Petra

TEMPIO SCAVATO NELLA ROCCIA DI SELAH
NELL’ ARABIA PETREA.

Abbiamo descritto gli avanzi di Tebe, l’antica capitale dell’alto Egitto: descriviamo ora i resti di Selah, l’antica capitale dell’Idumea, ora detta con moderno nome, Arabia Petrea.
Selah é vocabolo ebraico che significa roccia, a cui corrisponde la greca parola di Petra. Questo nome fu dato alla capitale dell’Idumea per avere i suoi abitanti eretto o per dir meglio intagliato le case, i palazzi, i sepolcri, i templi entro le viscere di una montagna.
Geremia, predicendo i divini giudizi entro Edom, esponeva questa memorabile profezia: “lo voglio, diceva, farti piccola fra i pagani e sprezzata fra gli uomini. La tua terribile potenza e l’orgoglio del tuo cuore, ti hanno ingannata, o tu che giaci nelle fessure della roccia e tieni la sommità del colle. Se anche avessi fare il tuo nido alto come quello delle aquile, io ti trarró abbasso di là, dice il Signore – Edom sarà una desolazione: ognuno che vi passerà appresso rimarrà stupefatto”.
E un grande avvenimento teneva dietro alla profezia, mentre leggiamo nel libro secondo dei Re “che Amazia re di Giuda, uccise quelli di Edom nella valle del Sale, nel numero di dieci mila e guerreggiando conquistò Selah”. “Il profeta Isaía esclamava allora nel suo sacro entusiasmo che gli Idumei “– non più potranno gloriarsi della rinomanza del regno e tutti i loro principi cadranno”.
Della superba Selah, or più infatti non restano che la memoria di un gran nome e gli avanzi monumentali che annunziano una potenza coeva ai secoli delle piramidi. Sorgono i suoi avanzi nella cosi detta Ouadi Mousa, o valle di Mosè, non lungi dal monte Aor.
Giaciono in mezzo, o per dir meglio stanno fra un labirinto di roccie erte, acute, tagliate a picco teatri, palagi, templi sepolcrali, tutto è incavato a forza di scarpello entro il vivo sasso; ė Petra, in una parola, una città marmorea.

Il Tempio scavato nella roccia di Selah

Noi porgeremo altra volta la veduta generale delle rovine di questa grande città colla sua illustrazione: ora non daremo che la veduta e la descrizione di uno de’ più singolari suoi monumenti, un tempio tutto scavato nel vivo di una rupe.
Per giungere sino a questo tempio, il cui esteriore prospetto vedesi nell’annessa tavola, é d’uopo penetrare in una gola di montagna, lunga due miglia: le roccie che s’alzano ai due lati a perpendicolo sembrano sfidare il cielo. I capitani inglesi Irby e Mengly che visitarono questo gran tempio, affermano che non v’ha scena al mondo che a questa rassomigli.
Vedere una gran roccia tutta granitica, su cui pare che forza d’uomo non giunga a intaccarne un menomo lembo, vedere spiccare in essa la facciata di un edificio magnifico, tutto scavalo a scarpello nella roccia stessa, è tale opera che annunzia o la mano di un gran popolo, o la mano di Dio. La facciata di questo tempio presenta due ordini, condotti con tutta la splendidezza dello stile romano.
Se ne togli una sola colonna del vestibolo di cui non rimane in piedi che un pezzo di fusto, del resto non vi ha parte di questo tempio che non sia conservata con una mirabile integrità. Esplorato questo monumento in tutte le sue membrature, non una se ne ravvisa che sia stata connessa a cemento: tutto è uscito vergine dallo scarpello come un’opera di creazione. Straricche sono le sue decorazioni interne ed esterne. In mezzo al frontone è scolpita una Vittoria colle ali spiegate.
Tra le decorazioni dell’ordine superiore sonovi statue di quattro donne alate, due delle quali pajono danzare e recano fra le mani musicali strumenti che agitano sul loro capo. Sul frontone s’innalza una specie di tempietto rotondo in mezzo a cui è una statua della quale non si possono distinguere gli attibuti.
Sulla cima di questo tempietto è un vaso di colossali dimensioni, scavato anch’esso nel vivo masso e che gli Arabi hanno un po’ guasto con le palle da moschetto, onde romperlo, crededendo di trovarvi un gran tesoro, chiamandolo essi Hasnah-el-Faraoun, il tesoro di Faraone: su i due mezzi frontoni che precingono ai lati il tempietto sono aquile, di foggia e stile romano.
L’interno di questo tempio non corrisponde alla sua esteriore magnificenza: sonovi molte camere tulle intagliale nella roccia, ma poco vaste e prive di luce.
Ignorano gli eruditi la vera destinazione di questo tempio: dallo stile però che presenta e dall’immagine della Vittoria e delle aquile che lo adornano, credono che possa essere stato costrutto al tempo della conquista di Trajano.
Il conte Leone de Laborde dal cui viaggio nell’ Arabia Petrea abbiamo tratto il disegno che correda questo articolo, dice che se v’ha tempio al mondo che eccitar dovrebbe i sensi della più tetra venerazione sarebbe questo. Le alte roccie che lo contornano e vanno a terminare dalla parte del sud in un’orrida e inaccessibile rupe, diffondono tutto intorno un silenzio, un’orridezza, un’aura di sacro terrore.
Per salire su alcune di queste roccie vennero pure a forza di scarpello intagliate lunghe fughe di scaglioni. La mano dell’uomo non ha rispettato nemmeno il vertice di queste roccie primitive, avendo sovr’esse intagliato alcune piccole piramidi. Si gode da queste una veduta di paese che commuove ed inspira.
Gli avanzi di Petra possono reggere al pari delle rovine di Menfi, di Tebe e di Palmira e forse le superano in questo che non sono erette sul suolo, ma scavate nel granito: si possono insomma dire opere monumentali che restano, come medaglie, impresse nella natura.

Articolo tratto da: Cosmorama pittorico
Digitalizzato in Google Libri