Il Carnevale

Nessuna festa, divenuta presso che nell’intera Europa universale, deriva da così antica origine come il Carnevale. Questa circostanza darebbe luogo a fare una graziosa satira sulla stoltezza degli uomini, giacchè non possiamo gloriarci che feste ed usanze di più seria natura siansi mantenute sino ad ora da tempo sì remoto, come quella del Carnevale.

La Mitologia racconta di Saturno, come gli venisse predetto, che uno de’ suoi figli lo avrebbe detronizzato, per lo che fece pensiero di divorarli appena nati; l’astuzia però di Rea sua moglie salvò i figli, e Giove detronizzò suo padre, il quale recossi in Italia dove venne dal Re Giano assunto a compagno nel regno. Quivi insegnò ai popoli l’agricoltura ed altre utili occupazioni che ingentilirono gli uomini e li resero più felici, sicché il tempo del suo governo venne chiamato l‘età dell’oro.

In onore di Saturno venivano celebrati nel mese di dicembre i Saturnali, la più grande e rinomata festa di Roma. La licenza  tuttora la distingue, dà campo a giudicare come l’origine di lei provenga dai tempi più rozzi del genere umano.
I Saturnali erano, una festa, durante, la quale tutti i lavori venivano interrotti, e gli schiavi stessi godevano della più perfetta libertà; la loro precaria eguaglianza coi padroni era una ricordanza dell’egualità delle condizioni durante l’età dell’oro; permettevansi eglino azioni che in altri tempi sarebbero state severamente castigate e che allora andavano impunite; facevano sovente da padrone, e convitavano gli stessi padroni loro, che per il momento cessavano d’esser tali e come pari loro trattavansi.
Nei Saturnali ognuno si abbandonava a tutti i piaceri; gli amici mandavansi reciprocamente dei doni, si invitavano vicendevolmente e si univano in numerosa e lieta società. – La festa del popolo durava nei primi tempi un giorno solo, più tardi tre, e per ordine di Caligola venne protratta sino ai cinque. In seguito il sempre crescente lusso vi aggiunse altri due giorni detti Sigillaria dalle picciole immagini che in allora venivano particolarmente dai genitori regalati ai loro figli. Una continuazione dei Saturnali, sono i Baccanali, i quali celebraransi in onore di Bacco, e da Melampo d’Egitto, ove ogni festa era solennemente celebrata, furono trasportati in Grecia.
Un Greco recò i Baccanali nella Toscana, donde giunsero tosto a Roma; ma la sfrenatezza che li accompagnava costrinse il Senato di Roma a proibire queste feste per la conservazione dei buoni costumi. Con tutto ciò i Baccanali non sono interamente andati in disuso, e in alcune provincie d’Italia si trovano ancora delle tracce di queste Orgie, delle quali non amiamo far parola.

Ai Baccanali tien dietro il Carnevale, ossia Carnovale cosi (così detto da caro vale in relazione alla Quaresima) e che secondo gli usi della nostra Chiesa è il tempo dalla festa dei tre Re Magi sino al principio della Quaresima.
Questo tempo segna una serie di divertimenti d’ogni specie. Il Carnevale di Venezia e quello  di Roma sono i più rinomati. Quantunque il Carnevale di Roma venisse festeggiato con maggior magnificenza, pure quello di Venezia merita incontrastabilmente la preferenza, giacchè la moltitudine del popolo presenterà di una festa popolare, che la magnificenza d’un grande, il quale sempre un quadro più interessante d’altronde in Roma adesso è più spettatore anzi che parte delle feste.
Il carnevale di Venezia viene festeggiato con drammi, ridotti, giuochi di ciarlatani, pubbliche mascherate, ecc.; si distinguono per la loro magnificenza.
Per l’addietro potevano le maschere comparire in istrada il giorno durante tutto l’intiero carnevale; libertà che ora più non viene concessa che negli ultimi tre giorni. La piazza di S. Marco è propriamente il luogo ove più ferve nei suddetti giorni la calca delle maschere rappresentanti spagnuoli, ungheri, turchi, mori, cavalieri, arlecchini, ebrei, suonatori, ecc.
Uno squadrone di cavalleria di maschere (ben inteso a cavallo di bastoni), irrompe ad un tratto nella folla e forma una vaga confusione. Questa cavalleria si mostra di preferenza nel martedì dell’ultima settimana; sul fare della sera un’ aurora di carnevale comincia a diffondere la sua luce sulla riva degli Schiavoni, colle alto – fiammeggianti torcie di pece; là si precipita allora la clamorosa turba del popolo. Lungo la riva veggonsi erette botteghe e casuccie ove attirano lo sguardo commedie di  cani e di bertucce, giuocatori di ginnastica, cavellerizzi, i quali ultimi girano intorno sino dal mattino, e cavalcano su i ponti, che quivi sono muniti di scalini, per annunziare le loro prodezze. Pulcinelli, mimiche rappresentazioni, declamatori , improvisatori, ecc. ecc.

Molti e variati cori musicali non mancano di prodursi in questa occasione.
Nei bei caffè della piazza di S. Marco si veggono le più graziose maschere femminili, le quali non ne escono che per luogo ad altre, avviandosi tosto follegiando per le strade. Sino i mendicanti s’immascherano al martedì, imbrattandosi il volto di farina, ponendosi indosso cenci d’ogni colore, e ponendosi in capo arruffate parrucche. In tale acconciatura fanno spesse volte terribili capriole, e varj storpj diventano ritti in questo giorno.
Nelle gondole non vi ha minore baldoria, specialmente in quelle nelle quali si fanno libazioni a Bacco, e dove non trovasi la classe loro nobile del popolo. Sopra alcuni Campi innalzano i birichini di grandi piramidi, presso le quali si raguna una quantità di spettatori. Al castello girano allegramente intorno i barcajioli colle loro famiglie, lo che fanno pure al Ponte di Rialto.
Ma la più  gran calca è sempre verso la piazza di San Marco, la quale, gli ultimi tre giorni del carnevale è così affollata di gente, che veduta dalla cima del campanile di San Marco sembra lastricata di teste, e dalla piazzetta sopra la riva degli schiavoni sin verso il giardino ondeggia la turba delle maschere.
Aveva Venezia altre volte un secondo carnevale col nome di Fiera Veneziana che pure chiamavasi l’Ascenzione ovvero la Festa del Bucintoro; col primo nome, perchè principiava il giorno dell’Ascensione, col secondo, perchè nello stesso giorno aveva luogo lo sposalizio del Mare.
Durava essa quindici giorni, tuttafiata non era permessa nissuna maschera di carattere ma soltanto i Domino veneziani. Questo secondo carnevale è ora andato intieramente in disuso.

L’antico proverbio che suona: troppe teste, troppe feste, troppe tempeste e che s’addice a Venezia, giustifica in parte la  preferenza da noi assegnata al carnevale di quella città su quel di Roma.
Il pubblico carnevale di Roma dura soltanto otto giorni e quello che a Venezia è la piazza di S. Marco è a Roma il Corso, con questa diversità però, che su quest’ultimo fa la corsa dei cavalli, e l’abuso fra le maschere del gettare i confetti, di coriandoli però, (ai quali è mal applicato il nome di confetti) non ha luogo con tanta veemenza in nessun altro paese come quivi. Del resto le mascherate, i giuochi, il disordine sono come in Venezia. Qualche cosa di proprio per Roma è il costume comparire alla sera degli ultimi giorni di carnevale alle finestre, nelle carozze e nelle strade con moccoli accesi gridando nel  tempo stesso: xia ammazzato chi non ha il moccolo: allora ognuno si studia di spegnere quello del vicino, e ciò accaduto, bisogna subito che sia riacceso. I cocchi sono circondati di candele, e molti pedoni ne portano sopra lunghe pertiche una quantità disposti in piramidi.
Il carattere del carnevale di Venezia e di Roma hanno pure più o meno tutti i carnevali delle principali città d’Italia, la proprietà del cui festeggiamento è di avere luogo sotto il cielo aperto.

Da: L’Eco, giornale di scienze, lettere, arti, mode e teatri, Volume 1

 Paolo Lampato Tipografo Editore