La festa di S. Valentino

La festa di S. Valentino è molto osservabile in Inghilterra. La gioventù l’aspetta ogni anno coll’impazienza più viva: il giorno è quello in cui il caso dispone in certa guisa della sua felicità. Ecco in qual modo. I giovani d’ambo i sessi hanno imparato da un’antica tradizione, della cui autenticità molto si guarderebbero dal dubitare, che nel giorno appunto di S. Valentino tutti gli uccelli si scelgono una compagna: essi ne ricavano la conseguenza ben naturale che far ne debbono essi altrettanto.
Essi, per ciò fare, tengono il seguente metodo. Uno scrive i nomi dei pastorelli e delle pastorelle su pezzetti di carta che piega ben bene, poi li getta confusamente in un’urna. Dopo di averli bene scossi e voltolati, le ragazze da una parte e i giovanotti dall’altra, estraggono, ciascuno alla sua volta, il nome di colui e di colei che il cielo, ha lor destinato. L’amante, uomo, eletto in tal forma, si chiama Valentino, e l’amante, donna, vien chiamata Valentina.
Autorità incontestabili ci provano che questa costumanza già esisteva sin dall’anno 1476 nelle più nobili famiglie dell’Inghilterra. Giovanni Lydgate, monaco di Bury, ne parla in un poema in lode della regina Catterina, moglie di Enrico V. – Tomo IX.

La sua autorità non è da ricusarsi, poichè Lydgate era il poeta non solo del suo convento, ma di tutta l’Inghilterra; trattavasi di una mascherata di orafi, di un ballo allegorico innanzi al re, e di giuochi di maggio per gli aldermani di Londra? si ricorreva a Lydgate per consiglio.
Altri han scorso la leggenda di S. Valentino, ma nulla ha trovato nella sua vita che abbia potuto ragionevolmente dar origine a questo costume. Vi è detto bensì che S. Valentino era un uomo d’ingegno, che si segnalava pel suo amore e per la sua carità; ma non son questi motivi sufficienti per aver condotto l’uso di scegliere de’ Valentini nel giorno della sua festa. Niente c’ha di più ridicolo. Tutti i santi si segnalarono pel loro amore e per la loro carità, e certamente non si vuol qui prendere il vocabolo amore in significato profano.

Pochi sono gli scrittori inglesi che non abbiano parlato ella festa di S. Valentino. Gay ha descritto poeticamente le cerimonie campestri, praticate in simile circostanza. Egli fa dire ad una fanciulla: La vigilia della festa di S. Valentino, giorno in cui gli uccelli cercano, gorgheggiando, le dolci loro compagne, mi sono alzata allo spuntar del giorno, prima che il sole avesse posto in fuga le stelle: sono andata ne’campi, in mezzo alla rugiada del mattino: l’ho veduto pel primo; e il primo pastore che ho veduto sarà, a malgrado della sorte, il mio Valentino? Risulterebbe quasi dalla confessione di questa fanciulla che gli estratti della festa di S. Valentino non andavano sempre a genio di tutte le donne.

Una signora illustre fa allusione anch’ella, in una sua lettera, a questo singolare costume, dicendo: “lo non voglio affidare alla sorte la scelta del mio Valentino, ma pretendo bensì di scegliermelo da me stessa. Il che non toglie che la festa di S. Valentino non sia stata assai celebre, e Carlo, duca d’ Orleans, padre di Luigi XII, quando era prigioniero in Inghilterra, compose diversi poemi in suo onore.
A quell’epoca, le fanciulle inglesi si estraevano pure una specie di oroscopo molto bizzarro.
La vigilia della festa di S. Valentino dice uva di queste superstiziose creaturine, ho preso cinque foglie d’ellera, ne ho attaccato quattro ai quattro canti del mio origliere, ho posto la quinta in mezzo. Si trattava poi di sognare il mio amante, ebbi questa buona fortuna; diveniva allor cosa certa che noi, prima del fin dell’anno, saremmo stati marito e moglie.
Contuttoció per essere più sicura del fatto mio ho preso un uovo duro, ne ho cavato il giallo per mettervi del sale in sua vece, e quando mi son posta a letto, ho mangiato ogni cosa, anche il guscio, senza proferir sillaba e senza bere; ho scritto altresì il nome del mio innamorato su piccoli brani di carta che ho rotolati, avvolti nell’argilla e tuffati nell’acqua. Il primo di questi numeri che fosse comparso sulla superficie dell’acqua dovea indicarmi il mio Valentino: Mr. Boston fu quegli. Immediatamente sono tornata a letto, ed ho tenuto per tutta la mattina chiusi gli occhi, insino a che egli è venuto, poichè a nessun patto non avrei voluto vedere un altro uomo prima di lui.
E finalmente Misson, ne’ suoi viaggi in Inghilterra, cosi si esprime: Nella vigilia del 14 febbraio, giorno di S. Valentino, e tempo in cui tutta la natura cerca di avvicinarsi, i giovani d’ambo i sessi in Inghilterra ed in Iscozia, seguendo una costumanza antichissima, celebrano una festa che tende a questo scopo. Un numero pari di garzoni e di donzelle si uniscono; ciascuno e ciascuna scrive il vero suo nome o un nome finto su vigliettini separati; essi voltolano questi vigliettini e i giovanetti prendono quei delle giovanette, e a viceversa, in modo che ogni damigello incontra una damigella ch’egli chiama la sua Valentina. In questo modo ognuno ha un doppio Valentino o una doppia Valentina.
Ma il Valentino si innamora più della Valentina che gli è toccata, che di quella cui è toccato.
La sorte avendo in tal guisa distinto la brigata in altrettante coppie, i Valentini danno balli e fanno regali, essi portano per più giorni sul cuore o sul braccio i vigliettini delle loro Valentine, e ben di spesso questi passatempi e trastulli sono l’origine di calde passioni. Questa cerimonia si pratica con norme differenti, secondo le province e specialmente secondo la maggiore o minor severità delle signore Valentine. Si dà parimente il nome di Valentino o di Valentina al primo garzone o alla prima zitella che il caso fa incontrare o per la strada o altrove nel giorno di questa festa.

Tratto da: Lo Spettatore, Volume 8 a cura di Davide Bertolotti


SAN VALENTINO, PRETE E MARTIRE.

Era già così splendida la virtù di san Valentino prete, ed era così grande nella città di Roma la sua riputazione, che giunse a conoscenza dell’imperatore Claudio II, il quale lo fece arrestare, e dopo averlo tenuto due giorni in prigione, lo fece condurre dinanzi al suo tribunale per interrogarlo. Dissegli in sulle prime con un tuono di voce abbastanza obbligante: «Perchè, Valentino, non vuoi tu godere della nostra amicizia, e perchè vuoi essere amico dei nostri nemici?» — «Ma signore, generosamente gli rispose Valentino, se conosceste il dono di Dio, sareste felice voi ed il vostro impero altresì; rigettereste il culto che rendete agli spiriti immondi ed ai loro idoli cui adorate, e sapreste non esservi se non un solo Dio, il quale creò il cielo e la terra, e che Gesù Cristo è il suo unico Figliuolo.»
Prendendo la parola uno dei giudici, dimandò al Martire ciò che pensasse degli Dei Giove e Mercurio. « Che furono dei miserabili, rispose Valentino, e passarono tutta la loro vita nelle voluttà ed i piaceri corporei. » A questo, colui il quale avevalo interrogato, gridò che Valentino aveva bestemmiato contro gli Dei e contro il governatore della repubblica. Intanto il Martire conversava con l’imperatore, il quale l’ascoltava volentieri, e sembrava aver voglia di farsi istruire della vera religione; esortavalo il Santo a far penitenza pel sangue dei cristiani che aveva sparso, dicendogli di credere in Gesù Cristo e di farsi battezzare, poichè sarebbe questo un mezzo di salvarsi, d’accrescere il suo impero e d’ottenere grandi vittorie contro i propri nemici. Cominciando di già a persuadersi, l’imperatore disse a coloro che lo circondavano: «Ascoltate la santa dottrina che c’insegna quest’uomo.» Ma bentosto il prefetto della città, a nome Calpurnio, esclamò: «Vedete come egli seduce il nostro principe! Abbandoneremo noi la religione insegnataci dai nostri padri?».

Claudio, temendo siffatte parole non eccitassero nella città qualche torbido o qualche sedizione, abbandonò il Martire al prefetto, il quale lo mise allora per allora nelle mani del giudice Asterio, per essere esaminato e punito come un sacrilego. Questi fece prima condurre il prigioniero in casa sua. Quando vi entrò Valentino, levò il cuore al cielo, e pregò Iddio che si compiacesse illuminare quelli che camminavano nelle tenebre del gentilesimo, facendo loro conoscere Gesù Cristo, la vera luce del mondo. Asterio, il quale udiva tutto, disse a Valentino: «Io ammiro molto la tua prudenza; ma come puoi tu dire che Gesù Cristo è la vera luce?» — «Non è solamente la vera luce, rispose Valentino, ma l’unica luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo». «Se così è, soggiunse Valentino, ne farò bentosto la prova: io ho qui una figliuoletta adottiva la quale è cieca da due anni; se tu puoi  guarirla e renderle la vista, io crederò che Gesù Cristo è la luce ed è Dio, e farò tutto quello che vorrai.» Fu adunque la giovinetta condotta al Martire, il quale, mettendole la mano sugli occhi fece questa preghiera: «0 Signor Gesù Cristo, il quale siete la vera luce, illuminate la vostra serva. » A tali parole, tosto ella ricevette la vista, ed Asterio e la moglie, gettandosi ai piedi del loro benefattore, lo supplicarono, poichè avevano ottenuto mercè il suo favore la conoscenza di Gesù Cristo, di dir loro quel che dovessero fare per salvarsi.
Il Santo comandò loro di rompere tutti gl’idoli che avevano, di digiunare tre giorni, di perdonare a tutti coloro i quali li aveano offesi, e, finalmente, di farsi battezzare, assicurando loro che per tal mezzo sarebbero salvi. Asterio fece tutto quanto Valentino avevagli comandato, liberò i cristiani che teneva prigionieri, e fu battezzato con tutta la famiglia, la quale componevasi di quarantasei persone.
Avvertito l’imperatore di questo cambiamento, temette qualche sedizione in Roma, e, per ragioni di Stato, fece prendere Asterio e tutti coloro i quali erano stati battezzati; quindi, con varie specie di tormenti li fece mettere a morte. Riguardo a Valentino, padre e maestro di quegli avventurati figliuoli e discepoli, dopo essere stato lungo tempo in una stretta prigione, fu battuto e rotto con nodosi bastoni; finalmente, l’anno 270, il giorno 14 febbraio, fu decapitato sulla via Flaminia, dove, in seguito, sua morte, il sommo pontefice Teodosio dedicò una chiesa in onore di questo gran Santo.
Il suo corpo fu seppellito presso la porta Flaminia, che nel tratto successivo fu dal suo nome chiamata la porta di san Valentino, oggi del Popolo. Secondo l’opinione di alcuni, il papa Giulio I fece edificare sulla tomba del nostro Santo una chiesa ed un monastero; dal che sembra doversene inferire che il suo culto fosse stato affatto pubblico in Roma, anche prima del quarto secolo. Nulladimeno il suo nome non si trova nell’antico calendario romano, redatto ai tempi del papa Liberio, successore di Giulio, ma solamente in quelli compilati dopo il tempo di san Gregorio.
Essendo stata distrutta, nei diversi insulti cui la città di Roma soffrì dai barbari, la detta chiesa di san Valentino, la riedificò di nuovo il sommo pontefice Teodoro, verso l’anno 615, e parecchi dei suoi successori ebbero cura di adornarla cd arricchirla. Divenne essa molto celebre per la frequentazione dei fedeli, e sovrattutto per la scelta fattasene per ricevere le processioni delle grandi Litanie chiamate ordinariamente di san Marco. Portò anzi assai lunga pezza il titolo di abbazia. Ma è talmente rovinata oggidì, da scoprirsene a stento le antiche vestigia.
Assicurasi che il corpo di san Valentino ne fosse stato tolto per essere trasportato in città e posto nella chiesa di santa Prassede, dove fu sempre conservato, ad eccezione della testa ch’erane già stata separata prima, e deposta nella chiesa di san Sebastiano, nel rione medesimo della via Flaminia; e la detta chiesa portò, pel tal motivo, insieme a quello di san Sebastiano, il nome di san Valentino.

da: Fiore dei Bollandisti, ovvero Vite dei santi tratte dai …, Volume 2