L’inverno ai bei tempi di prima

I nostri inverni al giorno d’oggi, sono inverni da burla. Prima, mi rammento bene, cadeva la neve e il gelo erano gli emblemi del dicembre. Allora una sola notte di neve faceva sparire vie e strade; ci voleva una pala

per aprire un sentiero fra la porta e l’altra; allora il vento ammonticchiava negli angoli quei bei cumoli di neve di cui la superficie era di un azzurro pallido all’ombra, e scintillava come diamanti al sole. Allora si sentiva narrare di viaggiatori stanchi, assiderati, smarriti nelle lande sinistre, di viaggiatori che morivano di fame in mezzo alla neve che nascondeva loro il sentiero: si sentiva narrare di altri soccorsi sulle montagne dai cani intelligenti, mentre la neve turbinava, e qui vecchi racconti doventati leggendarii, erano ascoltati a bocca aperta dai bambini, mentre fuori si udiva il mugolio del vento.

Allora i monelli facevano a palle di neve e con la neve facevano fantocci, mostri, costruivano fortezze; allora gli stagni e i ruscelli gelavano da cima a fondo e permettevano ai ragazzi di fare stupendi sdruccioloni.
Allora le vacche stavano nella stalla, le pecore si nutrivano di seccume; i contadini tenevano al caldo tutte le creature di Dio. Essi stessi, imbacuccati fino agli occhi, andavano nel bosco a cercare i ceppi per la veglia, e il fuoco, alimentato con cura, crepitava nell’immenso camino; il canto del fuoco era cosi caldo, che appena uno si sedeva sulla panca affumicata, era preso dalla cascaggine e si addormentava.
Allora il fuso girava e girava e il suo rumore faceva pensare a un mondo di cose, perché a quei tempi i lenzuoli, le tovaglie, gli asciugamani erano fatti col lino filato dalla buona massaia e tessuto dalle sue mani.
Dal tetto carico di neve pendevano i ghiaccioli, come tanti pugnali messi in fila, alcuni lunghi, altri corti e si scioglievano al sole per riformarsi la notte mentre le stelle scintillavano in cielo.
Allora i vetri erano coperti di lucentissimi fiori bianchi a rame capricciose; l’acqua gelava nel brocchetto e nella catinella; le mani scoppiavano, il naso era rosso, e la gente tremava di freddo nei grandi letti, che scomparivano nelle camere alte e vaste.

Gli uccelli affamati si addomesticavano e venivano sulla finestra a beccare le briciole di pane chiedendo alloggio e cibo, e in campagna si vedevano spesso giacere intirizziti sulla neve.
Ora l’inverno c’è sempre, ma non lo allietano più le veglie nel canto del fuoco, attorno al ceppo leggendario, le care veglie in cui il vecchio nonno conquistava il cuore dei nipotini con dei racconti uditi da bambino, che stabilivano una continuità di memorie, di impressioni e di affetti fra i vecchi e i piccini.
Ora i bambini leggono, mentre fuori imperversa la neve e mugola il vento, e presto dimenticano quel che hanno letto, mentre la voce del nonno e i suoi racconti echeggiavano lungamente nel cuore dei nipotini, anche quando imperversava intorno alle loro teste la bufera della vita.

Lo zio di Maria

Tratto da: Giornale per i bambini.
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