NOTTE DI NATALE

Nini e Pierino, dopo aver riposti i loro poveri strumenti nella fodera scolorita e stracciata, s’erano presi per mano, avevano detto ancora un grazie fioco, non inteso certo in quell’allegro vociare del grande caffè, e se n’erano venuti via. Appena fuori, s’erano guardati un momento come per interrogarsi. Dove andare?
Un soffio gelato di tramontana li fece tremare da capo a piedi sotto i loro cenci leggeri; la fanciulla passò un braccio attorno al collo del fratello, si strinse a lui, e, chinando la testa sulla sua spalla disse:
«Ho fame! Ho tanta fame!» Disse piagnucolando.
Egli, più alto, più forte l’aveva stretta a sé, cercando ripararle il freddo e far tacere quella sua mesta voce che gli straziava il cuore.
Anch’egli aveva fame, ma non ci pensava; per lei sola avrebbe voluto trovar del pane.
Quella sera avevano guadagnato pochi soldi; nessuno badava a loro, nessuno degnava d’un po’ di attenzione la loro flebile musica, cosi triste che pareva il lamento del loro cuore. Tre, quattro e poi cinque soldi nel piattino, e più nulla; e da molte ore non avevan mangiato!
Ma cinque soldi sarebbero bastati; erano cinque pagnotte di pane ch’essi avrebbero mangiato in meno d’un amen.
Ma dove trovarne a quell’ora? Le strade erano scure, i negozi chiusi: era già notte fatta.
Pierino si stringeva la testa fra le mani come per ispremerne un’idea; intanto i due fratelli girandolavano per le lunghe vie, come guidati da una speranza. Forse avrebbero trovato. Ad ogni bottega di panattiere si fermavano; appressavano l’orecchio alle imposte chiuse, bussavano timidamente. Chissa! Forse qualcuno li avrebbe uditi, ed essi avrebbero avuto del pane coi soldi che stringevano nelle manine intirizzite.
Ad un tratto il cuore balzò loro nel petto, rianimato da un’improvvisa speranza. Laggiù, in fondo alla via usciva uno sprazzo di luce da una finestra rasento terra: un’odore solleticante si spandeva per l’aria. Corsero alla finestra, si chinarono carponi a terra, e avvicinarono il viso all’inferriata, spingendo dentro lo sguardo avido.
Dei garzoni si affacendavano nello stanzone; alcuni impastavano nella grande madia facendo rumore in cadenza e come soffocato; altri colle faccie arrossate davanti alla gran bocca del forno ritiravano colle pale delle ciambelle colorite e profumate.
I due fratelli si rizzarono in piedi scorati; quella vista, invece di rallegrarli, li aveva delusi. Con cinque ciambelle avrebbero potuto chetare la loro fame?
Nini si mise a pianger forte; Pierino, disperato, si chinò giù ancora: cinque ciambelle tutte per lei le avrebbero fatto pazientar lo stomaco fino al domani, e poi… quei giovani avrebbero forse sentito, pietà per loro. Chiamò, nessuno rispose: nello stanzone basso si rideva, si cantava: e la sua vocina non era in tesa. Diede pugni sopra una lastra di latta che copriva per metà l’inferriata; nessuno se ne accorse ancora. Allora prese un piccolo ciottolo nella via, mirò il tavolato e lo gettò su di esso.
Subito gli occhi dei garzoni si rivolsero alla finestra; delle voci irose si alzarono: «Malnati! Vagabondi! barabba! ah! se vi prendiamo!»
Spaventati da quelle ingiurie, Nini e Pierino fuggirono tenendosi sempre per mano; attraversarono di corsa strade conosciute; finchè ansanti si fermarono nel mezzo d’una gran piazza dove era radunata molta gente.
Si guardarono dietro, non erano inseguiti e si rassicurarono.
Intanto un suono insolito ed allegro partiva da tutte le campane della città, animando l’aria bruna della notte, e facendo come un lieto accompagnamento al vociare gaio della folla.
La bianca facciata di una chiesa apparì all’improvviso anche più bianca al subito raggio di luna sprigionatosi dalle nubi dense; la gran porta si aprì e tutti si precipitarono dentro.
– «Perché ?» Chiese Nini.
– «È Natale, rispose Pierino, è una gran festa!»
– «Natale ? ah! sì, mi ricordo; è la notte in cui un Bambino bello e buono viene a portar tanti tanti regali agli altri bambini. Oh! ci portasse del pane!»
– «Andiamo anche noi a pregarlo,» disse Pierino.
– «Si, sì, andiamo; là dentro deve far caldo.». Ed entrarono. Un dolce tepore invase le loro membra intirizzite; il bagliore dei ceri, il profumo dell’incenso, il suono dell’organo fecero loro dimenticare il freddo, la fame e la stanchezza.
Incoraggiati, si spinsero avanti, fino all’altare dove un bimbo di cera posava sul muschio, circondato da lumini azzurri come stelle; si accoccolarono poi in un angolo di una gradinata, mormorando: «Gesù, aiutaci o facci morire!»
E quando mai Gesù fu sordo alle voci degli innocenti?
Mentre per le immense navate morivano le dolci armonie festeggianti la lieta nascita, e ad uno ad uno si spegnevano i lumi, e la chiesa ripiomba va nell’oscurità e nel silenzio, Nini e Pierino trovavano protezione ed amore nel seno di Dio.

Da: L’ISTRUTTORE – Giornale della società d’istruzione e di educazione dedicato ai…

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