RE ARTHUR E IL GATTO

Lady Wilde

Restando in tema di gatti, non si può tralasciare la curiosa e interessante leggenda del “combattimento di Re Artù con il grande gatto”, che, pur non essendo propriamente irlandese, è almeno celtica e appartiene per affinità al nostro antico popolo.
È tratta da un romanzo in prosa del XV secolo, intitolato “Merlin; or, The Early Life of King Arthur” (Merlino; o la prima vita di Re Artù), recentemente edito, dall’unico manoscritto di Cambridge, dal signor Wheatly.


Merlino disse al re che il popolo al di là del lago di Losanna desiderava fortemente il suo aiuto, “perché lì si ripara un diavolo che distrugge il paese. È un gatto così grande e brutto che è orribile da guardare”. Una volta, infatti, un pescatore venne al lago con le sue reti e promise di dare a nostro Signore il primo pesce che avesse preso. Era un pesce del valore di trenta scellini; e quando lo vide così bello e grande, disse tra sé e sé: “Dio non avrà questo, ma gli darò sicuramente il prossimo”. Il prossimo era ancora migliore e disse: “Nostro Signore può aspettare ancora un po’, ma il terzo sarà sicuramente suo”. Così gettò la rete, ma ne tirò fuori solo un piccolo gattino, nero come il carbone.
Quando il pescatore lo vide, disse che ne aveva bisogno in casa per i topi e i ratti; lo nutrì e lo tenne in casa sua, finché non strangolò lui, sua moglie e i suoi figli. Allora il gatto fuggì su un’alta montagna e distrusse e uccise tutti quelli che gli capitavano a tiro, diventando grande e terribile da vedere.
Quando il re lo seppe, si preparò e cavalcò fino al Lac de Lausanne, e trovò il paese desolato e senza gente, perché né uomini né donne volevano abitare in quel luogo per paura del gatto.
Il re era alloggiato a un miglio dalla montagna, con Sir Gawvain, Merlino e altri. E si arrampicarono sulla montagna, con Merlino in testa. E quando furono saliti, Merlino disse al re: “Sir, in quella roccia vive il gatto” e gli mostrò una grande grotta, ampia e profonda, nella montagna.
“E come uscirà il gatto? ” Disse il re.
“Questo lo vedrete subito”, disse Merlino; “ma guardatevi, siate pronti a difendervi, perché presto vi assalirà”.
“Allora ritiratevi tutti”, disse il re, “perché dimostrerò il suo potere”.
Quando si ritirarono, Merlino fischiò forte e il gatto balzò fuori dalla caverna, pensando che si trattasse di una bestia selvatica, perché era affamato e a digiuno; corse coraggiosamente verso il re, che era pronto con la sua lancia e pensava di colpirlo in pieno corpo. Ma il demonio afferrò la lancia in bocca e la spezzò in due.
Allora il re sguainò la spada, tenendo davanti a sé anche lo scudo. E mentre il gatto gli balzava alla gola, lo colpì così ferocemente che la creatura cadde a terra; ma presto si rialzò e si avventò sul re con tanta forza che i suoi artigli si conficcarono nella carne attraverso l’usbergo, e il sangue rosso seguì gli artigli.
Ora il  re stava per cadere a terra, ma quando vide il sangue rosso si incollerì e, con la spada nella mano destra e lo scudo al petto, si avventò con forza contro il gatto, che sedeva a leccarsi gli artigli, tutto bagnato di sangue. Ma quando vide il re venire verso di lui, balzò in piedi per afferrarlo per la gola, come prima, e conficcò le zampe anteriori così saldamente nello scudo che vi rimasero; il re lo colpì alle zampe, così da tagliarle fino alle ginocchia, e il gatto cadde a terra.
Allora il re si avventò su di lui con la spada; ma il gatto si alzò sulle zampe posteriori e digrignò i denti, bramando la gola del re, e il re cercò di colpirlo alla testa; ma il gatto tese le zampe posteriori e si avventò sul petto del re, conficcando i denti nella carne, tanto che il sangue colò dal petto e dalla spalla.
Allora il re lo colpì ferocemente sul corpo e il gatto cadde con la testa all’ingiù, ma le zampe rimasero fissate nell’elmo. Il re le fece a pezzi e il gatto cadde a terra, dove emise un ululato e un raglio così forte da essere udito da tutto l’esercito e cominciò a strisciare verso la caverna; ma il re si frappose tra lei e la caverna e, quando lui cercò di afferrarlo con i denti, lo colpì a morte.
Allora Merlino e gli altri corsero da lui e gli chiesero come stava.
“Bene, sia benedetto nostro Signore”, disse il re, “perché ho ucciso questo diavolo; ma, in verità, non ho mai avuto un tale dubbio su di me stesso, nemmeno quando ho ucciso il gigante sulla montagna; perciò ringrazio il Signore”.
(Questo era il grande gigante del Monte San Michele, che per tutta la stagione si nutriva di sette fanciulli fanti tritati in un carretto d’argento bianco, con polvere di spezie preziose e calici pieni di vino del Portogallo).
“Sir”, dissero i baroni, “avete grandi motivi di gratitudine”.
Quindi guardarono le zampe che erano rimasti nello scudo e nell’elmo e dissero: “Non si erano mai visti zampe così!”.
Presero lo scudo e lo mostrarono all’esercito con grande gioia. Così il re lasciò lo scudo con le zampe del gatto; ma le altre zampe le fece mettere in una bara per conservarle.
Da quel giorno la montagna fu chiamata “La montagna del gatto” e il nome non sarà mai cambiato finché il mondo durerà.


Tratto da Google Libri
Ancient Legends, Mystic Charms, and Superstitions of Ireland, Volume 2 – 1887
Di Lady Wilde