SANTA ROSALIA

LEGGENDE POPOLARI ITALIANE

Rosalia è un nome intrecciato di rose e di gigli; e Santa Rosalia, nella leggenda, è bella come una rosa, è candida al pari d’un giglio.
Oggi ella va scomparendo, (N.d.R. articolo del 1882) con la sua smorta aureola, nel frettoloso tramonto degli Dei, ed il suo nome vien festeggiato una volta l’anno, in mezzo alla baldoria che la plebe palermitana le consacra.
Ma, nei tempi andati, Santa Rosalia fu consolatrice di miserie e di sventure, fu salutata patrona della città che le diede i natali, fu condotta in trionfo, ebbe templi ed altari. Ed il suo nome corse per le le bocche di tutti; la sua leggenda semplice e breve, si ripetè a traverso i secoli, e rimane ancora come un’eco lontana.
Ella era ricca e d’illustre prosapia. Suo padre Sinibaldo, fu padrone di terre e castella, e abitava alla corte del Re, Rosalia cresceva, fra gli agi e le ricchezze, pensosa e triste.
E venne il giorno che un ricco cavaliere la chiese in isposa, e Rosalia si abbelliva di monili e di trine, per movere all’altare. Ma il diavolo, tutto a un tratto, le apparve; ed ella, atterrita, lacerò le splendide vesti, gittò via le trine e i monili; e s’involò da la reggia. Coperse le membra d’una rozza tunica, e riparò sul monte Pellegrino, dove si dedicò al buon Dio, e visse la vita del romito.

Povera Rosalia, quale sacrificio fu il suo! Giacchè essa era nata alla vita e all’amore, e volle consacrarsi alla salute delle anime. E tutto splendeva intorto a lei, là, nel regio alcassar, dove affluivano i più illustri cavalieri della cristianità, e i trovatori più in voga cantavano i suoi occhi azzurri e le sue chiome d’oro. Essi, i gentili poeti, dai paesi freddi, dai forti manieri di Normandia, dalla patria di casa Hauteville e di Sinibaldo, d’onde i maggiori di Rosalia si eran mossi per la la Sicilia, il paese del sole.
Cotesti ricordi dovevano spesso affannare la povera fanciulla, là, su l’alta vetta del Pellegrino, dov’ella viveva, selvaggia e sola. Ed essa cercav il buon Dio, umido lo sguardo in lacrime, con le palme distese, prostata al suolo.
Lo cercava nell’azzurro infinito del mare e del firmamento, a traverso la fiamma del desiderio che l’ardeva e la consumava. Erano lunghe ore di tormento e d’angoscia, nelle quali il buon Dio fuggiva dall’anima sua sconsolata, e il demonio veniva a contristarla.

Venne la prima volta sotto le forme d’un noto vecchio, servitore fedele di Sinibaldo. — Corri a tuo padre; — egli le disse, — l’alcassar è deserto di te. Il vecchio Sinibaldo s’aggira come forsennato per le stanze ancora profumate della tua persona, e si straccia le chiome, implorando, fra i singhiozzi, il tuo nome. Vieni, vieni a tuo padre.
Per lui il sole non è più vago di luce, quando tramonta dietro le torri della Coalesa. Tu eri unicamente il suo sole e la sua luce. Nè più lo allietano gli spettacoli ed i tornei della Sala Verde, giacché i cavalieri ti cercano invano al suo fianco, per chiederti la grazia di una coccarda. Spesso egli vaga solitario per le rive del Hainnizar, né lo distraggono i canti degli uccelli che fanno a l’amore su gli spalti di Busuemi. Vieni, vieni a tuo padre; l’alcassar è deserto di te. —
Rosalia ascoltava commossa le parole del vecchio servo, e quasi vinta, levò lo sguardo al cielo esclamando: — Dio! Dio! — Dalla fronte del servo uscirono improvvisamente due corna lunghissime, ed egli schizzò fiamme da la bocca e dagli occhi, e sparì.

Passarono alcuni giorni, e Rosalia vide dinanzi a sé un vecchio mercante di Siria, a lei ben noto, giacché tante volte, nell’alcassar di Palermo le aveva vendute le sue ricche mercanzie. Egli spiegò al suo sguardo attonito arazzi e gualdrappe ricamate in oro e striate di gemme, monili di perle, diademi splendidi, di topazi e di rubini. — Figliuola – le disse – io vendo da paesi lontani, ho attraversato il deserto, ho sofferto la sete per te. Nè mi allettarono, lungo il viaggio, i dolcissimi ozi delle oasi, e, tormentato da l’arsura, son corso indarno verso i miraggi della sabbia e del sole, che, mi apparivano da lungi freschissime fontane. Io ti offro le vestimenta trapunte d’oro; io ti offro le bende striate di gemme. Copri le belle membra, perchè abiti vicino al cielo, e fa freddo quassù. Io vengo da paesi lontani, ho attraversato il deserto, ho sofferta la sete per te. —

Il 15 luglio, Palermo celebra le festé solenni della sua santa protettrice, Santa Rosalia. Ecco la leggenda di quella santa, scritta da un giovane palermitano, letterato distinto.

Rosalia pativa il freddo, la là, su l’alta montagna, e voleva stendere la mano; ma, in uno sforzo supremo, gridò: — Dio! Dio! — Da la fronte del vecchio uscirono improvvisamente due corna lunghissime, ed egli schizzò fiamme da la bocca e dagli occhi, e sparì.

Passarono alcuni giorni, e Rosalia, languente d’amore, pregava il buon Dio; ma il buon Dio non le dava ascolto. Ed ecco, tutto a un tratto, ella vide dinanzi a sè un giovane cavaliere, bello e di gentile aspetto. Aveva le pupille azzurre come il mare; aveva le chiome bionde come l’oro. — Madonna, — egli le disse — son già due anni che ho lasciato il castello di mio padre, lontano, nella fosca e freddolosa Alemagna. Io vi sognavo sempre, laggiù, ne le notti serene, sulle sponde del glauco Reno, rischiarato da la luna. E per voi ho valicato monti, ho conquistata la gloria nei tornei. Venite a me, chè vi amo; venite a la mia forte rocca d’Alemagna, d’onde mio padre aguzza ogni giorno lo sguardo verso le Alpi, sperando di veder luccicare al sole il mio morione. Venite con me, o madonna. Noi troveremo il camino della grande sala allegro di fiamme; e il grosso mastino, accovacciato presso gli alti alari, ci correrà incontro a farci festa. Allora accarezzerò le vostre mani rattrappite dal freddo, vi accosterò a l’allegra fiammata e, mentre voi sorriderete a l’incendio, io starò ai vostri piedi, adorandovi. Venite con me, o madonna. —

E Rosalia in lacrime levò lo sguardo in alto, gridando: — Dio! Dio! — Dalla fronte del cavaliere uscirono improvvisamente due corna lunghissime, ed egli schizzò fiamme da la bocca e dagli occhi, e sparì.

Furono queste ed altre infinite tentazioni che ebbe Rosalia, là, sul monte.
Ma essa potè sempre trionfare, e vivere ancora degli anni nel nome di dio.
Poi, quando fu morta, i secoli passarono lunghi e tristi, su le sue bianche ossa. Di Rosalia non si parlava in Palermo. Ma l’alta sapienza di dio seppe evocare da l’antro del Pellegrino il nome della santa vergine.
Nella Conca d’Oro inferiva la pestilenza. Certo, a quel tempo, gli uomini avevano molto peccato, giacché la collera di Dio aggravavasi sopra di essi. Palermo, la città piena di popolo, era immersa nel lutto; per le case e per le vie erano la tristezza e lo squallore; i cimiteri non bastavano a nascondere, nei lor fetidi ventri, i flagellati della morte.

Un giorno, in quel tempo di sventura, un murifabbro trovavasi su la vetta del Pellegrino. Il sonno lo accolse, ed egli cadde assopito a piè d’una roccia. Mentre dormiva, una giovine gli apparve: era bella, vestita di bianco, con la fronte irradiata d’un aureola d’oro. — Io sono Rosalia, — ella disse al dormiente. — Qui presso giacciono le mie ossa. Corri a Palermo, e narra a tutti la lieta novella. Io voglio che vengano a prendere gli avanzi del mio corpo, e li conducano in trionfo per le vie della città; la pestilenza finirà ad un tratto. Tu, intanto, fra tre giorni morrai, e verrai a trovarmi in paradiso, nella gloria degli angeli e dei serafini. — La Santa, detto questo, scomparve.

Il murifabbro destossi, e corse in Palermo a raccontare il suo sogno. Dapprima, egli trovò degli increduli; ma quando disse che, fra tre giorni, per volere della vergine, avrebbe cessato di vivere, si attese fino al giorno indicato, nel quale, di fatto, il murifabbro morì. Allora l’entusiasmo invase gli animi dei palermitani. Si corse al monte, si cercarono e si trovarono le ossa della vergine, che furono condotte in trionfo perle vie principali, sopra uno splendido carro. Il giorno medesimo, la pestilenza finì come per incanto, e la vergine del Pellegrino, fu salutata patrona della città di Palermo.

E questa la leggenda che il popolo va narrando intorno alla Santa Rosalia.

Enrico Onufrio

Rosalia – Può derivare dal nome Rocelin, antico nome francese, o da Rosaria, una ricorrenza dell’antica Roma, il nome secondo la credenza popolare sarebbe composto dal nome Rosa e Lilium.

Alcassar, alcazar — Fortezza, o palazzi circondati da mura.

Murifabbro — Lavoratore edile

Articolo tratto da: L’illustrazione popolare
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Enrico Onufrio (Palermo, 14 novembre 1858 – Erice, 28 settembre 1885) è stato un poeta, scrittore e giornalista italiano. (Wiki)