Il cappello

Piangete, cari fratelli miei, piangete le sventure della creatura più misera e contrariata, benchè utile e paziente assai meglio di un asino; piangete una lunga e non interrotta Iliade di sventure, ch’essa deve soffrire compatita o spregiata, curata o vilipesa.
Se il titolo non ve lo dicesse, qui vi direi che parlo del cappello, di quella covertura del capo chiamata da un amico mio purista feltro, come che qualche volta sia di felpa, o di paglia o coperta di seta… E per dar fuoco al pianto (che vi pare dell’antitesi? ) comincerò dal momento in cui il cappello è cappello, cioè dopo che la pelle dell’animaletto innocente, proprietario imprescrittibile di que’peli, è stata forata dai pallini dell’archibugio, tosata dalle forbici; dopo che il pelo è stato mescolato colla più fetente colla, battuto, cardato, bollito, bagnato, asciugato, conformato, foderato, scopettato, e mille altri malanni, un terzo de’ quali sofferto da un antico abitatore di Sicilia avrebbe centuplicato la bella fama di Falaride, e di quella buona coppia de’Dionigi.
Appena vi presentate a comperare un cappello, il venditore ve ne offre tre o quattro, e prima di assestarveli sul capo dà ad ognuno un paio di colpi di bacchetta, che vi rimbombano nelle viscere.
Dev’esservi un destino avverso ai cappelli, perchè non appena uscite di casa fornito di un cappello nuovo e lucente o viene giù dal cielo una pioggia improvvisa, o un’altra meno limpida da qualche balcone dove sta asolando un mal educato fanciullo, e questo danno è vostro e del cappello; se ciò non avviene per somma e rarissima fortuna, non mancheranno amici e conoscenti a centinaia, ai quali facendo di berretta, cioè di cappello, secondo la barbara nostra usanza, ridurrete quel povero acquisto a tornare in casa bistorto e ammaccato, nelle falde, slombato nel cucuzzolo, o slabrato nell’orlo.
Ad onta del venerando Vocabolario della Crusca, con manifesta ingiustizia non è adoperato il verbo per dinotare l’atto di porre sulla propria testa il cappello, e mentre noi diciamo calzar le scarpe, indossar l’abito, cinger la spada, non vogliamo dire incappellare il feltro: se taluno disse incappellatevi ne moverebbe a riso; perchè domanderei io!

L’acqua, il sole, la polvere prendon di mira principalmente il cappello; nelle case altrui, o siete intimo e lo lasciate nella prima stanza posandolo su di un desco, donde spesso lo togliete lordo d’immondizie o macchiato d’olio; o veramente siete conoscente novello e lo tenete fra le mani roteandolo come cosa noiosa e di poco valore.
Nel primo caso tra la fodera di seta e la striscia di pelle deponete i viglietti che scrivete alla signora di casa, e ne togliete quelli ch’essa risponde a voi – guardate il bell’incarico del cappello! – Se la risposta è dolce, buttate in aria il cappello dalla gioia, s’è avversa, lo battete rabbioso in terra.
E qualche volta il vostro cappello serve ai non vostri amori, sic vos non vobis ec., particolarmente se siete padre, zio, e cose simili.
Un mio amico per nome Bartolomeo, che supponeva essere amato da una damigella, andando via dalla casa di questa un poco prima del consueto in una sera trovò nella fodera del cappello un vigliettino di bella carta colorata in rosa; corse alla soscrizione e lesse la tua fedele eternamente (!!!!) Rosina. È fatta: sono al colmo de’miei desideri: ma quando lesse tutta la lettera trovò un caro Alessandro che gli fece gonfiar la fronte. Che divenisse di quel cappello tace la storia, certo è che sul capo del povero Bartolomeo non posò più lo sciagurato! non colpevole certamente del comico qui pro quo.

Se vi annoiate in casa, e sfortunatamente i padroni di essa non si annoiano di voi, andate per uscire, e trovate un sequestro, cioè non trovate il cappello; pregate, supplicate, avete premura, vi attende un debito per pagarvi (cosa rara!) tutto è inutile, l’embargo è posto e dovete rassegnarvi; per voi non è pietà, maledite il sequestrato cappello.

Se andate ad una festa congedatevi dal vostro cappello, poichè la calca velo pesterà tutto in principio, sia pur vecchio quando Matusalemme, non lo rivedrete più in terra, e ne troverete invece un altro in istato anche peggiore del vostro, cosa che in buona fede credevate impossibile. Fosse almeno il surrogato tale per capacità da potervi coprire il capo nel riedere ai paterni focolari!
Se siete geloso, voi torturate il cappello ogni volta in cui alla vostra bella si appressa un bellimbusto; se vi danno il thè, lo dovete porre sulla sedia… se per via un amico vuole scherzare vi dà sul cappello un colpo col bastone; se volete bastonare alcuno, il cappello vi cade; se volete fuggire, lo gettate via; se fa caldo ne bestemmiate il peso; se il sole è forte lo torcete in tutt’i modi per quarentirvi gli occhi, e vi lagnate delle tese troppo strette.
Eppure nel cappello è sculta la fisionomia dell’animo vostro; se lo mettete dritto sul capo sembrerete un uomo di conto, se sull’occipite un idiota, se sulle ciglia un traditore, se sugli orecchi un attaccabrighe.
Da voi il cappello, invecchiando, passa al domestico, da questo a povero, dal povero al cenciaio, e, ridotto in pezzi, dal cenciaio è venduto a coloro che lustrano i cocchi.
Questa è la vita e la morte del povero cappello, infamato talvolta e tormentato sempre, servendo alla meglio, e rinumerato alla peggio…


E se non piangi, di che pianger suoli?

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La ricreazione per tutti: raccolta di letture piacevoli, Volume 2