Il cieco di Briançon e la Consolata

Correndo l’anno 1104 di nostra Redenzione, apparve la Beatissima Vergine Maria in visione interna ad un uomo nato cieco di Brianzone nel Delfinato, per nome Giovanni Ravacchio, della nobile famiglia de’ Ravacchii, ossia Ravadii, ricchissimo di beni di fortuna, e primogenito di due altri fratelli; in singolare e prodigioso modo gli apparve alla mente in guisa di una grande Matrona, e gli disse, che se desiderava di acquistare la vista, dovesse farsi condurre nella Città di Torino, e col cercare nelle rovine di essa la sua miracolosa Immagine esposta già in una Cappella per di lei comando dal Re Ardoino edificata, avrebbe Ottenuta la bramata grazia.*
Può ciascuno immaginarsi con qual giubilo, e interna allegrezza questo fortunato cieco siasi fatta premura di partecipare a’ suoi fratelli sì consolante notizia, pregandoli ad un tempo di volerlo tosto accompagnare, e servirgli di guida alla volta della Città di Torino per far ivi le opportune ricerche dell’indicatogli sacro Tempio, nelle rovine del quale doveva rinvenire sì prezioso Tesoro.
Ma vane furono tutte le sue instanze, poichè, sotto varii pretesti ricusarono amendue di condiscendere al suo vivissimo desiderio. Per quanto fosse di ciò il buon Cieco sconsolato ed afflitto, pure confidandosi nella protezione di Maria Santissima, tra gli altri mezzi che andava rivolgendo nell’ animo per venir a capo dell’intento, quello scelse finalmente di raccomandarsi ad una serva di sua casa, promettendole di sposarla, se in quel viaggio l’avesse accompagnato, ed assistito.

* P. Gumper. Atl. Marian. cant, 120. n. 2 – Ita ex oculis, animisque Taurinensium sacra Imago una cum Sacello evanuit, utque hoc tanti thesauri reconditorium iterum viderent Taurinenses, Caecus quispiam a Deipara electus est, qui videntibus viam monstraret.

Allettata la serva dalla speranza di sì fortunato promessole maritaggio, aderì tosto alla volontà del Padrone, e senza ulteriore indugio, nella mezzanotte intrapresero il viaggio bramato, pieni il cuore di ferma fiducia nell’ajuto e protezione di Maria, la quale con ferventi continue preghiere andavano nel loro cammino invocando.
Giunti che furono alla distanza circa d’un miglio da Torino, cioè alla Parrocchia detta di Pozzo di Strada, ecco che con nuovo miracolo piacque alla Santissima Vergine di confermare il nostro Cieco nella fede dell’avuta rivelazione, e dimostrargli ad un tempo il suo gradimento di quanto aveva sin allora operato; perciocchè gli si aprirono immantinenti gli occhi, e potè sì chiaro, e distintamente vedere, che scoprì a quella distanza l’antico campanile, che pur tuttora esiste, e ove fu poi riedificata la Chiesa di Sant Andrea, chiamata ora della Consolata.
Nè solamiente il detto campanile gli fu conceduto di vedere, ma vide egli comparire sovra il luogo istesso della rovinata nascosta Cappella, come un fulgentissimo Sole, che da quel suolo sorgesse per viemaggiormente rassicurarlo. Veduta appena la portentosa apparizione, rivolto il Ravacchio alla serva, non vedi là, disse, quel gran chiarore, e quella mole in forma quasi di un alto Edificio? Or bene tu là precisamente mi condurrai, perchè mi sento nascere in cuore la ferma persuasione, che in quel sito medesimo mi sarà dato di ritrovare il caro oggetto delle mie speranze. Ciò ebbe appena detto, che di repente si trovò privo d’ogni virtù visiva.
Ma benchè per tale sciagura, non poco l’uno, e l’altra si rattristassero, tuttavia, ravvivata la fede nella provata protezion della Vergine, con maggior coraggio si recarono dove quel maraviglioso lume invitati gli avea.
Come là furono pervenuti, fu il cieco Padrone dalla Serva avvisato, essere quello precisamente il sito dove trovavasi il già scorto campanile, e dove quel portentoso splendore s’era fatto vedere.
Qui può ognuno immaginarsi come tosto il divoto Cieco siasi gettato ginocchione per terra, e con quale effusione di cuore, e con quai ferventi voti e sospiri, alzando le mani al Cielo, siasi posto a pregare l’Altissimo Iddio, e la sua Madre Santissima, acciocchè, avendolo sino a quel luogo felicemente condotto, volessero degnarsi di compiere la primiera duplice promessa, di farlo cioè costantemente vedere, ed arrivar finalmente ad iscoprire la desiata Immagine, che quivi sotterra sicuramente giacea.
Siccome degli avvenimenti straordinarii suole intervenire, divolgossi ben tosto tra quei pochi, che erano rimasti in Torino, e quindi ne’molti, che in Testona erano rifuggiti, la nuova del Cieco di Brianzone, e la storia della sua venuta.
Informato quindi di sì grande avvenimento Amisio allora Vescovo di Torino che ivi pure erasi trasportato nell’anno 1080, pieno qual era dei più vivi sensi di singolar divozione e confidenza nella Santissima Vergine, e nella bontà, ed onnipotenza di Dio, ugualmente occulato e vigilante qual debb’essere in sì fatti casi ogni buon Pastore, ingiunse primamente al suo Popolo tre giorni di digiuno; dopo i quali volle egli stesso, accompagnato da numeroso stuolo d’ogni sorta di persone, portarsi alla Città di Torino, e tostamente sul luogo medesimo, ove il Cieco Brianzonese erasi soffermato, e perseverava nelle sue ferventi orazioni. Prostrossi il pio Prelato, imitato dal Popolo, che l’avea seguito, avanti l’ infinita, Maestà di Dio, e renduti a quella i doverosi tributi di adorazione, di lodi, e di preci universali, diede ordine, che con ogni cautela si rimovessero gli accumulati frantumi, che colà esistevano; e dopo non lungo lavoro, cominciaronsi a scoprire le antiche vestigia della Cappella Ardoiniana, fra le rovine della quale proseguendosi a scavare comparve con universale sorpresa la sacra ricercata Immagine di Maria, e Ravacchio riacquistata in un istante la vista, fu il primo a scorgerla, e distintamente vederla, francamente assicurando essere quella stessa il genuino ritratto di quella gran Matrona, che nella già detta visione eragli apparsa nella mente.
Ciò accadde li 20 giugno 1104. * Si sparse in pochi istanti fra tutto il Popolo, che là era concorso, la notizia di sì fausta invenzione nel comune trasporto di giubilo e di riconoscenza verso Dio, si sentirono tutti quasi ad una voce esclamare: Benedictus Deus in donis suis; ** e fra tante acclamazioni fu pure udito il venerando Vescovo fervorosamente intonare: Ora pro nobi , intercede pro Populo tuo, Virgo Consolatrix: invocando la Santissima Vergine con quel titolo istesso, che nell’antica sua apparizione al Re Ardoino, aveagli. essa medesima indicato ***.

* Così si trovò scritto nelle note conservate nella Chiesa, e nell’iscrizione della lapide di questo gran miracolo, che sta riposta nell’odierna Cappella.
** Nella istessa lapide – ed il P. Ughello – Ital. Sacr. tom. 4 de Ep. Taur. n. 27. :
*** P. Gump. Atl. Marian, cant. 120 n. 3.

Frattanto mentre continuavasi lo scavamento per totalmente scoprire ed isgombrare l’antica Cappella, oltre varie altre iscrizioni, si venne a trovarne una scolpita su lapide di marno bianco, la quale, benchè d’epoca incerta, non essendovi alcuna data, non può per altro essere più recente della Cappella medesima da Ardoino edificata, della quale stimiamo riferire qui sotto le precise parole,* acciocchè si renda vieppiù manifesto qual fosse, e quanto diffusa ed efficace sino da tempo antichissimo la divozione a Maria Vergine Consolatrice.

* Țenor dell’iscrizione in detta lapide infissa nel muro della Cappella nella parte sinistra del vestibolo a ponente – Quicumque igitur hic accedis, introgredere petiturus, supplicaturus, exoraturys, lippus, caecus, cocles, surdaster, mutiscens, cephalicus, stomacosus, lethargicus, podagricus, claudus, epaticus, calculosus, attonitus, porriginosus, tabidus, febriculosus, contagiosus, atque aliis id generis innumerosis cicatrisatus morbis, sive introrsus angitur animus, sive extra insequitur hostis, pie, pure, indefesseque orato; fugabis enim mox dolores omnes, atque ex omni parte, mihi crede, liberaberis.

Fu questo insigne miracolo da molti altri, quasi nel tempo stesso o in quel torno accompagnato, e fu questo tra gli altri principalmente osservato, perchè tra poco cangiossi totalmente l’indole, e la temperatura dell’aere, e cominciò la terra anche nelle spontanee produzioni a rendersi più benigna e ferace. *
Animati quindi da sì grande prodigio, e dalle dette circostanze i Torinesi, e rientrati in breve gli altri, che, per le passate sciagure, eransi dalla Città in varie parti dispersi, si diedero ben tosto a riedificare le rovinate case e farne delle nuove, e a procurare ogni maniera di agiato vivere, e tutti quelli abbellimenti, che la condizion di que’ tempi poteva permettere. **

* P. Gumpersberg Atl. Marian. cant. 120 n.° 3 – Tot miris decorato miraculo gloriosi Cives, Virgini titulum de Consolatione dederunt , et Consolatam appellaverunt. ,
** Ping. Aug. Taurin. – Anno 1104, 20 junii, coepere Taurinenses, mitiore apparente Coelo, conciliatisque amicitiis, desolatam jam satis Urbem repetere, et incolere, quodam postremo miraculo adducti, quod in virum nobilem ex Ravadiorun familia oculis captum, claruit; is enim votum Divae Virgini Consolatae voverat, interque rudeta aediculam, ubi suapte sponte lucem invenit, et illico recepit; mox hominum concursus, mox loco contiguo Templum Divo Andreae dicatum erigitur.

Talchè sorse in breve tempo quasi una nuova Città, e videsi Torino fare comparsa tra le altre Italiche bellissima e sontuosa. *
Ma sempre memori delle ricevute grazie, e sempre grati verso la Divina Bontà, e verso la loro grande Benefattrice, pensarono nel medesimo tempo a dimostrarle pubblicamente i loro affetti, e la loro divozione, con rifare la rovinata antica Cappella, e vieppiù arricchirla e nobilitarla.** Ma siccome nel rifabbricare la Città, erasi non poco alzato il livello del di lei piano, perciò divisarono di rimodernar quella sufficientemente, e di costrurne un’altra più dicevole e più comoda sul nuovo elevato suolo della Città nel Tempio stesso di sant Andrea, il quale pure fu contemporaneamente sul medesimo sito rifabbricato.

* D. P. Gump. Atl. Mar. cant. 110, n.° 3 – Cives prioribus cxactis malis, postliminio rediere domum, et Taurinensis Urbs tantis per domus facta Civitas esse rursus coepit.
** Ughel. Ital. Sac. tom. A de Epit. Taur. n. 27 – Ipsius igitur cultui prospicientes eadem aedicula intra aedem Sancti Andreae excitata, ea sacram collocant Imaginem, inde adducti Taurinenses, ut Urbem ipsam satis desolatam repeterent, et frequentius incolerent. Miraculo ipso in omen accepto, ejus amplitudinis, ac felicitatis, ad quam eadem Virgine Beatissima favente erat perventura.

Nella quale come prima fu terminata venne trasferta l’antica lapide marmorea;* e postane un’altra, in cui fu descritta brevemente la storia del succeduto miracolo, venne soprattutto la miracolosa Immagine dalla Cappella sotterranea trasportata, e con gran pompa e solennità sopra l’altare devotamente esposta, lasciatane una copia fedele nell’altra Cappella, in cui anche oggidì discendono frequentemente persone divote a venerare quel sacro luogo.

* Queste due tavole marmoree, ossiano lapidi, cioè ľantica avanti rammemorata a precedente nota, e l’altra portante incisa la narrazione dello stupendo miracolo dell’invenzione della sacra Immagine, seguito li 20 giugno 1104, si trovano ora collocate nel già detto muro del corridore alla sinistra della grande Cappella.


E qui speriamo di far cosa grata ai lettori, se procureremo di dare una succinta idea di quella stessa Immagine, massimamente che non fu mai da verun altro scrittore neppur leggermente indicata.
Rappresenta questa miracolosa effigie dipinta sovra tenuissima tela d’altezza circa di quattro palmi, l’ Immagine di Maria Vergine Santissima, col Bambino sul braccio sinistro, un velo di color turchino, che le copre dignitosamente la testa, e quasi un terzo della fronte, è ben unito sotto il collo, si stende sino a mezza la persona, dove termina il quadro.
Ha sopra il velo due stelle, una corrispondente alla fronte, e l’altra a mezzo il braccio destro superiore, tra il quale, e l’anteriore è traversata una lista gialla distinta in tre righe di ricamo, da cui pendono quattro fiocchi di colore parimente giallo. Così la Vergine, come il Bambino hanno la testa ornata di raggi, oltre i quali sorgono da quella del Bambino tre punte alquanta intagliate sulla cima, le quali pare debbano rappresentare le tre estremità superiori della croce.
La mano destra di lei piegasi dolcemente sul petto; e la destra del Bambino portasi anteriormente sotto il collo della Madre, e la sinistra mollemente si appoggia sulla mano sinistra della medesima. Il Bambino, che tutto intiero si vede, è vestito d’una vesticiola cremisi chiaro, con un cinto ordinario ai fianchi, ed ha un palio talare, che poggia a sinistra, e lasciando libera la destra, e il braccio, piegando sotto il gomito con bel panneggiamento, portasi sotto la mano sinistra della Madonna.
È così decente e pio e sovrumano il volto della Vergine, come pur quello del Bambino, che ben pare essere stato dipinto o da un Santo, o da persona certamente molto virtuosa.
E per questo motivo appunto il venerabile Padre Valfrè dell’Oratorio di San Filippo soleva particolarmente raccomandare la divozione a questa sacra Immagine alle persone, ch’egli spiritualmente dirigeva.

Tratto da: Cenni storici sulla miracolosa immagine di Maria Santissima
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