La gita a Venezia

Ci si avvicina alla regina dell’Adriatico, a questa Venezia tanto decantata, ed è naturale che, siamo tutti agli sportelli, spiando il momento di vedere il mare, facendo in tal modo il nostro vagone simile ad una stia piena di pollastri affamati.
Mestre. Una fermata eterna, almeno tale parve a noi; un giornalaio, sberciando, ci offre il Sor Tonin Bonagrazia che tutti compriamo.
Poco dopo la stazione di Mestre si incontra il famoso forte della Malghera, strenuamente difeso dai veneziani nel 1849, e subito dopo incomincia il gran ponte della Laguna, in pietra, lungo quasi quattro chilometri.
È curioso vedere la faccia di coloro che non erano mai stati al mare, esprimere la delusione prodotta dalla vista di quell’acqua sporca, che lasciava vedere la melmetta gialla del fondo; qualcosa di comico di cui noi, partigiani del mare, ci siamo vendicati or ora al Lido vedendo le loro bocche spalancate dalla meraviglia.
Man mano che il treno si avanza i campanili e le cupole di Venezia, cominciano a discernersi in mezzo al grigio del cielo, mettendoci in orgasmo.
Alla stazione troviamo un amico. Si prende il vaporetto, il tramway di Venezia, e si fa un pezzetto di Canal Grande per andare all’albergo dei Buonivecchiati.
La prima cosa da visitare è piazza San Marco. Perciò si incomincia a girare per calli e callette, talune talmente strette da non poterci passare coll’ombrello aperto. E questa la bella Venezia? Ci si domanda brontolando, messi in malumore dalla pioggia, e dalla seconda delusione provata, quella cioè di camminare, mentre molti anelavano a Venezia per poter andare sempre in barca.
Ma quando, passando per un sottoportico, insieme ad altri, si sbucò in piazza San Marco, tutto finì; non si sentiva più pioggia, nè stanchezza.

Basilica di San Marco

E una meraviglia! Per quanto si voglia descrivere questa piazza, per quanto ci si immagini di vedere una cosa bella, è impossibile immaginarla tal quale ella è. Una piazza enorme, che rassomiglia ad una sala, zeppa di monumenti stupendi; ha in fondo la basilica di S. Marco, frastagliata, ricamata nel marmo, come dice Cossa, col campanile altissimo, quadrato, che si erge un po’ avanti a sinistra; ai lati le Procuratie; le nuove a destra colla torre dell’orologio, le vecchie a sinistra; di fronte a San Marco il palazzo reale.

La piazza è lunga 176 metri e larga 82 verso la chiesa e 56 dal lato opposto.
Le Procuratie vecchie sono erette sopra disegno di Pietro Lombardo, meno il piano superiore a la merlatura che sono del bergamasco Mastro Buono; le nuove sono opera del Sansovino, meno un pezzo che fu fatto dallo Scamozzi e il palazzo reale opera del Sansovino.
In fondo alle Procuratie nuove vi è la torre dell’orologio di Pietro Lombardo, con orologio del Rinaldi ed i due mori popolari in bronzo, che battono le ore.
Innanzi alla chiesa tre pennoni con bellissimi piedestalli di bronzo di Alessandro Leopardo (1500), su cui si inalberavano, ai tempi della Serenissima, i vessilli di Cipro, Candia e Morea.

Il campanile del (1000), alto 100 metri circa, a cui si accede per 34 rampate, è isolato; il piano superiore e la piramide sono di Bartolomeo Buono. Galileo vi pose il suo primo telescopio. Sotto il campanile è la loggetta (1500), opera del Sansovino, adorna di belle statue e di magnifici cancelli del 1700.

Ed ora passiamo alla Basilica (1000), magnifico monumento bizantino, imitazione, nella massa, di Santa Sofia di Costantinopoli. Si entra in chiesa per cinque porte in bronzo, sormontate da cinque lunette di mosaico, rappresentanti il trasporto del corpo di San Marco. Sopra la porta maggiore vi sono i famosi quattro cavalli di bronzo del greco Lisippo, cavalli che Napoleone, al solito suo, aveva portato via, ma che dovette più tardi restituire. La chiesa è coperta di cinque grandi cupole di piombo sormontate da croci bizantine dorate.
L’interno è tutto in mosaico, dal pavimento al soffitto; entrando si resta abbagliati dall’oro messo a profusione dappertutto e dai marmi d’ogni colore che adornano le pareti. L’atrio è adorno di mosaici del XII secolo molto grossolani, che rappresentano fasti del vecchio testamento. Sulla porta maggiore, delle tre che conducono nella vera chiesa, fra le quali una appartenne al tempio di S. Sofia, S. Marco, dei fratelli Zuccato su cartoni del Tiziano.
Appena entrati, si vede la cappella del battistero, col mausoleo di Andrea Dandolo. In essa vi è una pietra dove fu deposto il capo di S. Giovanni Battista ed una seconda, immensa, del monte Tabor, su cui (parla sempre la tradizione) sarebbesi seduto Gesu Gristo per predicare.
La cappella di S. Giovanni, comunica con quella Zeno, dove altare, colonne, statua della Madonna detta dalle scarpe d’oro, sarcofago al cardinale Zeno, sono tutti in bronzo, opera dei fratelli Lombardi.
La sagrestia è il luogo dove esistono i più bei mosaici della chiesa e dove si possono vedere degli intarsi in legno di Vincenzo da Verona. La porta è del Sansovino, in bronzo, con ritratti dell’autore, del Tiziano, del Veronese e dell’Aretino.
Il coro ha dei bellissimi scanni intagliati dello Schiavone (1500) e sopra di essi dei bassorilievi in bronzo del Sansovino stesso.
L’altar maggiore è sormontato da un baldacchino di verde antico, sostenuto da quattro magnifiche colonne di marmo greco, istoriate di bassorilievi. Sopra l’altare si dovrebbe vedere la famosa pala d’oro, se non costasse troppo farla scoprire, ma si può sempre ammirare un fac-simile per avere una idea della magnifica miniatura.
Dietro l’altare vi è un baldacchino di bronzo sostenuto da quattro colonne di alabastro trasparente, che provengono (?) dal tempio di Salomone.
Per voler osservare minutamente questo tempio ci vorrebbe per lo meno una giornata, ma basta l’impressione che si prova sotto quelle dorate cupole bizantine per non dimenticarlo mai più.

Usciti di lì, si va in piazzetta.

Altro magnifico spettacolo: la Laguna, solcata da mille barche e vaporini, piena di vita e di luce. Sulla piazzetta è il palazzo Ducale a sinistra, la biblioteca di S. Marco a destra, di fronte le due colonne e la laguna con lo sfondo dell’isola di S. Giorgio e di dietro una facciata laterale di San Marco, sul quale vi è un altarino, davanti a cui, alla sera, si accendono due lampioncini per ricordare il povero Fornaretto.
Innanzi a questa facciata vi sono due colonne quadrate trasportate dalla chiesa di S. Saba in Tolemaide.

La biblioteca è il capolavoro del Sansovino e dello Scamozzi: le due colonne furono trasportate da Terra Santa (1177); su di una si vede il leone e sull’altra S. Teodoro. Fra quelle due colonne innalzavasi il patibolo.

In ogni angolo di Venezia si vedono di questi monumenti che la Repubblica aveva preso ai paesi conquistati per adornare la città, e che dicono in pagine di marmo la grandezza di essa.

La riva degli Schiavoni si stende al di là del ponte della Paglia, il primo ponte in pietra costrutto a Venezia, da cui si può vedere il ponte dei Sospiri, che unisce il palazzo Ducale alle prigioni, di Antonio Da Ponte.
Essa è la seconda passeggiata veneziana, dove sorge il monumento a Vittorio Emanuele, del Ferrari. Qualche cosa d’impressionante, massimamente per le due figure allegoriche del piedestallo: una Venezia libera, che serenamente altera mostra con un gesto largo la laguna all’ ammiratore; l’altra Venezia schiava, curva sotto il peso d’un vessillo infranto, colla faccia corrugata e spirante odio, mentre il leone, che sta ai piedi, si morde con rabbia la catena; è un gruppo che parla e che, guardandoio, pare sia lì lì per muoversi e raddrizzarzi di scatto, tanto è appariscente la tensione dei nervi.

Siamo poi andati alla chiesa di S. Zaccaria, con facciata di stile gotico e rinascimento, fusi insieme, e una statua del santo, di Alessandro Vittoria (1600). Nell’interno quadri dei due Palma, del Tintoretto ed uno bellissimo di Giovanni Bellini, il caposcuola veneto, maestro di Tiziano e di Giorgione, rappresentante una Madonna adorata da santi. Ammirevole è pure un sarcofago a Marco Sanudo, del Leopardi.

Camminando sempre di buon passo per quelle calli, facendo affacciare al nostro passaggio molte comari curiose e fermandoci qualcuno fingendo di prenderne lo schizzo, fingendo, perchè tra questi qualcuno vi ero io pure, refrattario per eccellenza all’arti belle, si arriva a San Zanipolo, o, meglio, ai santi Giovanni e Paolo.

Sul campo di questa chiesa si innalza, su basamento di eleganza ideale del Leopardi, il monumento a Bartolomeo Colleoni, opera del Verocchio, accennante colla mano a Bergamo sua patria: è un monumento che da solo farebbe la fama del Verrocchio e che l’Inghilterra avrebbe voluto copiare se gliene avessero dato il permesso.

Bartolomeo Colleoni

La chiesa di S. Zanipolo, fondata nel 1200, in istile gotico con finestre elegantissime, è una specie di Panteon dei Dogi. Vi è: il bellissimo monumento sepolcrale gotico del doge Michele Morosini, di ignoto artefice, oltre a molti altri di tutta la famiglia dei Lombardi, che conta un buon numero di artisti, e quadri del Lotto, del Carpaccio, dello Schioppo, del Vivarini, ecc.

San Giovanni e Paolo

Sullo stesso campo è la scuola di S. Marco, anch’essa dei Lombardi (1485), con degli originali bassorilievi in prospettiva. Nell’interno una sala con magnifico soffitto conduce all’ospedale. Dopo aver visitato queste tre chiese, siamo andati all’arsenale, cominciato nel 1304 da Andrea Pisano.
Sulla porta quattro leoni in scala fanno la guardia. In questo arsenale famoso, cantato anche da Dante e dove sono impiegati più di 16000 operai chiamati arsenalotti, abbiamo visitato il museo, nel quale sono moltissimi modelli in legno che formano una storia della marina o una raccolta di armi antiche di tutte le specie.
Si conservano colà gli avanzi del Bucintoro, tutto decorato di rosso ed oro, lo stendardo ed i fanali presi ai turchi nella battaglia di Lepanto.
Dopo aver visto i bacini di carenaggio, siamo andati a riposarci ai giardini pubblici.
Tornati dalla parte opposta sulla riva degli Schiavoni, dove è un monumento dedicato ai soldati italiani che ricorda una inondazione, abbiamo preso il vaporino e siamo venuti al Lido, dalla cui terrazza vi scrivo.
Per la laguna, ad indicare la via da percorrere, sono piantati un gran numero di pali aggruppati a otto o dieci e che un mio buon amico, il buffone della compagnia, chiama i mazzi di asparagi di Enrico Dandolo.
Qui è uno spettacolo incantevole. L’ampia distesa del mare, del mare vero, che viene a frangersi spumeggiando ai nostri piedi.
Qualche bagnante si azzarda ad entrare nell’acqua, ma sono tutte tedesche, i cui mariti o parenti, sulla terrazza, cogli orologi alla mano, stanno contando i minuti che deve durare il bagno.
Non si verrebbe più via, se non si avesse fame, e perciò torniamo sulla laguna per prendere il vaporino.
Senonchè due gondolieri ci offrono di portarci in piazza in gondola se diamo loro in cambio i nostri biglietti di ritorno: è una speculazione curiosa che noi accettiamo perchè ci offre il destro di cambiare imbarcazione.

Arrivati in piazza S. Marco, andiamo a pranzo all’Amico Frit, uno dei siti più eleganti e più di lusso di Venezia.

Ore 0.50 È quasi l’una, ma non voglio andare a letto senza prima avervi raccontato la nostra occupazione di questa sera.
Finito il pranzo, non volendo andare a chiuderci in un teatro come qualcuno aveva progettato, si scende sulla riva degli Schiavoni per prendere delle barche e andar in Canalazzo.
Ecco una delle magagne di Venezia: l’importunità dei gondolieri, che, appena ci vedono, ci saltano addosso come se ci volessero sbranare offrendoci le barche, litigandosi fra loro, e rendendoci ridicoli ai buoni veneziani che passeggiano e che ci guardano ridendo.
Addio, la bella passeggiata è andata in fumo; il nostro professore, annoiato, torna indietro, o si andrà a letto cosi a bocca asciutta.
Questi furono i primi pensieri che ci vennero in testa, mentre in cuor nostro maledivamo i gondolieri; ma quel buon uomo, buono come il pane, ci conduce a San Moisè, uno dei soliti campi con la chiesa omonima cosi barocca, da non potersi immaginare, e là si prendono due gondole e via in Canalazzo.
Che bellezza ! Che poesia!
Una notte serena, lucente; le gondole che riflettono sul mare i loro lanternini; quei palazzi magnifici che al lume della luna lasciano vedere le loro bifore frastagliate, mentre lontano una orchestra di violini accompagna le serenate dei barcaioli.
Che magnificenza!
Il nostro gondoliere, spiritoso ed arguto come un barcaiuolo da romanzo, ci porta vicino alla barca illuminata dei suonatori e, profittando di un intermezzo, grida al tenorino: Cio, Nane, canta la Lucia, ma cantela ben, che ghe xè foresti! E di fatti, di li a poco, le note della Santa Lucia si innalzano lunghe e melodiose, tanto da farci restare muti ad ascoltare; è tutto dire!
Gli applausi furono spontanei ed il barcaiuolo ne gongolava.
Sentimmo ancora cantare la serenata d’Arlecchino dei Pagliacci e la siciliana della Cavalleria; poi via per il Canal Grande.
Come sono curiosi questi gondolieri che, incrociandosi, si scagliano impertinenze e sarcasmi e poi si allontanano ridendo! E come rispondono a tono quando qualcuno vuol far dello spirito con loro! Hanno però una gentilezza squisita, virtù di tutti i veneti, per i forestieri, e sono larghi di indicazioni e di avvertimenti.
Consiglio a tutti di passare la prima notte del loro viaggio di nozze sul Canalazzo anzichè chiudersi in queste stanzette d’albergo.
Buona notte!

Tratto da: Geografia per tutti rivista quindicinale per la diffusione delle cognizioni… -1894
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