’inglese Enrico Fetherstone è riferito che un missionario percorse un tratto di strada lungo il Gange, da Chinchiamfu a Chequian Hamceu, sovra di un piccolo veicolo che egli muoveva a mezzo di ruote, di sbarre e di traverse. Ma possiamo credere alla veridicità di questa narrazione? Dal Gange all’Inghilterra il racconto ha dovuto fare tanto cammino, che si può facilmente temere abbia lasciato per strada quasi ogni traccia di autenticità.

Intorno a quest’epoca però (secolo XVII) troviamo il primo documento autentico di velocipodismo: è un angelo a cavallo sopra una specie di velocipede di legno, – dipinto su una vetrata nella chiesa di Sant Giles a Stoke Poges (Inghilterra).

Vetrata di Stoke Poges

Nel 1693, Ozanam lesse all’Accademia reale delle Scienze a Parigi, un rapporto nel quale è la descrizione di una vettura, mossa dai piedi di un servo.
E’ da notare come in questa vettura compare già l’idea di applicare la forza motrice dei piedi direttamente all’asse delle ruote, a mezzo di un sistema di leve – la quale idea doveva poi essere abbandonata per più di un secolo essendosi adottato il sistema di premere coi piedi sul suolo per dar alla macchina la spinta in avanti.

Celerifero – 1690

Il celerifero, inventato nel 1690 da un certo signor de Sivrac, consisteva in un’asta di legno terminata da due ruote – con un appoggio sul davanti – ma senza possibilità di direzione – e chi montava questo veicolo, batteva coi piedi in terra e, presa la spinta rannicchiava le gambe e stava in quella posizione finchè poteva mantenersi in equilibrio, e finchè durava l’impulso – poi una nuova battuta di piedi, e da capo.
Con un tal sistema si raggiungeva una qualche velocità su terreno piano o in discesa – ma la più lieve salita bastava perché il cavaliere dovesse scendere, e spingere la sua macchina a mano.
Tuttavia il sistema del sig, Sivrac stabilì la possibilità di muoversi sopra due sole ruote, mantenendosi in equilibrio – e questa in fondo è la condizione essenziale della agilità e della praticità della bicicletta moderna.

Biciclo per Signora (Hobby Horse – 1819)

Alla primitiva asta di legno furono sostituite ben presto delle imitazioni di animali di ogni sorta – ma nessuna modificazione di concetto fu introdotta per più di un secolo, e il celerifero denominato alla rivoluzione velocifero, continuò immutato ad affaticare i velocipédi (cosi si chiamavano allora quelli che si dedicavano allo sport velocipedistico) fino all’anno 1818 – allorchè un certo barone Drais di Sauerbron pensò di rendere mobile la ruota anteriore, e ottenne cosi un velocifero dirigibile – che fu chiamato draisienne: e costruito dapprima in legno, e poi in ferro, rimase in uso fino all’anno 1855.

La trasformazione della draisienne da legno a ferro fu operata dall’inglese Knight, il quale, venuto in Francia nel 1819 e trovata buona l’idea di Drais, la fece sua e approfittando dello sviluppo dell’arte metallurgica in Inghilterra, trasformò la primitiva macchina pesante e sensibile alle variazioni atmosferiche in un meccanismo leggero, scorrevole e resistente.

Triciclo – 1819

Egli lo chiamo hobby horse (cavallo di legno). L’hobby horse, malgrado la persecuzione a cui lo assoggettarono scrittori e caricaturisti, incontrò il favore dell’aristocrazia inglese, ladies and gentlemen – e tutti accorrevano al maneggio Jonson, in Golden Square: – l’hobby-horse diede luogo ad uno sport select sovra ogni altro.
È curioso notare come anche i caricaturisti abbiano giovato al miglioramento del ciclismo, e come colla loro immaginazione, precorrendo i tempi, abbiano forse indicata la via agli inventori venuti di poi.
Diamo qui tutta una serie di caricature inglesi dell’epoca. Da un hobby-horse di famiglia disegnato di pura invenzione dal celebre caricaturista Cruikshank forse derivò l’idea dei tricicli multipli per famiglia; e dall’altra caricatura, colla quale Cruikshank volle eccitare il ridicolo fingendo una scena amorosa in hobby-horse, derivò l’idea del tandem moderno.

Caricatura d’un triciclo primitivo

Durante il regno delle draisienne e dell’hobby-horse furono tentate parecchie nuove invenzioni quali il pedocaedro, grande ruota sul cui asse prolungato si appoggiavano due cavalieri, uno per parte; il facilitator inventato da B. Smith di Liverpool, nel quale compare l’idea della trasmissione della forza per mezzo della catena – ma adoperando la forza delle braccia, anzichè delle gambe; ne abbiamo un’idea nel cavallo meccanico che ancora adoperano i ragazzi.

Ma queste invenzioni non erano più pratiche dell’hobby-horse e fu soltanto nel 1842 che un ragazzo di 13 anni, figlio di un fabbro, Ernesto Michaux, inventò il pedale ed ecco come gliene nacque l’idea e come la effettuò.
Nella bottega del padre, Ernesto Michaux si occupava principalmente ad arrotare i ferri e perciò, quando un giorno portarono in bottega una Draisienne da aggiustare, ebbe l’idea di applicare all’asse della ruota anteriore un pedale del genere di quello che egli era abituato a spingere col piede per mettere in moto la ruota della sua mola. E quand’ebbe, con una sbarra di ferro ripiegato, costruiti ed applicati alla macchina i pedali, riuscì, a forza di costanza e di cadute, ad imparare a mantenersi in equilibrio. Da quel giorno era nato il velocipede. – La nuova macchina ebbe rapido successo, e il padre Michaux, dopo poco tempo, si trovava a capo di una importante officina.
Nel 1867 la costruzione era progredita in modo che alla Esposizione tenutasi in quell’anno a Parigi le macchine Michaux si vendettero a 600 lire.

Ma gli avvenimenti del 70 troncarono questa industria francese che emigrò in Inghilterra e Coventry divenne il principale centro di costruzione di velocipedi. Tuttavia nel 1875, un francese, Truffault, inventò la gomma vuota – e all’esposizione del 1878 era ammirato il grande biciclo Renard, la cui ruota misurava 2 metri di diametro – ogni giro di pedale faceva avanzare la macchina di m. 6,283.

Il biciclo aveva già raggiunto un alto grado di perfezione – non si poteva desiderare di più come leggerezza e come velocità; soltanto lasciava a desiderare molto come sicurezza e stabilità di equilibrio nel biciclista – una caduta da una macchina alta due metri mossa a grande velocità costituiva un serio pericolo – la difficoltà di salire e di scendere rendevano il veicolo non pratico, specialmente in città, – e perciò rimaneva confinato nel campo dello sport, e di quasi nessuna utilità per gli usi della vita.

La bicicletta quale l’abbiamo noi, è dovuta all’applicazione del movimento differenziale con trasmissione a mezzo di catena, introdotta nel 1880 dall’inglese Starley, di Conventry. – La Conventry Tricycle Company presentò nel 1880 la prima bicicletta. Essa riuniva la velocità del grande biciclo colla sicurezza e la dirigibilità della draisienne; il manubrio però non era direttamente applicato sopra la ruota anteriore, ma era posto fra le due ruote.

Tuttavia vediamo che dalla bicicletta di Starley alla nostra non corrono differenze essenziali, ma solamente di forma; e così, mediante successive metamorfosi si è arrivati al telaio attuale, e alla gomma pneumatica, che raggiunge in modo abbastanza soddisfacente lo scopo di eliminare le scosse – quantunque sembri che in questo campo rimangono ancora molti progressi da fare.
Due parole di storia delle gomme. Fino dal 1867 Michaux pose alle ruote della sua macchina la gomma piena.
Nel 1887, come abbiamo veduto, vi si sostituì il caoutchoue vuoto – ma con poco vantaggio. – soltanto nel 1889 comparvero le pneumatiche.

Fu l’irlandese Dunlop, fabbricatore di oggetti di gomma, che, per corrispondere al desiderio di un suo figlio velocipedista, costruì una specie di tubo pneumatico che diede subito risultati soddisfacenti. Con successivi perfezionamenti divenne l’attuale tubo pneumatico. Esso si compone di una camera elastica ad aria messa in comunicazione coll’aria esterna per mezzo di una valvola e di una fasciatura di caoutchouc, foderata di tela, e perciò non dilatabile, destinata a proteggere la camera d’aria.
Non bisogna credere che essa abbia con questa forma raggiunto l’apice dei suoi successivi miglioramenti – molti tentativi si sono fatti e si fanno per renderla più agile, più resistente e più leggera – si introducono ogni anno lievi modificazioni di forma, dettate in parte dal desiderio di renderla più estetica e più comoda, in parte dalla ricerca della moda e della novità.
Per ottenere maggior leggerezza furono ai cerchi di ferro sostituiti dei cerchioni di legno – al freno metallico si va ora sostituendo il freno pneumatico – che, mentre è più leggero, è anche di più rapido e più potente effetto poichè agisce, non sulla ruota anteriore, ma sulla posteriore, la quale sopportando il maggior peso maggiore attrito ha col suolo
Furono provati telai di bambù – e si ottenne con ciò una leggerezza estrema – unita con sufficiente solidità.
Furono poi tentate varie modificazioni del sistema di trasmissione e di moltiplicazione della velocità impressa al pedale – allo scopo di ottenere principalmente una distribuzione costante dello sforzo muscolare – per evitare il cosiddetto strappo – che si verifica ogni volta che entra in azione la spinta di un pedale. – Ultimo di tali tentativi è il movimento Boudard, che è una ingegnosa combinazione della trasmissione a catena e della moltiplicazione ad ingranaggi. – Dicesi che renda appunto meglio distribuiti – gli sforzi – e perciò meno sensibili, specialmente nelle salite.

Le gomme pneumatiche, dapprima a superficie liscia furono ora rese a superficie ondulata a nastri, allo scopo di evitare gli scivolamenti laterali, specialmente nelle svolte, o su terreno umido.
Furono anche rivestite di tela e di cuoio – ma per ora non si conoscono i risultati pratici di tale innovazione.
Sono molti gli usi a cui serve la bicicletta oramai; non solo come mezzo di diletto e di sport – ma anche come aiuto in molte professioni.
Da noi la adoperano in città professionisti, uomini d’affari, commessi di negozio, per il disbrigo dei loro affari; ai medici condotti in pianura riesce utile assai – ed anche sacerdoti tentarono di servirsene nel disimpegno delle loro mansioni; parve però che una tale cavalcatura non fosse adatta alla gravità del loro ufficio.
In altri paesi se ne servono su larga scala fattorini telegrafici, procaccia postali e simili – e in alcune città americane ne sono fornite le guardie di città, gli agenti di polizia, e perfino i pompieri.
Gli eserciti l’hanno introdotta per i servizi di campo, e in Francia, a mo’d’esempio, pare abbia dato ottimi risultati.
Fino dal 1886 la Unione Velocipedistica Francese fu invitata a mettere otto velocipedisti a disposizione del capo del corpo di Armata. I servigi resi da essi come staffette e come esploratori furono tali che il generale, alla fine della manovra disse loro: “Signori – io vi preferisco alla telegrafia ottica fino a 12 kilometri, e alla cavalleria in qualsiasi caso ,,. – Dopo altri esperimenti la bicicletta fu definitivamente introdotta negli eserciti – tutti gli Stati d’Europa e gli Stati Uniti d’America ne sono oggi provvisti per i servizi di staffetta e di esplorazione. – L’Inghilterra ha anche pensato a far loro portare dei piccoli cannoni. – Diamo un facsimile della bicicletta militare armata, quale è adottata in America.
Anche il gentil sesso ha compreso i vantaggi che poteva trarre dalla bicicletta – come sport
utile e divertente, e probabilmente anche come arma di combattimento. Già abbiam veduto come l’hobby-horse incontrasse il favore delle signore della migliore società inglese – ma pare che l’uso dell’hobby-horse rimanesse limitato a piste chiuse – e che il Bois de Boulogne fosse uno dei primi luoghi ove le nuove amazzoni si mostrarono, pochi anni fa, agli occhi del pubblico, in bicicletta e in costumi che sono un che di mezzo fra l’abito muliebre ed il maschile. – Ora tutte le città, si può dire, d’Europa e d’America sono abituate a vedere la donna gareggiare coll’uomo nell’uso del nuovo veicolo.

La bicicletta oltre a rendere facili le comunicazioni ordinarie, come abbiano veduto, ha anche dato incremento notevole alla passione per il tourisme – che è la più naturale e più vera manifestazione dello sport velocipedistico, e perciò è destinato al più sicuro e duraturo successo.
Inoltre ha dato luogo alle gare sportive, su pista e su strada. – Vi sono due sorta di corse: su pista e su strada con o senza allenatori. Le corse su pista di velocità o di resistenza. In una corsa di velocità i corridori seniori o juniori (classificati non per età, ma per precedenti sportivi) partono insieme, e hanno da percorrere generalmente una distanza di pochi chilometri. – Un handicap invece, vuoi in una corsa di resistenza vuoi in una corsa di velocità, è una gara nella quale i corridori di diverso merito, o di diversa classe, sono distribuiti a varie distanze sulla pista, in modo da equiparare le probabilità di vittoria. – Si chiama Scartch quello che, essendo giudicato superiore a tutti, parte dal traguardo.

Le corse di resistenza poi si dividono in gare di tempo e gare di distanza – divisione più formale che reale, dipendente dal considerare piuttosto il tempo minimo impiegato nel percorrere una data distanza – e piuttosto la distanza massima percorsa in un tempo dato.
Si chiama record (dal vecchio francese recordari se resouvenir ,,) una corsa dove si è raggiunto in velocità o in resistenza, un limite massimo non ancora superato.
Quasi tutte le città ora hanno delle piste per corse. Esse consistono di una platea a cui gira attorno la pista, di battuto, di cemento o di legno. Nelle curve la superficie della pista è inclinata verso l’interno, per eliminare gli effetti della forza centrifuga. – All’infuori della pista sono generalmente le tribune, e gli spazi riservati al pubblico.
Da principio le piste erano tutte scoperte – ma ora si sono costruiti (all’estero specialmente) dei grandi velodromi coperti che permettono di dare spettacoli velocipedistici in qualunque stagione dell’anno.
Numerosissime sono le associazioni velocipedistiche; alcune autonome, altre riunite in grandi federazioni nazionali, quali la Union velocipedistique française e l’Unione Velocipedistica Italiana.
Abbiamo esposto brevemente quanto si riferisce alla bicicletta e relative applicazioni nella sua forma tipica di veicolo a due ruote mosse direttamente dalla forza muscolare del velocipedista.
Due parole ora delle sue derivazioni e modificazioni. In primo luogo sono i Tandems – biciclette a due posti – le triciclette, a tre posti e le quadruplette, a quattro.
Una curiosa varietà americana è la bicicletta di famiglia, che serve per un buon papà e per i suoi figliuoli.
Poi la bicicletta a coppia che è la riunione di due biciclette comuni, amezzo di apposite traverse di ferro.

Moltissime sono le varietà di tricicli, di quadricicli e di policicli – ma tendono a scomparire dagli usi pratici – perchè in confronto delle biciclette sono più pesanti, subiscono maggiori attriti – e non permettono di approfittare, sulle strade carrozzabili, degli stretti sentieri e delle brevi striscie di terreno praticabile che bastano per la bicicletta. Il ciclo Hansom è una specie di carrozzella a tre ruote – esposta l’anno scorso a New Jork nella esposizione ciclistica promossa dallo Stanley Klub.
Essa ci riconduce alla idea della vettura di Ozanam.
Furono tentati varii modi di risolvere il problema della traslazione acquatica col pedale e comparvero e scomparvero tipi diversi di biciclette nautiche.
Una di esse, sperimentata l’ anno scorso in Francia – constava di tre grandi ruote vuote all’interno, specie di grandi salvagente metallici riuniti in forma di triciclo, e muniti di pale – in modo che funzionavano insieme da galleggianti e da apparecchi motori.
Più pratico, e usato anche sui nostri laghi è il canotto a pedali di cui diamo il disegno. – In esso il tourista o i touristi stando seduti su delle selle disposte nella parte centrale dell’imbarcazione, mettono in moto colle gambe delle ruote a pala, disposte non sui fianchi come quelle di un piroscafo, ma nella parte mediana dello scafo – che per ciò ha un’apertura o pozzo centrale comunicante coll’acqua.
Curiosa è l’applicazione che, all’estero, hanno fatto del ciclismo le amministrazioni ferroviarie. Una sorta di triciclo, di cui due ruote scorrono sovra una rotaia e la terza ruota sull’altra rotaia, serve agli impiegati per ispezionare le linee – e in Russia lo adopera la polizia per precedere i treni che portano lo Czar.

La più interessante novità ciclistica però è, in questi ultimi anni, la bicicletta motore a benzina esposta l’anno scorso a Parigi dai signori Hildebrand e Wolfmuller. – Essa è messa in moto, non più dalla forza muscolare, ma da un motore a gaz di benzina. – Può raggiungere una velocità massima di 50 km. All’ora – ma tale velocità può esser ridotta fino al passo d’uomo. Consuma un centesimo di combustibile per kilometro, e può contenerne tanto che basti per percorrere 300 km.

Curiosa invenzione americana è poi il Veloroom – specie di macchina con cui uno che voglia muovere le gambe senza cambiar di posto alla propria persona, può stando in casa fermo, esercitarsi in un moto simile a quello del biciclista. Ha da essere un genere di sport ciclistico affatto esente da pericoli – ma temiamo che manchi un po’ troppo di attrattive e di varietà.

Molto si è detto dagli igienisti intorno ai vantaggi e ai danni che può portare all’organismo umano l’uso della bicicletta – ma pare si possa ritenere, come d’ogni esercizio fisico, che esso può riuscire utile quando sia adoperato con la debita misura, e con le precauzioni e le prescrizioni volute. Pare sia dannosa alla respirazione la posizione inclinata in avanti che sogliono tenere specialmente i ciclisti di professione e una tale posizione, tenuta a lungo specialmente da giovani organismi ancora in azione, può dar luogo a difetti di conformazione e di portamento. – Inoltre gli sforzi di resistenza e di velocità, quando siano oltre misura esagerati, possono dar luogo, specialmente in chi non vi sia preparato da un lungo e graduale esercizio, ad inconvenienti e ad accidenti anche gravi. – Ma inteso colla debita misura e precauzione, l’uso della bicicletta costituisce un utilissimo esercizio muscolare: oltre a ciò esercita l’attenzione, e in certo grado abitua alla prontezza di risoluzione davanti alle difficoltà e ai pericoli improvvisi.

I touristi poi hanno nel velocipede un mezzo di mettersi in contatto diretto coll’aperta campagna – e di osservare più davvicino che non lo permetta la vaporiera, gli aspetti e i costumi dei luoghi che attraversano. – Se insieme a queste attrattive della bicicletta si tien conto della utilità pratica di essa in molte professioni e bisogni della vita, si troverà non fuor di luogo la profezia (vicina del resto ad avverarsi) di chi disse che essa è destinata a fare il paio, nella vita moderna, colla macchina a cucire – e noi riteniamo che possa essere utile forse un po’ meno, divertente certo di più.

F.

Tratto da: Emporium: rivista mensile illustrata d’arte, letteratura, science …, Volume 1
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