IL CAMPIDOGLIO – 1836

Di Defendente Sacchi

Allorchè si pone piede in Roma, l’animo è subitamente sollevato fra grandi pensieri, e ad ogni passo si trovano i monumenti che testimoniano Roma per trenta secoli grande fra le nazioni, Roma sede d’un senato di re, e quindi di pontefici, che diede prima coll’armi, poi colla credenza leggi all’universo; quindi a dritto chiamata la città eterna.
Il Campidoglio e il Vaticano accolsero i trionfi e le glorie degli antichi e de’ moderni potenti: dall’uno partiva quel volere a cui serviva il mondo, dall’altro quell’opinione a cui inchinano gli umani sentimenti.
Il Campidoglio e il Vaticano riprodotti ai nostri lettori compendieranno alla loro mente la grandezza di Roma. Però non v’ ha nè monumento, nè azione, che appartengano alla gran città, ne’quali per non si distinguano le due epoche antiche e moderne; gioverà quindi nel presentare ora il Campidoglio, ricordare quale fosse quando vi traevano in trionfo i conquistatori dell’universo, e quale sia ora, ove, per esprimermi con Guidi, fermarono il loro carro le muse, perchè i moderni con grandi opere d’arte vi innalzarono un’ara al bello sentito da tutte le nazioni incivilite.

Campidoglio antico

Il Campidoglio è uno dei sette monti di Roma, che ha una forma d’ellisse irregolare; si solleva alle due estremità lasciando una valletta in mezzo: la prima era il vero Campidoglio, la seconda l’arx o rôcca, l’ultimo intermontium: però in antico il monte chiamavasi Saturnio; quivi Romolo levò il primo tempio a Giove Ferretrio, qui Tarquinio un secondo a Giove Ottimo Massimo, che fu detto Capitolino, perchè nel lavorarne le fondamenta si trovò un cranio umano; quindi seguirono tutti i grandi di Roma ad accrescere la magnificenza e le dovizie di questo tempio.
Gli Archeologi vollero dare le dimensioni di questi tempi antichissimi, che noi lasciamo perché reputiamo troppo incerte, giacchè vennero incendiati nelle guerre civili di Mario e Silla, e solo ristaurati ai tempi di Vespasiano, nè fra le rovine che seguirono ne’secoli di mezzo, tanto ne restò che si possa dedurne l’antica costruttura.
L’altra sommità chiamata Arx, e poi rôcca Tarpeja, a ricordanza della vergine uccisa dai Sabini che la aprì ai soldati di Tazio, era la vera rôcca di Roma. Quivi poi sorgeva la rupe o il sasso di Carmenta, da cui si precipitavano i traditori.
Nella valletta o intermontio, vi era un boschetto sacro, piccolo tempio, e quivi il fondatore di Roma aveva sacrato l’asilo che fu principio alla città.
Questo monte era il palladio della potenza romana. Quivi erano sacre, le antiche glorie associate al nome degli Dei, quivi sovente sedeva il senato a deliberare nel pericolo della patria, a creare quelle leggi che poi riunite accennarono di acchiudere tutta la sapienza di umano e divino diritto; quivi i padri nelle guerre commetterano ai consoli e la spada e il po tere per dar principio alle imprese: e quivi finalmente i vincitori del mondo traevano trionfanti a deporre sull’ara le spoglie de’ nemici e a cogliere le corone di gloria.

Campidoglio moderno

Nelle devastazioni che i Barbari fecero di Roma, i quali scrollato l’Impero, vollero toglierne fino le orme, caddero i templi del Campidoglio, anzi l’intero monte fra i rottami che alzavano il suolo dell’intera città parve rammiliarsi; (pian pianino) le due cime e la valletta presero un piccolo ondeggiar di terreno, e la rupe Tarpeja divenne sì bassa che certo ormai ne è innocuo il precipitarvisi.
Ora conducono al Campidoglio due grandi cordonate: La principale è nel mezzo, fiancheggiata da balaustre: al basso son due leoni e alla somunità due statue equestri, e perciò chiamasi la salita dei leoni: mette all’antico intermontio, ora alla piazzetta del Campidoglio, in mezzo alla quale è la statua equestre in bronzo di Marc’Aurelio, mirabile antico lavoro; cavallo di tanta bellezza e verità che Carlo Maratta ogni volta che gli passava vicino gli diceva: va; non sai che sei vivo ?
Fronteggia la piazza un palazzo fondato da Bonifazio II; la sede del Senatore di Roma: la fiancheggiano altri due palazzi elevati con disegno del Buonarrotti e dove si raccoglie il museo capitolino.
Sulla sommità a sinistra, ove era il tempio di Giove Capitolino, si leva la chiesa di Ara-Coeli, alla quale mette dal piano di Roma la seconda cordonata, anzi una scala di 124 scalini fatti coi marmi del tempio di Quirino. Nella parte opposta, ov’era la rôcca Tarpeja, e ora chiamasi monte Caprino, è un palazzo privato.

Parrà che quindi sia affatto smarrita la grandezza dell’antico Campidoglio, ma se quella scadde del valore militare, vi è invece risorta quella delle arti : quivi i pontefici raccolsero le più grandi statue che siansi conservate dell’antichità; e i capolavori della pittura moderna. Quivi ha una sala ove sono riunite le statue e i busti degli antichi romani, e quivi, cominciando da Cesare e da Augusto fino a Giuliano, vedonsi radunate numerose effigie di imperatori e imperatrici: qui vi si gode leggere su que’volti la storia delle loro virtù e de’ loro vizj, e fra quel muto senato di statue pare che sia eloquente la storia di quattro secoli, del più grande splendore e della più grande decadenza di Roma.
Fra queste meditazioni si inoltra nella sala de’filososi e nelle prossime gallerie ove sono numi ed eroi, statue egizie, greche, romane: questi marmi ne richiamano tutta quella grande antica sapienza che pose l’ alto principio delle dottrine che fecondarono la mente de’ moderni a creare le scienze e le istituzioni: quella ridente teologia antica che fecondò la fantasia dei poeti, e quelle opere onde le arti moderne dedussero gl’insegnamenti e le inspirazioni dell’ottimo e del bello ideale.
Fra queste, la stanza del gladiatore moribondo desta meraviglia per la squisitezza delle arti antiche; noi innalziamo busti e statue ai cantanti, che ne allettano e cercano le passioni dell’animo, e i Romani ne erigevano a quelli che solleticavano la loro ferocia, dando miserabile spettacolo di sangue, combattendo non per ira, ma per gioco, e studiandosi di atteggiarsi con grazia nella lotta e di morire con arte.
Uno di questi eroi del circo ebbe l’onor d’una statua, ed è raffigurato appunto nel momento che muore. Vi abbia o arte o natura, è certo che in questo caduto il quale si sostiene per un braccio, è tanta espressione in tutta la persona che s’accorda al languore del volto, che è maraviglia: pare che si vedano in lui affievolire lo forze, pare che su quel viso si veda smarrire il colore, che da quel labbro fugga la vita: bello l’Apollo, vezzosa la Venere, ma son belli solo da contemplare; il Laocoonte commove: forse sarò in errore, ma mi pare che la statua più commovente serbatane dall’antichità, sia il gladiatore moribondo.

Le arti moderne splendono nella galleria dei quadri: se quivi fosse la Trasfigurazione, certo quella del Camppidoglio sarebbe la prima galleria del inondo. Pero quivi sono copiose opere di tutti i grandi artisti d’Italia in tutti i secoli, talchè dopo l’entusiasmo eccitato dalle opere antiche, si sente con orgoglio che non iscaddero i moderni, quando vollero colle arti farsi rivali della natura.

Nel palazzo senatorio nulla v’ha nè di antico, nè di moderno: ivi si leva una torre, d’onde si vede sottoposto il Campidoglio, e intorno l’Arco di Tito, Campo Vacino, gli avanzi del tempio della Pace, la via su cui passavano trionfando i vincitori del mondo: ivi si vedono la Mole Adriana, tomba d’un imperatore, la cupola di S. Pietro, ombracolo alla Cattedra del Pescatore: da quell’eminenza col girare di uno sguardo si vede compendiata Roma di venti secoli.

Defendente Sacchi

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