LA PIAZZA S. MARCO e le isole della laguna

Piazza San Marco – 1867

…Dapprima vi presentiamo la celebre piazza S. Marco, cortile degno di tutti i palazzi che la circondano. Essa presenta tal varietà di stili che dovrebbe bastare a convincere gli architetti moderni che il loro sistema d’assoluta regolarità pregiudica l’arte.
Qui non un fianco formato ad angolo retto, non due monumenti che si rassomiglino, e nondimeno questa piazza è fra le più belle e maestose del mondo. Qui s’alza la torre dell’orologio che interrompe le Procuratie vecchie, e ne diversifica essenzialmente e per istile e per età; di fianco, la piccola corte dei leoni rompe affatto quest’angolo della piazza: succede la cattedrale la cui architettura bisantina coll’ammirabile varietà delle sue guglie, delle sue colonne, de’suoi capitelli e massimamente dei suoi colori, trasporta l’immaginazione in un mondo affatto diverso. Tutti gli antichi templi della Grecia e dell’Asia ne hanno somministrati i materiali mescolati insieme con vivo sentimento dell’arte.
Ai piedi del campanile, come nano accosto a un gigante, s’appoggia la Loggetta, piccolo tempio del Risorgimento, di marmo rosso e di bronzo, di forme eleganti e squisite, vero gioiello, messo là più presto a rendere immagine d’un prezioso ornamento, che l’effetto d’un monumento. Nel mezzo, a diritta, a manca, erette a capriccio, vedi colonne, pilastri di marmo e di bronzo, gruppi di porfido e simulacri che accrescono la mirabile impressione prodotta da questa città che sembra un museo.
Il tempio di San Marco è un meraviglioso complesso formato di tesori dell’arte presi in ogni sua epoca. Le colonne di porfido asiatico e di marmo africano di tutti i colori, di tutte le forme e di tutte le dimensioni che adornano la facciata, vi richiamano al pensiero le conquiste di Costantinopoli, d’Efeso, d’Atene e di Sidone. Non è questa la pagina più eloquente dell’istoria Veneziana, e al tempo stesso dell’istoria veneziana, e al tempo stesso dell’istoria d’una delle più potenti civiltà che sieno mai state? Imperocchè Ninive, Babilonia, tutta la Grecia, Roma, Bisanzio, l’Egitto, la Persia, e finalmente l’era cristiana son qui venute a convegno.
Allorquando il doge Pietro Orseolo concepì il disegno della Basilica, radunò i più abili artefici dell’Oriente: ogni vascello della flotta che percorreva il Mediterraneo ebbe ordine di recare la sua pietra al sacro edificio che dovea superare in magnificenza Santa Sofia di Costantinopoli. Ed ecco, chi strappava dai templi di Corinto, di Sparta e di Rodi le colonne, i capitelli, i marmi preziosi; chi gli avorii e i mosaici, e chi i pergami, le lampade, le arche, gli utensili e gli ornamenti d’ogni maniera.
Non conquista della Repubblica, non alleanza da lei patuita, non trattato da lei sottoscritto, dove si dimenticasse la metropoli.
Venezia nel suo esteso commercio nell’Oriente, permutava verso le sue mercanzie tutti gli oggetti d’arte non apprezzati dalle nuove culture, ma di cui i suoi artisti sapevan ben essi valutare il pregio. Così l’Oriente pagò a Venezia il suo tributo volontario o forzoso. Annoverare tante ricchezze, significherebbe contare i marmi, i mosaici, le colonne ed i fregi, significherebbe scrivere la stessa storia di Venezia.
L’esterno aspetto co’suoi archi smaltati posti l’uno sull’altro, le sue guglie a traforo, i dentelli di marmo, le curve moresche, le colonne d’ogni colore, le cupole sfavillanti, compie il lusso architettonico di questo pittoresco edificio, nel quale la filosofia dell’istoria e dell’arte è si bene scolpita da poterne leggere correntemente i responsi.
Oggi la piazza S. Marco ha un pregio in più: vi sventola la bandiera tricolore.

LE ISOLE DELLA LAGUNA – 1867

…Dobbiamo spendere alcune parole sulle isole, e ci gioveremo perciò della descrizione di un viaggiatore straniero.
“Un bel mattino del mese d’aprile mi partii dalla piazzetta in gondola scoperta diretto al monastero degli Armeni. La laguna, calma e lucente come terso acciaio, abbagliava; il cielo era triste o, a dir meglio, malinconico. Sdraiato sui cuscini della barca procedea dolcemente, senz’altre scosse dall’oscillazione in fuori che comunica al legno ogni colpo di remo. Ammiravo i profondi silenzi della natura nelle ore in cui essa riposa. Solo da lontano qualche canto di pescatore portato dal vento, interrompeva tanta quiete di mare e di cielo.
Cosi sognando obliavo il tempo che passa, quando m’apparvero le mura rossiccie di San Lazzaro uscenti dall’acque. Da lontano il recinto del convento coi suoi grandi pergolati di viti e il campanile costrutto nello stile orientale dei minareti, stando nella laguna pareva un rifugio, una oasi nel deserto.
Appunto in quel momento la gondola voltava il fianco di fianco, dell’isola dei pazzi (San Servolo) lasciando a diritta l’isola di San Giorgio Maggiore. Appiè delle mura sotto alle fenestre con inferriate, dietro alle quali s’agitano gl’infelici ospiti di quest’asilo, una voce mi chiamò chiedendomi pane e libertà.
Essere libero, è ancora il desiderio supremo di povere anime che han perduta la facoltà di dirigersi.
La postura dell’ospitale di San Servolo è mirabilmente acconcia all’uso a cui serve; si direbbe che i disgraziati che vi sono rinchiusi debbano ancora conservare là dentro un po’ di luce nella notte della loro intelligenza.
L’aria, il sole, lo spazio, la pura aura del mare, Venezia di fronte, il sole d’Italia e una veduta senza confini!

Atterriamo a San Lazzaro. Il primo cenno che la storia faccia di quest’isola risale soltanto al secolo XII. I cronisti ci narrano che Oberto abate di sant’Ilarione la lasciò a Leone Paolini uomo di grande virtù. Nel 1182 la Repubblica la acquistò dal Paolini, e di quest’isoletta, fino allora deserta, fece un asilo pei lebbrosi che venivano dall’Oriente. Da qui il suo nome. Più tardo, cessata la lebbra, l’isola fu di nuovo abbandonata.Cinque secoli dopo, nel 1718, arrivarono a Venezia dodici monaci armeni che fuggivano dal Peloponneso e invaso dai Turchi. Il loro capo si chiamava Mechitare (Consolatore). Da loro uscì l’ordine religioso detto dei Mechitaristi o degli Armeni; e l’isola stessa di S. Lazzaro prese questo nome, avendola la Repubblica ceduta in perpetuo a quell’ordine. Pare che il Regno d’Italia rispetterà questo dono, che ha il merito non solo dell’antichità, ma anche del modo liberale e utile alla civiltà con cui fu adoperato sempre da que’ bravi monaci. Lo scopo morale e politico che essi avean di mira, era la rigenerazione del popolo da armeno; perciò apersero nel seno della Comunità una scuola ed una stamperia.
Chiamarono dall’Oriente giovani compatrioti cui iniziarono nelle scienze, gli informarono del proprio patriottismo, e poi li mandarono dovunque, strumenti d’una feconda ed utile propaganda. Dalle loro officine escono ancor oggi per essere diffuse in Armenia opere classiche, giornali, riviste, scritti non solamente italiani od armeni, ma francesi, turchi, arabi, ebrei, siriaci e persiani.
Il monastero non fu terminato 1740, vivente ancora Mechitare di Sebasto, come dichiara una iscrizione in armeno e in latino posta in sull’entrata della cappella. Nel 1749 il virtuoso capo e fondatore di codesta Comunità consacrata alla Vergine, favolosa spirò nell’età di settantaquattr’anni. Il suo corpo riposa appiè dell’altar maggiore.
Ora i padri Mechitaristi di San Lazzaro in numero di circa sessanta son diretti da un vescovo in partibus loro abate generale, nominato dall’Ordine e confermato dal papa. Ha sette assistenti, un secretario e un vicario. I padri dividono il loro tempo fra le cure dell’educazione, i lavori scientifici e tipografici, e gli affari del convento. I frutti dei lori torchi servono a coprire le spese necessarie al proprio sostentamento, e di venticinque a trenta allievi istruiti in qualità di novizii o seminaristi.
Entrando in queste mura pacifiche e solitarie si attraversa un cortile adorno di archi, dove crescono i più bei fiori del mondo. Larghe scale fan capo a puliti corritoi forati da numerose finestre da cui si scopre una stupenda veduta; e ti senti tentato mutare la vita errante e avventurosa del viaggiatore nella pace di questo ritiro, lontano dagli oragani di cui può vedere e udire l’agitazione, senza perder per nulla la serenità e la letizia dell’anima.
La biblioteca che visitiamo per la prima si divide in due parti: la sala occidentale, la più grande, è quasi un museo. Oltre agli scaffali che contengono libri di scienza e di letteratura, partono, fra cui ve n’ha di rarissimi, si trova un papiro birmano in carattere pali perfettamente conservato; un frammento di pietra del Sinai dove sono sculpiti caratteri samaritani e una mummia d’Egitto donata al convento dall’ armeno Bogohosbey. È avvolta da capo a piedi in una rete di perle colorite che forse hanno tremila anni, eppure si direbbero uscite dalla fabbrica di Murano.
A Venezia con piccoli grani di vetro s’intrecciano reticelle e ciarpe per forma e colore perfettamente simili a questo. Venezia, incaricandosi di trasportare in Europa le mercanzie dell’Asia, s’impossessò dei secreti e delle industrie della civiltà orientale, ed oggi è dessa che somministra codesti oggetti ai paesi che gli hanno inventati.
Nella biblioteca si trovano raccolti mille e cinquecento manoscritti armeni, la più parte inediti, e molti di sommo pregio. Fra gli altri faremo menzione un Evangelo che appartiene a una regina d’Armenia chiamata Melké, il quale non conta meno di venti secoli; d’una favolosa istoria d’Alessandro Magno, manoscritto armeno del secolo XIII, adorno di curiose miniature; dei quattro evangeli, in-folio preziosissimo per le miniature che contiene e per la antichità, come quello che fu scritto nel settimo secolo; della cronaca d’Eusebio, e sovrattuto d’una bella Bibbia Armena in-quarto scritta e miniata fra il secolo XI e il XII ad uso d’un re d’Armenia.
Niente può darci idea della squisita armonia dei colori, e degli incomparabili tocchi di codeste miniature che mostrano a qual perfezione fosse arrivata l’arte calligrafica nell’Oriente. Nessun artista europeo, nemmeno allora che i maggiori pittori vi si consacrano, ha saputo mai trattare l’ornato in così fatta guisa.
Nei disegni che l’adornano si vede chiaramente lo stile assiro, e nulla riesce più originale di quei caratteri armeni composti di tigri, di volpi, di cani, di gatti, d’uccelli e di pesci, si trovano nelle linee a lettere maiuscole con cui comincia ogni capitolo. Genere di scrittura ornamentale da imitata nel medio evo.
All’uscire dalla biblioteca si entra nelle scuole divise in tre classi, e piace il vedere in tre diverse età della vita, quelle fisonomie orientali sì intelligenti e sì belle.
A pian terra si trova la stamperia, vasta officina sempre in moto; di colà, partono, per essere divulgate in tutti i paesi dell’Asia, dell’India e dell’Africa le traduzioni dei più notevoli libri greci, latini, italiani, tedeschi, francesi, inglesi e orientali.
Ci vorrebbe altro a enumerare tanti importanti lavori; rammentiamo soltanto un curioso volume che contiene una preghiera tradotta in ventiquattro lingue, rarità bibliografica di cui i forestieri fanno l’acquisto in memoria della loro visita al monastero.
Attraversando il cortile s’ arriva alla cappella, assai semplice. Le loro cerimonie religiose formano uno spettacolo interessantissimo per chi non conosce l’Oriente. Per esempio il giorno dell’Assunta è una delle feste dalle quali meglio appare la pompa armena, poichè i Mechitaristi son principalmente consacrati a Maria, come lo dinota la loro divisa a “Figli adottivi della Vergine, dottori della penitenza”.
ln tal giorno l’arcivescovo i diaconi ed i leviti sono vestiti del loro più splendido manto, e celebrano l’ufficio divino con canti, profumi e processioni.
Le ricche stoffe che indossano sono coperte di magnifici ricami di fine perle, di gemme, d’oro, d’argento, di sete d’ogni colore che figurano in rilievo fiori e frutta di tutta vaghezza, quali le sole donne armene son capaci di eseguire; antica industria di cui troviamo le tracce sino in Omero.
I Mechitaristi han conservato con ardore il rito armeno e lo celebrano nella lingua nazionale. Benchè in sostanza la loro messa corrisponda alla latina, l’ordine delle preghiere è diverso. Durante l’ufficio il bianco fumo del belzuino separa interamente il coro e il sacerdote dal resto della chiesa e avvolge come in una nube il celebrante coperto del pallio e della antica tiara.
A certi punti del sacrificio, una cortina vela il santuario e nasconde i sacri misteri. Alcuni fanciulli cantano un coro pieno di carattere e d’originalità. Quando l’orecchio vi abituato, questa malinconica musica finisce col piacere e porta il pensiero verso l’ Oriente, quel paese dove la poesia non è una finzione come nei nostri rigidi climi.
Prima di lasciar questi luoghi, non convien dimenticare di visitare il giardino adorno di pergolati che coprono quest’isola feconda, d’un purpureo baldacchino di grappoli. In luogo ombreggiato da begli olivi, ha un’ammirabile veduta.

L’orizzonte chiuso dalla catena dell’Alpi coperte di neve, circonda un vasto bacino azzurro dove nuotano alcune isolette: San Pietro, Sant’Elena, poi più a sinistra i giardini pubblici e sul davanti Venezia coi suoi campanili, le guglie e i rosei palazzi.
Dall’Isola di San Lazzaro voghiamo verso il Lido, isola troppo cantata dai moderni poeti. Questa lingua di terra dove cresce qua e là qualche albero, non ha altra importanza da quella infuori d’essere la diga naturale dell’arcipelago veneziano.
Per molti secoli i Veneziani vennero sul Lido a esercitarsi nel tirare a segno. Lord Byron avea di questa deserta spiaggia fatto il suo ippodromo. Quivi aveva le sue scuderie, e nelle sue corse sfrenate in riva al mare ebbero vita Beppo e l’Ode a Venezia.
Per vedere il mare in tutta la sua pompa bisogna venire in questo luogo, quando il sole si tuffa nell’inde che sembrano fremere sotto il suo bacio infiammato. Nelle caldi notti di luglio si viene a cercarvi un po’ di frescura nuotando fino in alto mare.
Veduta di notte da quest’isola, com’è bella Venezia coi lumi de’ suoi palazzi e delle sue gondole, colle fantastiche linee de’ suoi edifici, che nereggiano spiccando maravigliosamente nel cielo luminoso!
Dopo il lido approdiamo all’isola di San Michele, un tempo dimora di alcuni uomini celebri. E’ il campo santo di Venezia.
Non lontano da San Michele è Murano, e tuttochè l’arte de’ vetri sia lontana dall’antica perfezione, si può ancora seguire con interesse il processo seguire con interesse il processo di questa elegante industria.
A Murano succede Torcello, una delle isole più interessanti dell’arcipelago veneziano.
L’archeologo vi farà studi importanti. Il duomo è un de’ più curiosi capolavori dell’arte bizantina dei primi tempi. Ma fu tante volte descritta quest’isola, che qui basterà l’averne fatta menzione.

Tratto da L’universo illustrato giornale per tutti
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