Il Carnevale e la Chiesa Romana


Carnevale è il tempo, come ognun sa, dei piaceri e dei divertimenti che han luogo dalla Epifania al mercoledì delle ceneri.
L’etimologia di questa parola ha dato luogo a mille dispute; gli eruditi non si sono potuti mettere d’accordo sul suo significato. Gli uni propongono carne vale o caro vale, gli altri carne levamen (per carnis levamen), altri carn avallare, altri carnalia, altri infine carnis privium  (digiuno parziale osservato dai preti dopo la Sessagesima fino alla Quaresima).
Ma, come si è fatto osservare con ragione, nessuna di tali etimologie è completamente soddisfacente e meno ancora delle altre, quella che si ammette comunemente (carne vale).
Ma se non si è d’accordo sulla etimologia del Carnevale, lo si è però sulle origini sue. Esso proviene direttamente dai Saturnali (Saturnales) dell’antica Roma. Le analogie sono troppo evidenti e la successione assai naturale, da non lasciare il menomo dubbio su questo.
Ma, più genericamente, vi si riscontrano le traccie delle feste religiose che tutti i popoli, dalla più remota antichità, celebravano al cominciamento di ciascun nuovo anno per renderselo favorevole, o nella primavera per simboleggiare il rinnovellamento della natura.
Giova ricordare le feste dei Babilonesi, quelle degli Egiziani in onore di Iside, la festa delle sorti degli Ebrei; in Grecia e Roma, per una secolare tradizione, i Baccanali (Bacchanales), i Saturnali (Saturnales), le Calende di gennaio, i Lupercali (Lupercales) di febbraio: tutti divertimenti essenzialmente consistenti in mascherate, travestimenti, danze e festini, il più spesso immorali ed osceni.
Orbene, cotesti folli divertimenti e feste, che non neghiamo essere già penetrati nei costumi dopo venuto il Cristianesimo, la Chiesa Romana, anziché sradicarli, non solo li adottò, ma procurò santificarli con l’istituzione delle feste dell’Epifania, della Purificazione, ecc.
Onde a ragione può affermarsi che le feste pagane sono passate, sotto altro nome, nella Chiesa  Romana, pagana com’essa è, paganeggiante come sempre è stata.
Ma sarà bene specificare alcuni fatti.
Durante il Medio Evo, come unanimemente attestano gli storici, la stessa Chiesa Romana specialmente in Francia, a capo del Carnevale. Le bizzarre feste dei Pazzi (da Natale all’Epifania) e dell’Asino, quelle degl’Innocenti, la processione della Volpe a Parigi, quelle dell’Aringa a Reims, alle quali partecipavano preti e canonici, nient’altro erano Saturnali burleschi e osceni.
Essi si protrassero fino al XVI secolo. Cominciando gli ultimi giorni di dicembre, i divertimenti popolari continuavano, sotto diversi nomi, sino a Pasqua. Alle feste del Re della fava, succedevano quelle dei giorni grassi e i tre ultimi giorni di Carnevale, quelle delle torcie di paglia accesa, (Brandons) e della mezza quaresima.
A Digione, la Società della Madre pazza (Mêre folle), che durò dal 1381 al 1630, faceva tutti gli anni, nel giovedì grasso, una solenne processione. I nobili e i principali borghesi travestiti da vignaroli correvano le vie su carri, cantando canzoni maliziose e satiriche, vera cronaca scandalosa della città.
Nella Marca a Dorat, una tradizione che rimonta allo scorcio del secolo XII, voleva che il giorno di martedì grasso alle undici del mattino, i giovani coniugati e i chierici tonsurati nell’anno, comprassero un maiale grasso e lo facessero trinciare e distribuire ai poveri, alla porta della chiesa di S. Pietro.
Dopo ciò, il prevosto della chiesa, conducendo a mano un piccolo fanciullo, passava alla svelata sotto un globo di vetro riempito d’acqua, che il canonico di settimana rompeva con un bastone.
Se il prevosto non era bagnato, riceva un guiderdone.
A mezzogiorno, i giovani coniugati, i tonsurati, i borghesi e il popolo si recavano al castello signorile tenendosi per mano e danzando al suon di trombette, di tamburelli, di oboe e di cornamuse.
Tre volte essi facevano il giro del castello cantando le lodi dei conti della Marca, che erano obbligati di offrir loro del vino in una ciotola di legno. Questa charité du lard si ritrova a Vatau (Indre) ove gli ospedali facevano una distribuzione ai poveri il martedì grasso.
Parrebbe che nel mercoledì delle Ceneri, principio di Quaresima, si chiudesse definitivamente il Carnevale. Ma niente affatto, carême prenant o carême entrant, ha sempre dato occasione a una recrudescenza di follie, giusta conferma quell’adagio popolare:

A carême prenant et en vendange,
Tous propos sont de licence.

(All’aprirsi della Quaresima e in vendemmia tutte cose sono lecite).


A Parigi, era precisamente il giorno delle Ceneri che si rappresentava la gran battaglia del Martedì grasso contro la Quaresima, e il seppellimento burlesco del Martedì grasso; che i chierici addetti alla curia patrocinavano la causa grassa, facendo attacchi e astuzie.
A Châlons-sur-Marne nella mezza Quaresima, un immenso fantoccio di paglia rivestito d’abiti funebri era condotto da quattro uomini nel coro della Cattedrale. Si diceva una messa di Requiem, con cerimonie al tutto speciali: per esempio, l’officiante metteva la sua stola e la sua pianeta alla rovescia, i canonici portavano lunghe vesti nere, e un solo cero era acceso nel mezzo della chiesa. Nelle altre chiese, a Tours specialmente, si seppelliva l’alleluja con grottesche cerimonie.
E si potrebbero moltiplicare gli esempi.
Ecco perché quando Carlomagno volle proibire nel suo impero le mascherate, non poté riuscirvi, essendo per tutto il Medio Evo, il carnevale stato adottato e protetto dalla Chiesa Romana, in tutte le sue fantasie più grossolane e più mostruose.
Né vale opporre le scomuniche di varii Concili (specialmente Auxerre 578); erano voti di pochi che fra la maggioranza restavano inascoltati.

Ma anche in altre regioni la Chiesa Romana ha influito sul Carnevale, colle sue cerimonie ecclesiastiche.
Nel XVI secolo in Baviera, durante i giorni grassi e il mercoledì delle Ceneri, i maschi correvano le vie colpendo i passanti e versando su loro sacchetti ripieni di cenere. Il mercoledì, le giovinette, riunite ai giovani, s’attaccavano a un aratro, lo menavano in giro a suono di tromba e lo precipitavano quindi in un fiume o in un lago.
Che dovremo poi dire dell’Italia, che è la patria del Carnevale? L’affluenza dei ricchi stranieri a Roma particolarmente, può spiegare la tolleranza secolare della Chiesa per i divertimenti profani assai fuor di luogo in una città direttamente sommessa all’autorità dei papi. A dir vero, essi protestarono qualche volta contro licenze un pò troppo vivaci, ma non sembra che vi abbiano insistito assai in questo senso, e molti di loro collaborarono alle magnificenze di tali feste.
Il Diarium di Burckard dà la nomenclatura assai precisa dei divertimenti carnevaleschi dal 1487 al 1506. Vi si nota una grande quantità di corse di Ebrei di meno di venti anni, corse di vecchi da 20 trent’anni; corse di ragazzi di meno di 15 anni; corse di asini e di bufali; corse di cavalli barberi; combattimenti alla lancia di tori lottanti; carri trionfali; gigantesche processioni ora civili ora religiose che costituivano i giuochi di Piazza Navona e del Monte Testacccio.
Sotto il pontificato di Paolo III (1534-1549), il Carnevale fu particolarmente brillante. Si vide, oltre i divertimenti tradizionali, cavalcate splendide condotte dai più eminenti personaggi, fra cui il duca di Camerino e il cardinale Farnese; caccie di bestie, rappresentazioni teatrali e di balli mascherati. Giulio III diede anche lui delle grandi corse, delle commedie e dei magnifici festini al Campidoglio ove egli invitò le più belle donne di Roma.
Antecedentemente e fino al tempo di Paolo II, i cardinali usavan mescolarsi, travestiti, nelle orgie del  Carnevale. Occorse per impedirlo una bolla del papa Clemente ai Conservatori. Fino alla metà del quattrocento le corse e i relativi palii furono soltanto due; ne aggiunse sei con pubblico danaro Paolo II, amico della gente allegra e persecutore della filosofia.
Sisto V si mostrò meno indulgente. Egli fece innalzare sulle piazze pubbliche corde e forche per gli schiamazzatori. Si deve a lui lo stabilimento delle barriere destinate a prevenire gli accidenti che si producevano troppo frequentemente nelle corse dei barberi.
Clemente XI (lettere apostoliche del 1719 e 1721) e Benedetto XIV (enciclica del 1748) procedettero anche con rigore contro il Carnevale; ma era voce nel deserto, poiché troppo inveterato l’abuso favorito sin dal principio, come sopra fu detto, dalla Chiesa medesima.
Oggi il Carnevale ha perduto la sua importanza, e non esiste in molte contrade che per sola convenzione. giova sperare che presto sparirà del tutto, nonostante la protezione che gli ha sempre accordata la Chiesa  Romana; e Dio faccia che ciò sia a vantaggio della pubblica morale ed economia, della umana dignità, ma più e sopratutto per il bene delle anime redente da Gesù Cristo.

Da: L’Evangelista – FAHNE Der Karneval