I sette colli di Roma

FILIPPO PORENA

Quali sono i sette colli di Roma? Parrebbe che a tale domanda dovesse seguire immediata e categorica la risposta. Roma è la più celebre città del mondo e quella certamente sulla quale più si è discorso e scritto, e le prominenze del suo suolo parve che ne debbano formare tale una caratteristica da suggerire quella sua perifrasi, la città dei sette colli.
Eppure provandoci ora a risolvere su dati positivi il quesito, finiremo col concludere che, in un certo senso, que’ suoi sette colli non si sa precisamente quali essi sieno.
Tutte, quasi, le recenti guide di Roma, nostrane e straniere così li enumerano in conformità della tradizionale serie de’ suoi successivi ampiamenti: il Palatino, nel quale Romolo costruì la città primitiva; il Capitolino, su cui Romolo stesso innalzò la sua rocca; il Quirinale, su cui si trasportò Tazio coi suoi Sabini per formare colla romolea una sola città; il Celio, aggiunto da Tullio Ostilio; l’Aventino, da Anco Marzio; il Viminale e l’Esquilino, da Servio Tullio. Le mura e l’aggere di questo compresero l’eterna città durante tutta l’età repubblicana e oltre due secoli e mezzo dell’impero, cioè fino ad Augusto e ad Aureliano.
Prescindendo, pero dall’attuale cinta daziaria e limitandoci al perimetro delle mura che la chiudevano prima del 1870, oltre i sette colli menzionati, sorgevano dentro di questo il Pincio (anticamente Collis hortulorum), il Gianicolo e il Vaticano. Non parliamo del Montecitorio, del Montegiordano e del Testaccio; si sa che questi sono dell’eminenze puramente artificiali, costituite, le prime due da cumuli di rovine, la terza da una catasta di cocci. Ma sempre la Roma dei Papi, invece che sette, di colli ne comprendeva dieci; anzi il Pincio e il Gianicolo erano già stati inclusi da Aureliano. Ebbene si potrà dire, ciò non conta. Nel periodo più glorioso della sua storia Roma fu determinata dalle mura serviane e quindi quali i sette colli devono prendersi proprio quelli enumerati, che sorgono appunto dietro il circuito di esse.
Considerato in tal modo il quesito, non vi è dubbio ch’esso sia perfettamente risoluto. Però si badi che quando si fa quella tal dimanda, tutti, credo, che implicitamente intendono di riferirsi, non a quello che ne possano oggi giustamente stabilire i moderni, bensi a quello che ne ritenessero veramente gli antichi. Mi spiego. La domanda: quali sono i sette colli di Roma ? può farsi in due sensi. Quali sono i sette colli compresi nelle mura di Servio? Quali sono i colli che gli antichi consideravano quali i sette sacramentali di Roma? La prima formula il quesito quale, senza troppo pensarci su, l’hanno risoluto tutte le guide anzi, tutti, quasi gli scrittori dal Rinascimento in poi. Ma la seconda? La seconda è appunto quella che non ha risoluto pienainente nessuno, e che anzi, come dicevo, pare non possa sicuramente risolversi.

Già, in primo luogo gli antichi non usavano per significare le autonomastiche prominenze di Roma la parola colles ma quella di montes. La festa che si celebrava con grandissima solennità fino ai più tardi anni dell’Impero chiamavasi il septimontium (MoMMSEN Röm. Gesch., lib. I, cap. VII).
Inoltre abbiano da Festo che ne’ tempi più antichi per i sepseptem montes non s’intendevano quelli della Roma serviana ma altri di cui egli per fortuna ci dà i nomi (FESTUS, alia parola septimontium) e questi sono: Palatium, Germalus, Velia, Oppius, Fagutal, Cispius, Subura. Questi nomi sono oggi tutti identificati coi loro posti, meno il Fagutal per cui rimane qualche dubbio. (V. O. RICHTER Topogr. der Stadt Roma, Nordinger 1889, p. 54).
Il Palatium e il Germalus formano, presi insieme, il Palatino, distinti fra loro da un valloncello o intermonzio di cui il Germalus era all’O. il Palatium, all’E.; la Velia era un leggiero rigonfiamento che quale contrafforte, o propagine del Palatino si spingeva verso l’Esquilino, o piu propriamente verso l’Oppius; l’Oppius era la sporgenza mediana dall’ Esquilino; il Cispius ne era la sporgenza più settentrionale; la Subura non era un’elevazione ma lo spianamento fra l’Oppius e il Viminale; il Fagutal finalmente, secondo alcuni, era la sporgenza più meridionale dell’Esquilino, secondo altri, il declivio dell’Oppius verso il Cispius
Da tale identificazione risulta in primo luogo che questi septem montes non si riferivano punto alla città serviana, della Repubblica e dei primi 2 secoli e mezzo dell’Impero, ma solo alle adiacenze del Palatino, e quindi dobbiamo ritenere che tale ripartizione riguardasse la primitiva città di Roma, cioè la romulea di cui il Palatino, o più propriamenle il Palatium costituiva la parte principale, o l’acropoli, e le altre de’ quartieri secondarii. Di più appare che il nome di montes non era preso in senso proprio; giacchè tali non si potevano qualificare la Velia e la Subura, e forse anche il Fagutal se rispetto ed esso seguiamo la seconda delle surriferite opinioni, che, poi, oggi è la più accreditata presso i topografi dell’alma città. Montes doveva esser preso in senso di quartieri, e si sa che tali designazioni si finisce col non adoperarle più il loro valore etimologico; tanto vero che si diceva, e si vuol dire anche oggi di qualche città che sia divisa in sei o otto quartieri.

Sappiamo, poi, che il Palatino era detto dagli antichi mons in opposto alla collina, che era il Quirinale su cui era in origine un’altra città, diversa e forse emula di Roma, la quale in seguito finì per fondersi con questa. Il quale fatto è simboleggiato colla pace fra Tazio e Romolo. Gli abitanti di Roma palatina eran detti Ramnes, che voleva dire montanari, (MOMMSEN, op. cit. lib. I, cap. VII).
E forse da ciò deriva che le sue circoscrizioni si dicessero montes. Perchè poi si stabilisse tale opposizione non sappiam dirlo sicuramente. Se consideriamo le condizioni di altitudine (quali si conservano oggi però, che possono essere artificialmente molto cambiate), la quota massima del Palatino è di 52 m. quella del Quirinale è di 54 m., e quindi non può essere l’altezza del Palatino che gli procurasse la qualificazione di mons rispetto al Quirinale. Forse l’asprezza originaria di pendii fu la causa di questa distinzione. Ad ogni modo se non ne possiamo indicare la ragione, sappiamo certamente il fatto che il Palatino era qualificato mons, il Quirinale collina.
Da tutto ciò possiamo concludere che dalla divisione di Roma primitiva (quale si attribuisce alla fondazione di Romolo) in sette quartieri, o, come dicevasi, montes, si formò subito il concetto del septimontium e si consacrò con una festa augurale e simbolica. Ma in seguito Roma varcò tali limiti e finì col recinto di Servio per abbracciare le sette elevazioni distinte del Palatino, Capitolino, Quirinale, Celio, Aventino, Viminale ed Esquilino, e si divise uffizialmente colla partizione pure attributa a Servio, nelle quattro tribù urbane, che compresero appunto quelle sette elevazioni cioè la tribù Palatina (formata dal Palatium, Germalus e Velia); la Subura (dall’antica Subura, più le Carine, cioè la punta più esteriore dall’Oppius e dal Celio); l’Esquilino (da tutto il resto di questa molteplice elevazione); la Collina (dal Quirinale Viminale). Fu naturale che, celebrandosi il Septimontium, e non essendo più usuale l’antica circoscrizione che costituì l’origine di tal festa bensì mostrandosi a tutti presenti le effettive elevazioni dall’attuale città, si riferisse a queste la rituale solennità. D’altra parte i nomi delle antiche restavano tuttavia nella memoria, se non di tutti d’alcuni, che saranno stati i più dotti e quindi i più autorevoli. Questo dunque rimase universalmente il concetto che Roma era la città del septimontium, altrettanto divenne parziale la nozione di quali fossero propriamente i septem montes.

E cominciò una tal quale oscitanza nel designare costituiva questi, per una specie di conflitto tra il presente ed il passato tra quel che si vedeva e quel che si ricordava. Dal che derivò un fatto che meraviglierà tutti quelli che lo sentono annunziare la prima volta che cioè gli antichi non sapevano con sicurezza quali dovessero dirsi i septem montes; tanto vero che presso nessuno dei classici scrittori noi li troviamo enumerati.
Da un passo, però, di Cicerone (Epist. ad Atticum, VI. 5) e da uno di Plutarco i Romulus, 69) si può confusamente dedurre che ai loro rispettivi tempi tra i sette monti si computasse più di uno della Roma serviana. Più tardi crebbe la confusione quando vi si cacciò qualche altro pure della Roma di Aureliano e della Cristiana. La prima enumerazione esplicita dei sette monti si ha nella Notitia urbis Romae, del tempo di Costantino, che può dirsi la più antica guida dell’ eterna città.
In essa i sette colli, per dirla colla frase prevalsa tra i moderni, sono: il Palatino, l’Aventino, il Celio, l’Esquilino, il Tarpeo (Capitolino), il Gianicolo e il Vaticano; ove come si vede, compaiono questi due colli alla destra del Tevere, di cui il primo fu compreso dal muro di Aureliano, il secondo era ancora fuori delle città e fu chiuso solo, nientemeno che da Leone IV (847-855 d. C.) e con mura proprie da formare una città distinta, la Città Leonina, Il Quirinale e il Viminale sono espressamente esclusi dalla Notitia perchè colles e non montes; ultimo eco, forse della primordiale opposizione fra il Palatino e il Quirinale. Servio gramnatico, il commentatore di Vergilio, dà l’enumerazione oggi in uso, ma al Capitolino sostituisce il Gianicolo (Aen. VI, 683). Da queste due enumerazioni, per trovarne un’altra, dobbiamo saltare a piè pari più di dieci secoli, cioè al Rinascimento; nel quale Flavio Blondo (Roma instaurata I, 65) designò quali i sette colli di Roma quelli che nominammo in principio, e che fino ad oggi furono e sono quasi unanimamente ammessi.
Per riassumere, ripetiamo la domanda e soggiungiamo senza altro la molteplice risposta. Quali sono i sette colli di Roma? Le sette elevazioni che spiccano effettivamente nell’area Roma repubblicana e del fiorente impero, e che perciò potrebbero dirsi i sette colli topografici, sono: il Palatino, il Capitolino, il Quirinale, il Celio, l’Aventino, il Viminale e l’Esquilino. Pero i cosi detti montes, per ragione de’ quali si stabilì fin dagli esordi della città la festa del septimontium e che perciò potrebbero dirsi i sette colli rituali, sono: il Palatium, il Germalus, il Velia, l’Oppius, il Fagutal, il Cispius, la Subura.
Inoltre posteriormente, cioè nel ciclo classico, i Romani, celebrando quella festa, non seppero più chiaramente se essa si riferisse ai primi o ai secondi colli, e quindi non ve ne furono nell’antichità di legittimamente riconosciuti dai cittadini e dallo stato, da potersi designare quali i sette colli uffiziali. Infine nel Rinascimento, ignorandosi o non tenendosi conto dei rituali; si adottarono i topografici, i quali poi per il lungo lasso di tempo da che sono stabilmente di età in età tramandati, potrebbero anche dirsi i sette colli storici.

Da: Geografia per tutti rivista quindicinale per la diffusione delle cognizioni…
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FILIPPO PORENA
Geografo (1839 – 1910), membro dell’Accademia delle Scienze di Torino dal 1903, docente universitario a Messina, Palermo e Napoli, autore di opere corografiche e di storia della geografia.