IL VECCHIO BALOCCAIO

Evelyn

Menco, detto il gobbo, teneva bottega di balocchi in una casetta isolata in fondo all’unica strada di un borghetto.
I ragazzi, passando di lì per recarsi alla vicina scuola, si fermavano dare un’occhiata a quella vetrina dai cristalli affumicati, ove stavano schierati in bella mostra cavalli di legno, Stenterelli, bambole, cucine economiche e servizi da tavola su cui figuravano appetitose pietanze di cartone colorato…
Questi oggetti, che variavano nel prezzo da un soldo fino ad una lira, erano benissimo eseguiti ed avrebbero potuto contentare la più esigente clientela, perchè, ad elogio di Menco, bisogna confessare che era assai bravo nel suo mestiere, anzi addirittura un artista.
Pareva impossibile davvero che tutti quei graziosi ninnoli uscissero dalle Fino mani nere e pelose di quel povero gobbetto, tanto brutto, con un testone mostruoso che metteva paura a vederlo.
Infatti, egli incuteva timore ai ragazzi che andavano da lui a comprare, piccola o che si fermavano a guardarlo lavorare, seduto ad un piccolo banco, sull’uscio della bottega, in mezzo alle tinte, alla stoppa, ai pezzetti di legno o di cartone, tutto intento a creare fantocci ed animali, con sorprendente abilità.
Il gobbo, era un ometto assai strano e molto rabbioso; si inquietava spesso con i ragazzi che gli facevano perdere il tempo con inutili discussioni sulla compra dei balocchi.
Prezzo fisso! Prezzo fisso! urlava col suo vocione. Sapete leggere, asinelli? Ebbene, leggete allora i cartelli appesi in vetrina; nè un soldo più, nè un soldo meno!
E faceva tali boccacce e gridava cosi forte, da fare spesso scappare i suoi più arditi avventori. Fra i capolavori di quella bottega, primeggiavano le marionette; ve ne erano di tutti i generi e di diverse grandezze; la testa era intagliata nel legno od anche in una castagna, e quei visetti avevano delle espressioni cosi comiche e veraci, che era un piacere a vederle.
Infatti, era conosciuta la capacità di Menco in tale genere, e riceveva spesso ordinazioni da un grande negoziante di giocattoli della città vicina; cosi, ogni cavalli tanto, lo si vedeva, spingendo avanti a sé un carretto, pieno di marionette, recarsi a riportare il lavoro.
Egli viveva solo e molto miseramente; la sua abitazione, consisteva in una sola stanza che serviva da cucina, da camera e da bottega; e tutto intorno, sui vecchi muri screpolati, erano appesi giocattoli già finiti o da finire, ed anche dalla soffitta bassa ed annerita dal fumo, pendevano gruppi di bambole e fasci di sciabole e di fucili di legno. Fino ad ora tarda Menco lavorava assiduamente alla fioca luce di una lucernina, canticchiando colla pipa tra i denti; ed il tic-tac del suo martellino o lo stridulo suono della sua piccola sega, si udivano passando davanti all’uscio socchiuso della bottega.
Durante le solitarie veglie, l’unico compagno e vero amico del vecchio baloccaio, era Lucifero, grosso e feroce gatto nero, privo di coda, con gli occhi verdi, le cui pupille parevano due luminosi punti interrogativi. Questo brutto animale, era assai intelligente ed affezionato al padrone, che, nelle sue rare assenze, lo lasciava custode di casa.
E Lucifero disimpegnava bene, quanto lo avrebbe potuto fare un cane, quell’ufficio di fiducia; tantochè un giorno avendo veduto entrare di soppiatto un monello in bottega per rubare qualche balocco gli si avventò al viso, e tanto impaurì quel piccolo ladro che lo fece scappar via come se avesse avuto alle calcagna una legione di gatti arrabbiati.
Da quel giorno in poi i ragazzi non osavano più varcare la soglia della botteguccia, perchè si erano messi in testa, ignorantelli e creduli com’erano, che tanto il gobbo quanto il gatto fossero due stregoni!…
Il vecchio baloccaio, sebbene burbero assai, non era cattivo, e certo tutt’altro che uno stregone… Ma poco amava i fanciulli, forse, perché lo deridevano per la sua deformità; aveva soltanto della simpatia per un certo biondino, di nome Carlo, che dimorava lì vicino, e che, passando spesso dalla bottega, si affacciava sorridente per indirizzargli una parola cortese.
Carlo infatti non aveva punto paura del povero Menco, nè si era mai divertito a canzonarlo come facevano i suoi compagni di scuola, perchè sapeva che bisogna rispettare gli esseri disgraziati, ed anzi compatirli.
In un certo inverno molto freddo, Menco era stato malato per più di un mese e non aveva potuto perciò riportare alla fabbrica i balocchi ordinatigli, nè riscuotere la solita paga. Cosi, arrivato il giorno di Natale, egli si trovava senza un soldo in tasca ed inchiodato dal male nel suo povero letto presso al focolare, in sola compagnia del gatto nero.
Per molti giorni nessuno era venuto a comprargli nulla, sebbene nella piccola vetrina stesse allineato in ordine festivo un allegro corteo di burattini e vi fosse pure un bel padre Ceppo, dal manto rosso e dalla lunga barba bianca, scintillante di brina, carico di giocattoli d’ogni specie.

Al vecchio Menco quel fantoccio opera sua, pareva tanto bello che stava a guardarlo, con compiacenza, meravigliandosi che nessuno fosse ancora stato tentato di comprarlo, e, tutto stizzito, brontolava tra di sé:
Quelle birbe di ragazzi si sono forse intesi per farmi morire di fame il giorno di Ceppo!
E a misura che quella giornata festiva volgeva alla fine, il povero gobbetto, li solo e malato, diveniva sempre più triste; sentiva in distanza il riso ed il canto delle allegre brigate che tornavano a casa, pensava alle mense imbandite sulle quali fumavano le tradizionali pietanze del Natale… e quasi, per dir il vero, davanti a quel focolare spento gli veniva da piangere.
Ad un tratto, vide affacciarsi alla sua vetrina la testa bionda di Carlo, il quale sembrava essersi fermato in ammirazione davanti a quell’esposizione di balocchi; infatti, poco dopo, entrò chiedendo di comprare il padre Ceppo, il capolavoro di Menco, che costava niente meno che una lira!
Ma quella compera era solo un pretesto, perché Carlo, da ragazzo di ottimo cuore, era venuto per ben altro! Si era rammentato, in mezzo alle allegre feste famigliari, del vecchio baloccaio, e, saputo che era malato e nella miseria, aveva chiesto alla mamma il permesso di portargli una buona cenetta per rallegrarlo in quella sera di Natale.
Così Carlo, col viso raggiante, apri il paniere che portava a stento, tanto era peso, e ne cavó trionfalmente un bel cappone lesso, un piatto fumante di maccheroni e molte altre buone cose accompagnate da un fiaschetto di vino.
Immaginatevi come, alla vista di tutta quella grazia di Dio, lampeggiarono gli occhi dall’affamato Lucifero! e come sul viso smunto del povero gobbetto apparve un sorriso di gioia e di gratitudine.
Voleva in compenso dare gratis a Carlo la metà dei balocchi della vetrina; ma il bravo fanciullo era già scappato via senza aspettare ringraziamenti, tutto contento d’aver fatto quell’azione benefica e procurato cosi un poco di sollievo a quel poveretto, nel giorno in cui tutti i cuori si riuniscono in uno slancio di carità verso il prossimo, e d’amore verso Dio.

Evelyn

Novella tratta da: Frugolino giornale dei fanciulli – 1892

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Da Wiki: Evelyn Franceschi Marini, nata Evelyn de la Touche e nota anche semplicemente come Evelyn (1855 – Sansepolcro, 1920), è stata una storica dell’arte, giornalista e scrittrice italiana di origini britanniche.