Gennaio


Scorgete voi quel vecchio malinconico, di cui diamo figura di una incisione, ravvolto in grossi panni, con la lunga barba flagellata dalle gelide aure, che si soffia in sulle dita della mano destra per riscaldarle, che tiene sotto il braccio sinistro un fascio di legna, e regge colla man sinistra la scure con cui testé le ha troncate? Egli è il Gennaio. L’urna da cui sgorga una copiosa fonte e su cui tiene i piedi, esprime il segno di Acquario in cui entra il sole in principia il carnevale, il mese dei teatri, delle veglie, dei balli e degli amori.
Il gennaio è puranco il mese in cui la carità più largamente e più amorevolmente si esercita. Al vedere la neve, il gelo e la pioggia, l’uomo si sente più naturalmente tratto ad aver pietà di quegli infelici che, oltre il freddo, soffrono anche la fame.
Nel calendario romuleo non c’erano che dieci mesi. Numa ve n’aggiunse due, gennaio e febbraio. E gennaio intitolò da Giano, antichissimo nume italico, a cui si dicevano affidate le ‘chiavi ‘del cielo, e che ora veniva rappresentato bifronte ed ora quadrifonte: bifronte cioè, per esprimere colle sue due facce di giovine e di vecchio, il tempo passato e il tempo futuro: quadrifonte per simboleggiare le quattro stagioni, della cui successione si compone l’anno. E veniva Giano anche più chiaramente rappresentato come preside dell’anno dai dodici altari, simbolo dei dodici mesi introdotti da Numa, in mezzo a’quali s’innalzavano la sua statua.
Il dì primo del gennaio è il capo dell’anno, e quindi il giorno delle visite, degli omaggi, de’ felici auguri e degli agognati regali. I quali regali chiamansi strenne, perché ad essi presiedeva appo gli antichi Romani la dea Strenna.
Riferita vien l’origine delle strenne a Romolo ed a Tazio che regnarono congiuntamente su Roma 747 anni avanti l’era cristiana. E narrasi che Tazio avendo preso per buon augurio alcuni ramoscelli troncati in un bosco sacro alla de Strenna, cioè la dea della Forza, stati a lui presentati il primo giorno dell’anno come segni di pace e di concordia tra i romani e i Sabini quest’usanza divenne un rito. I Romani si facevano regali, augurandosi scambievolmente buon anno. Questi regali che prendevano il nome di Strenne, erano principalmente composti di datteri, di fichi di confetti, ecc. Si portavano pure le strenne agli imperatori e ai magistrati. I Greci assoggettati dai Romani tolsero da questi l’uso delle strenne, il quale non cessò più mai in Europa, e vive tra noi quasi colla freschezza dei tempi antichi. I padri ai figli, i mariti alle mogli, gli amanti agli amanti, i superiori ai superiori fanno regali in questo mese, per cui si potrebbe chiamarlo il mese più utile di tutti. Parlo per chi riceve; per chi dà soltanto è il mese più terribile.

Tratto da Google Libri
L’illustrazione popolare vol. I