La casa di Maria Santissima

UNA oscura contadina analfabeta della Vesfalia, Anna Caterina Emmerich, già reclusa tra le Agostiniane del convento di Agnatenberg a Dülmen, morta d’inanizione nel 1824, possedeva sin dalla infanzia la facoltà di una specie d’autoipnotismo, nel quale stato fruiva, attraverso il tempo e lo spazio, di straordinarie visioni di carattere sacro. Fu in virtù di simile facoltà soprannaturale ch’essa, senza muoversi dal paese nativo e dal recinto del suo monastero, percorse, per così dire, i luoghi di Palestina, pe’ quali si svolse la divina tragedia della Redenzione, e li descrisse quasi esattamente così nella giacitura, come nelle proporzioni e nelle distanze.

Le rivelazioni di lei, che, per essere illetterata, non potevano altrimenti venir consegnate allo scritto, furono oralmente raccolte da Clemente Brentano, poeta della scuola romantica morto il 28 luglio 1842, il quale le pubblicò col titolo “ I crudeli dolori del N. S. Gesù Cristo secondo le meditazioni della beata A. Caterina Emmerich „ (Salzbach, 1833).

In un capitolo, che fa seguito a codesto libro e parimenti dettato dalla estatica al Brentano, essa descrisse stanza per stanza la casa che S. Giovanni evangelista avrebbe fatto costruire espressamente per Maria, madre di Gesù, nei dintorni di Efeso, dov’egli era vescovo e dove avrebbe condotto colei che, dalla croce, era stata commessa alle sue cure dal divino martire del mondo giudaico, dopo la catastrofe del Calvario.

A mille novecento anni di distanza, le rovine della casa indicata dalla mistica, furono ricercate e rinvenute, dopo tanti secoli di abbandono e di silenzio, ne’ selvaggi dintorni di Bulbul Dag, noti soltanto alle volpi e ai serpenti, e riconosciute, salvo lievi differenze, rispondenti in tutto alle indicazioni di lei.

La scoperta levò a rumore tutto il mondo cristiano. La persuasione stessa di un diretto intervento celeste nelle visioni della Emmerich fece, da principio, ritenere per positivo che la Panaghia Capuli (Casa della Santissima) esistente ne’ pressi di Efeso, si dovesse ritenere come l’abitazione, nella quale si ritirò e visse la Vergine, dopo la crocifissione del suo divino figliuolo.

Ma sorsero gravi dubbi, pel contrasto evidente tra una simile scoperta e quanto risulta dalla tradizione e dalle antichissime scritture sacre.

Intorno a tali dubbi, un dotto, specialmente versato in quanto concerne la storia e la topografia dei luoghi santi, prendendo occasione di due articoli sull’argomento apparsi nei fasc. del 15 luglio e 10 agosto 1897 dell’importante rivista parigina la Revue des Revues (dalla quale prendiamo anche il maggior numero di queste illustrazioni), ci ha fornito il seguente studio, che siamo lieti d’offrire ai nostri lettori.

Una tradizione, raccolta dal Venerabile Beda (De locis Sanctis, capo 11), vorrebbe che la Vergine, dopo l’ascensione di N. S., abbia preso stanza con S. Giovanni evangelista sul Sion, nelle vicinanze del cenacolo e della casa di Caifa. Uno spazio, oramai ingombro di poche ed insignificanti rovine, è designato dalle Guide (v. Isambert, Syrie et Palestine, 1882, pag. 324, ecc.) Come il sito della casa dell’Apostolo prediletto. A poca distanza da questo luogo poi, sulla strada, che mette alla vicina Porta di Sion “Bab en-Nebi Daud” si addita una colonna, monumento commemorativo di un fatto strepitoso, che avrebbe turbato le meste cerimonie dei funerali della Vergine. Sempre secondo la tradizione, mentre dal monte Sion si portava la venerata salma al Gethsemani per darle onorata sepoltura, alcuni Ebrei, volendo con sacrilego ardimento arrecarle insulto, furono colpiti da cecità, mentre il più sfrontato n’ebbe paralizzato il braccio temerario, che avea steso sul feretro.

Che la Vergine poi abbia passato i suoi ultimi anni a Gerusalemme può sembrare ancor più provato, quando si badi al sepolcro di lei, che mostrasi nella valle di Giosafath.

A chi dalla Porta orientale “Bab Sitti Mariam” discende verso il luogo tradizionale del Giardino del Gethsemani, nella immediata vicinanza della Grotta dell’Agonia, si presenta una Chiesa, che, abbastanza ben conservata, può dare un’idea dell’architettura adottata dai primi crociati. Succeduta ad un’altra più antica, menzionata da Antonino Martire (570), da Arculfo (670), da S. Giovanni Damasceno (+ 754) e da vari pellegrini, e distrutta dai Persiani (614), daterebbe dal principio del secolo XII (v. de Vogüe, Les églises de la Terre S., 1860, pagine 305-313).
Varcata la soglia, s’affaccia una larga scala, lungo la quale, da una parte e dall’altra, sorgono alcuni mausolei. Quello a sinistra porta n’ebbe il nome di sepolcro di S. Giuseppe, mentre i due a destra sono conosciuti sotto i nomi di sepolcri di S. Gioachino e di S. Anna.
Come il primo non designa certo il luogo di sepoltura del santo Patriarca, cosi neppure gli altri due indicano la tomba dei genitori della Vergine. Questa tomba, come l’ha dimostrato valentemente il P. Leone Cré dei PP. Bianchi, Direttore del Seminario Greco Melchita di Gerusalemme, (v. “ Revue Biblique ,, 1893, pag. 245 segg.), si deve invece cercare nella cripta della antica basilica di S. Anna.

La Chiesa propriamente detta, a cui si di scende per 47 gradini, e che è a m. 10,80 sotto il livello dell’atrio, è lunga 29 metri e larga 6 ed ha forma di croce latina. Nel braccio più lungo, verso oriente, si eleva una edicola, in mezzo alla quale, tutto incrostato di marmi, si vede scavato il sepolcro, dal quale, secondo la persuasione della Chiesa, il corpo della Vergine, rianimato, venne assunto al cielo, poco tempo dizioni dopo che vi era stato seppellito.

La tradizione relativa a questo sepolcro non è certamente antica, come si desidererebbe; ma, quando si rifletta che lo stesso sepolcro di N. S. fu scoperto solamente nel IV secolo, non ci meraviglieremo, se i primi scrittori della Palestina, non facciano esplicita menzione della tomba di Maria. Lo stesso S. Girolamo, che descrive, se non tutte, molte delle località sacre, non ne fa alcuna menzione, qualora almeno, come è comunemente ammesso, il discorso sopra l’Assunzione, diretto a Paola e ad Eustocchio (S. Girol. Opera. Ediz. Vallarsi, vol. II, col. 92 segg.), non a lui, ma ad altri, debba essere attribuito.
Più tardi però tanto nella letteratura apocrifa, la quale peraltro ci può fornire una buona testimonianza per conoscere le idee, che’ correvano ai tempi, in cui si venne formulando (sec. IV e segg.); quanto nelle opere di Giovanni Damasceno, di Andrea di Creta (+ 680), di S. Germano (+ 740) troviamo frequenti allusioni al sepolcro di Maria a Gerusalemme.
Anzi da un frammento della storia di Eutimio, riportato dal Damasceno, risulterebbe che Giovenale, Patriarca di Gerusalemme, che potea essere al corrente delle tradizioni di Efeso, per essere stato uno dei Padri di quel Concilio, nel 451 avrebbe dichiarato apertamente all’imperatrice Pulcheria, che una antica, e veridica tradizione conservava il ricordo della sepoltura di Maria a Gethsemani (cfr. D.r M. I. Nirschl, Das Grab der heiligen Jungfrau Maria, Magonza 1896, pagg. 47-118).
Contro questa sentenza però, che si direbbe comune, ve n’ha un’altra, propugnata dal Tilemont, la quale, in mancanza di testimonianze esplicite dell’antica tradizione, si appoggia sopra il fatto che in Efeso esisteva una Chiesa dedicata a Maria fin dal tempo della convocazione del III Concilio ecumenico (431), e sopra un testo abbastanza oscuro della lettera del Concilio stesso al clero e al popolo di Costantinopoli.
In questa si legge: “Nestorio, che ha rinnovato l’empia eresia, essendo venuto nella città degli Efesini, ove Giovanni il Teologo e la Vergine Madre di Dio, Santa Maria, si separò dall’assemblea dei Santi padri e vescovi…” (v. Mansi, Coll. Concil. t. IV, coll. 1124, 1252, 1241). Si vede bene che la frase interessante manca di verbo, e che, se alcuni vi poterono sostituire il verbo furono o vennero sepolti, i sostenitori della opinione contraria poterono eguale diritto sostituirvi la frase erano onorati.

Senonchè recentemente quelli, che voleano rivendicare ad Efeso la gloria di aver ospitato la Vergine negli ultimi anni di sua vita mortale, ottennero un insperato soccorso.
Lasciamo che ne parli il signor Boyer d’Augen, autore di un recente articolo comparso nei due ultimi numeri della Revues de Revues.
“Un antico allievo del Politecnico, dapprima indifferente e quasi scettico, ma poi guadagnato alla causa e alla propaganda delle opere di Carità di S. Vincenzo de’ Paoli, ebbe casualmente tre le mani la Vita della B. Vergine Maria di A. C. Emmerich. Poco ben disposto sul principio verso l’estatica di Dülmen, col procedere della lettura sentì accrescersi verso di lei la stima e per controllare la verità delle sue notizie, da Smirne, ove dimorava, partì alla volta di Efeso, dove, sempre dietro la scorta delle rivelazioni della oscura religiosa Agostiniana, giunse a trovare (1891), non lungi dalla città, nei selvaggi recessi di Bulbul Dag, noti oramai alle sole volpi ed ai serpenti, la casa descritta dalla Emmerich.
Riguardo a questa scoperta, senza essere scettici come uno di quelli che il signor Boyer d’Agen (Revue des Revues, pag. 236) cita in suo favore, e che, fondato pure su buone ragioni, crede di poter affermare che: “quanto vi ha di apprezzabile nella recente scoperta è stata la buona fortuna del turco, che, in seguito all’intromissione interessata di un cristiano, vendette ad una religiosa entusiastica e leale per 35000 franchi una rovina insignificante, (Le Camus, Les sept Églises de l’Apocalypse, 1896, pag. 135), non ce la sentiamo neppure di condividere l’entusiasmo dei Lazaristi in genere e dell’articolista in ispecie, nè di sottoscrivere ad un periodo di questa natura“.
I secoli passano, i popoli camminano dieci crociate si incalzano verso l’oriente, i Villehardonin, i Villamont, i Cotovici, i Bertrandon, i Broquière, i Michäelis, mille altri faranno infinite ricerche e descriveranno l’Àsia Minore e la Palestina in cerca di monumenti o delle tracce dei tempi Apostolici; un Ernesto Renan verrà più tardi per chiedere alle sette diaconie dell’Apocalipsi una favilla del settemplice candelabro, alla quale accendere la sua gloria di esegeta: e in vece un Lazarista raccoglierà sull’incerta sua via il più puro gioiello della corona e della tradizione cristiana. Anzi più che questo viaggiatore sarà la dimenticata reclusa di un villaggio tedesco, dal quale la semplice contadina non era mai uscita (Revue des Revues, pag. 118).

Per venire ad una qualche pratica conclusione ci sembra utile mettere in sodo ciò che dee ritenersi delle rivelazioni della Emmerich e della rovina di “Panaghia Capuli”, dove si crede aver trovato la casa della Vergine vista nelle sue visioni dalla estatica ?
Intorno alla prima parte della questione ci sarebbe da fare un intiero trattato di mistica, a cui nè voglio, nè posso accingermi. Chiunque crede al soprannaturale deve ammettere la possibilità di queste illustrazioni superiori, le quali permettono all’anima di concepire le cose indipendentemente dai limiti di tempo e di luogo.
Ma altro è che si possano dare, ed altro che tutte quelle, che vengono sotto il nome di rivelazioni, sieno veramente tali. Ancorachè si debba escludere in certi casi ogni volontà deliberata di ingannare come sembra doversi fare nel nostro caso —, l’estatica può cadere essa medesima in inganno, o intorno al fenomeno reale o imaginario, che le si presenta, o almeno intorno al giudizio, che vien formulando circa lo stesso fenomeno; e può accadere che, influendo in essa, contemporaneamente a certe cause soprannaturali, altre cause, che non lo sono affatto, si producano delle visioni, le quali, vere sotto l’uno, non lo sono sotto l’altro aspetto, che forse dall’estatica fu unicamente considerato.
Ad ogni modo è un fatto che in parecchie delle sue visioni la Emmerich stessa si è ingannata. Chiunque ha letto anche superficialmente alcuni degli scritti di lei basterà che rifletta sopra parecchie delle sue notizie archeologiche e storiche, per credere che non tutte si devono ascrivere all’opera di Dio; basterà che confronti le date della Emmerich colla cronologia più accreditata e più conforme alla storia primitiva della Chiesa, per persuadersi delle sue molte imprecisioni; basterà finalmente che metta di fronte due racconti della morte, e sepoltura di Maria, datici, l’uno dalla Emmerich e l’altro da un’altra celebre estatica, la Ven. Maria d’Agreda (Mistica Città di Dio, parte III, 1. VIII, cpp. XIX-XXI, Trento 1712, vol. IV, pag. 340-356), per persuadersi che, pur non venendo meno al rispetto verso le cose sante, si può essere alquanto dubbi di fronte a queste private rivelazioni.

Ciò posto, veniamo al confronto della descrizione che la Emmerich ci fa della casa di Maria e della scoperta di “Panaghia Capuli”,
“Giungendo da Gerusalemme, la casa di Maria si presentava sopra una collina a sinistra della via, a circa tre ore e mezza da Efeso. La collina stende le sue propaggini fin verso Efeso, la qual città si presenta alle falde di un monte,” (Vita della B. Vergine Maria secondo le contemplazioni di A. C. Emmerich, Milano 1855, pag. 454).

“Interno della “Panaghia”

Ora, secondo la relazione officiale della visita fatta da Mons. Timoni, Arcivescovo di Smirne e Vicario Apost. dell’Asia Minore, furono impiegate da Efeso alle rovine tre ore per salire e due per discendere; mentre altri vi impiegarono soltanto quattro ore.
Una strada antica, che congiungeva Efeso con la Siria, e quindi con Gerusalemme, passa a poca distanza dalle rovine, le quali, oltre al trovarsi nella posizione voluta per rapporto alla strada, sono altresì addossate ad una montagna, che prende il nome di “Bulbul Dag”, (monte dell’usignuolo), i cui pendii abrutti, innalzandosi perpendicolari per una altezza di 40 o 50 metri, rispondono esattamente ai dati della estatica: “pochi passi dietro la casa, il monte si alzava ripido fino alla vetta”.
Anzi nella descrizione non si tralascia neppure di accennare al castello, le cui rovine sarebbersi trovate a un quarto d’ora di distanza da “Panaghia Capuli”, mentre, se del bosco (pag. 459) e del corso d’acqua (pag. 455), dopo tanti secoli, non si vedon più traccie, non si può però escluderne la possibilità.

Pianta della Chiesa dell’Assunzione, nella valle Giosofath

Ma la corrispondenza tra il sito e la descrizione, lasciataci dalla pia religiosa, parve ancora maggiore parlandosi della casa istessa. Ecco come se ne ragiona:
“La casa di Maria, fabbricata in pietre, quadrata anteriormente, non so se rotonda o ad angoli nella parte posteriore, avea le finestre assai elevate dal suolo ed il tetto di forma 0rizzontale e piana. Il focolare, posto nel centro dell’abitazione, la dividea in due parti… A destra ed a sinistra del focolare vi erano due porte, che conduceano alla parte posteriore della casa. Questa parte, assai scarsamente illuminata, era di forma circolare o poligona e graziosamente addobbata… L’estremo angolo, ovvero l’estremità della curva, chiusa da una tenda, era il luogo della preghiera. Nel mezzo della muraglia si vedea praticata una nicchia per riporvi il tabernacolo (pag. 456)… A destra di quel luogo, vicino a un’altra nicchia, scavata nel muro, vi è la stanza ove dormiva ordinariamente la Vergine, e dirimpetto a questa un’altra cella, ove conservava i suoi abiti e i suoi arnesi. Una tenda serviva a separare le due celle dal luogo di preghiera, frapposto ad esse (pag. 458)…
Il letto di Maria si appoggiava alla muraglia e consisteva in una cassa vuota, alta circa un piede e mezzo, e larga e lunga come fosse uno dei nostri letti più angusti”. (pag. 458).

Una tale descrizione, come si dice nel processo verbale di Mr. Timoni, risponde pienamente e intieramente allo stato in cui dovea trovarsi primitivamente voluta l’attuale rovina, e Mr. Le Camus, che l’ha visitata, e che del resto non è tra gli entusiasti ammiratori di “Panaghia Capuli” la dice press’ a poco esatta (op. c. pag. 134).
Anche senza negare recisamente, come credette poterlo fare l’abate Duchesne (Revue des Revues, 10 agosto 1897, pag. 230), ogni analogia tra la descrizione della Emmerich e le località, quali ci vengono descritte, ci sembra che non sia il caso di insistere come fa il Nirschỉ (op. cit. pagg. 25 e 30) in questo press’a poco, nè di badare troppo al giudizio dei competenti in materia, i quali, tanto nell’atrio, aggiunto posteriormente, quanto nel resto del fabbricato riconoscono una costruzione, che tutt’al più rimonta al IV secolo; e neppure di por mente a tante piccole inezie, la cui mancanza o presenza nella descrizione rimane difficile a spiegarsi.

Chiesa dell’Assunzione – Sepolcro di Maria.

Dopo tutto noi potremmo accettare senz’altro l’identità tra la descrizione e la vera topografia della “Panaghia Capuli”, tanto più che la cosa avrebbe del singolare, ancorchè la concordanza fosse minore. Come infatti spiegare la fortuita corrispondenza di tante minute particolarità? Come supporre che l’estatica od il redattore delle visioni, il poeta Brentano, che non aveva mai visto Efeso, potessero conoscere l’esistenza di montagne al sud di quella città, e fra quei monti un poggio, donde potea vedersi la città e il mare, e in mezzo al quale si delinea l’isola di Samos?
Come sapere che, vicino a questo poggio, vi dovevano essere rovine tali, da rispondere ad una descrizione semplicemente imaginaria ? È vero, – e la cosa risalta subito all’occhio di chiunque abbia qualche conoscenza dell’oriente, quelle rovine presentano la forma di una chiesa greca; il posto assegnato dall’estatica al focolare è quello dello iconostasi, le due stanzette laterali sarebbero il diaconium ed il sacrarium, l’estremità della rotonda è l’abside; l’orientazione stessa è quella di una chiesa orientale. Ma come supporre che la scienza archeologica della Emmerich giungesse a tanto d’avere siffatte nozioni?
Se non che mi sembra che coloro, i quali di questa identità vogliono valersi come di un argomento per abbattere tutta la precedente tradizione, dovrebbero prima esaminare più seriamente il valore di queste rivelazioni. La possibilità di inganni, anzi il fatto che altre volte gli stessi estatici abbiano potuto giudicare falsamente un avvenimento od una visione, potrebbe bastare per togliere alla tesi che esaminiamo una gran dose di quella certezza, che vuolsi darle contro l’universale tradizione della antichità.
Avvertasi infatti che questa opinione, la quale fa di “Panaghia Capuli”, il luogo della vicino dimora di Maria, non è opposta soltanto alla tradizione, che ritiene Gerusalemme come soggiorno della Vergine negli ultimi suoi anni, ma si oppone nello stesso modo a quelle apparenti ragioni, che potrebbero addursi in favore della stessa andata di Maria ad Efeso.
Efeso e non i suoi dintorni sarebbe stato, se almeno debbono interpretarsi così le parole dei PP. del Concilio, il teatro delle virtù, di cui fu illustrata la giovanile vecchiaia della madre di Dio; anzi supporla ritirata in un coll’Apostolo nelle montagne, a quattro o cinque ore da Efeso, è abbandonarsi troppo ai voli della fantasia, ed un misconoscere la natura e l’indole dell’apostolato primitivo.
Quanto alla tradizione locale, che, al dire dell’anonimo autore dell’opuscolo, valor Panaghia Capuli ou maison de la S.te Vierge près d’Éphèse, Paris 1896, pagg. 85-92, si conserva presso gli abitanti del villaggio di Kirkinge, è ancora troppo poco provata, perchè possa meritarsi il valore che le si vuol attribuire.

Conchiudiamo: tutti quelli che hanno trattato di questa questione dichiarono di voler altro che la luce: ebbene domandiamola anche noi, e quando, in vece di fuochi fatui, si avrà la vera luce, e questa sarà tale che, illuminando Efeso o “Panaghia Capuli”, lasci nell’ombra Gerusalemme e il Santuario del Gethsemani, abbandoneremo liberamente una tradizione, il valor della quale non può essere che in rapporto diretto del valore degli argomenti, che la confortano, ed in rapporto inverso della solidità delle obiezioni, che le si oppongono. Una tale tradizione è di quelle che appartengono all’esclusivo dominio della scienza, la quale può o scalzarla e abbassarla, o difenderla e sanzionarla.

L. G.

14 agosto 1897

Da: Emporium: rivista mensile illustrata d’arte, letteratura, science …, Volume 6
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Anna Katharina Emmerick, Il 3 ottobre 2004 venne beatificata da Papa Giovanni Paolo II.