I CAVALLI DI SAN MARCO

E una bella curiosità quattro cavalli sulla facciata di una chiesa. Bizzarri cervelli quei Veneziani! Negli altri paesi dinanzi alle chiese si mettono santi, angeli, madonne; a Venezia si mettono cavalli. E dove voi avreste creduto di vedere quattro evangelisti, signori no vi tocca vedere quattro quadrupedi che col vangelo non ci hanno che fare.
Pazienza se fossero buoi! San Luca li prenderebbe sotto la sua protezione. Meno male se fossero cani! San Rocco farebbe per essi. Alla buon’ora se fossero asini! Balaamo e Gesù Cristo li proteggerebbero. Pazienza ancora se fossero maiali! Sant’Antonio se li metterebbe in letto. Ma quanto a cavalli, salvo errore, non mi pare che si trovi in paradiso: perchè dunque i Veneziani al loco dei santi mettono i cavalli?
La cosa diventa tanto più seria in quanto che quei quattro animali invece di essere benedetti e di godere di buona riputazione presso il pubblico, sono bestie di cattiva vita, e le loro avventure sono tutt’altro che edificanti.
Bisogna saper che essi nacquero non mica da padre cristiano come sarebbero un Michel’Angelo Buonarrotti, un Benvenuto Cellini, un Gian Bologna che ebbero tutti il santo battesimo, ma traggono origine da un pagano che si chiamava Lisippo il quale vendeva le belle figurine in Atene al tempo che si adoravano i Bacchi, le Minerve, i Saturni ed altri Mazziniani, della stessa razza.
A che cosa servissero quei cavalli almeno quando Lisippo li ha fatti nessuno ha mai saputo. Chi sa! Servivano forse a tirare il carro di Giove andava di notte a zonzo intorno alla casa di Leda, o di Europa, o di Danae, o di altra civettuola della stessa specie; perchè Giove, per dirvela in confidenza, era piuttosto dissoluto, e fra il chiaro e scuro ne faceva quelle…. ma via, non voglio aggiunger altro, perchè il parlar male delle autorità quando non hanno più il portafoglio, potrebbe passare per poltroneria.
Qui alcuno vorrà forse osservarmi che per il suo carro Giove aveva l’aquila. L’aquila? siamo intesi. Nei giorni di festa, nelle pubbliche faccende si serviva dell’aquila… ma di notte, per gli amorosi contrabbandi, tanto più con Giunone, che era gelosa come un serpente, fosse stato pazzo a servirsi dell’aquila; tutti all’indomani avrebbero saputo che babbo Giove si era divertito fuori casa e Giove che la sapeva lunga, lasciava l’aquila nel granaio e calava di soppiatto nella stalla a imbrigliare i cavalli.
Fosse poi questa o non fosse la vera destinazione dei bruni corsieri di Lisippo, fatto è che essi comparvero alla luce nel tempo in cui la Grecia, che aveva già perduto mezza la sua libertà sotto Filippo il Macedone, perdeva quasi tutta la sua gloria sotto la spada di Alessandro. Sempre così, quando i popoli liberi invece di circondarsi di buone leggi e di buone armi pensano a dipingere, a scolpire, a suonare, a cantare, addio libertà. I Filippi e gli Alessandri, in questi casi, sono sempre pronti.
Dopo la loro nascita, alquanto equivoca come vi ho detto, che cosa fecero di bello i nostri quadrupedi? Probabilmente vissero da oziosi e vagabondi, perché non si ebbe quasi notizia dei fatti loro; e la prima volta che ci tornano a comparire dinanzi è niente meno che a Roma sull’arco trionfale di Nerone per la vittoria da lui riportata sui Parti.
Vedete eh! che bagattella, nati in tempi corrotti nella Grecia se vanno a vivere in giorni di scellerata tirannide a Roma; e dopo la bella educazione che ebbero da Filippo ed Alessandro, passano, adulatori di reggia, a vita vituperosa con Nerone. Sfacciati!
Giacchè erano a Roma vi avessero almeno saputo stare! se vi furono dei cattivi, anzi dei pessimi imperatori, ve ne fu anche qualcheduno di buono; è una rara derrata, questo è vero, ma insomma i Vespasiani, gli Adriani, i Marc’Aurelii vi sono stati; e trovar peggio di Nerone era poi impossibile.
Ma oibò! Quelle quattro male bestie nemmeno a Roma seppero pigliare stabile domicilio; e mille anni dopo, sapete dove furono trovati ?…. In Turchia si trovarono, sì signori in Turchia , dove Marino Zeno Veneto podestà di Costantinopoli, vedendole in molta famigliarità non solo col Sultano ma con tutte le autorità del serraglio, compreso il capo degli Eunuchi, e temendo che gatta ci covasse, fece un bel giorno impagliare, imballare e imbarcare tutti quattro i cavalli, che dalle moschee turche di Costantinopoli passarono alle chiese cattoliche di Venezia, e dopo aver rinnegato Saturno per Maometto, rinnegarono Maometto per Gesù Cristo, dispostissimi forse, dopo essere stati pagani, turchi e cristiani, a farsi ebrei secondo le circostanze.
A Venezia che cosa credete voi che facessero le nostre bestie? Quantunque si trovassero sul pronao di una chiesa in compagnia della Santissima Trinità e delle Virtù Teologali, quei baroncelli scorgendosi vicini al palazzo del doge, trovarono commodo mischiarsi di politica, e si fecero cosi amici del Consiglio dei Dieci, e ficcarono il naso cosi opportunamente nella segreta Commissione dei Tre, che della maggior parte delle birberie del Ponte dei Sospiri furono più che consapevoli.
Ma siccome col tempo e colla paglia maturano per tutti le nespole , avvenne che Napoleone I, capitando un giorno a diporto innanzi alla chiesa di S. Marco, e vedendo quei quattro cavalli di bronzo così carichi di peccati mortali a fare gli oziosi in piazza, pensò di farli anch’egli, come Marino Zeno, impagliare, imballare e cacciare sopra una diligenza a Parigi, dove dopo essere stati pagani, turchi e cristiani divennero atei e rivoluzionarii.
Le cose che hanno vedute costoro in dodici o tredici anni in quella babilonia che ha nome Parigi, non importa ch’io vi dica; già voi le sapete tutte; basterà accennare che nel 1814, quando gli amici della santa alleanza, capitarono nella Senna, i nostri cavalli fra tante popolazioni diverse che inondarono la Francia, si innamorarono di bel nuovo dei Croati, e tanto dissero e tanto fecero nel Congresso di Parigi, che l’imperatore Francesco di buona memoria li fece alla sua volta impagliare, imballare e caricare per ricondurli a Venezia non più sotto la repubblica di S Marco ma sotto il benigno governo di Sua Maestà Imperiale.
Qui l’arguto ingegno e il cuor patriotico di Angelo Brofferio, di cui abbiam citato le parole, invocava il momento che dinanzi a codesti leoni che han visto tante vicende, sventolasse il vessillo tricolore. Questo momento é lode a Dio arrivato, ma il povero Brofferio non visse abbastanza per vederlo.

Disegno del 1867

Tratto da Google
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