Festa del matrimonio o delle Marie


Di Giustina Renier Michiel · 1852

Il matrimonio fu ogni tempo celebrato, in queste lagune con grande solennità. Gli avoli nostri conoscendo l’importanza e i vantaggi del matrimonio, giudicarono necessario di aggiungere alcune parziali formalità, onde renderlo più augusto e più santo.
Di fatti, se si pone mente alla storia di tutti i popoli, troverassi, che il matrimonio è sempre stato il mezzo migliore per consolidare la pace e l’unione tra le nazioni anche le più nemiche fra loro e per comporre in tal modo la grande famiglia sociale.
E chi può dubitare dell’effetto di una istituzione fondata sopra uno de’primi bisogni dell’uomo, che converte una sensazione passaggiera in un nodo permanente, e che colla felicità particolare degl’individui assicura la felicità nerale della società? Non potrebbesi al certo mai abbastanza proteggerla, posciachè concilia sì bene le viste della natura colle viste politiche.
Ben videro i nostri maggiori, che questa dolce unione e questo legittimo innesto di schiatte e di famiglie, non solo diverrebbe un mezzo d’ ingrandimento e di forza per la patria, ma distruggerebbe altresì ogni germe di dissensione e di rivalità, se mai ve ne fosse a temere: Perciò appunto credettero, che quanto più la pubblicità di quest’atto sarebbe solenne, tanto più gli sposi sentirebbero la forza dei loro impegni e doveri verso la società, e tanto più ancora dal canto suo, la società assicurerebbe e guarentirebbe questa unione a lei troppo preziosa col prendere gli sposi sotto la sua tutela, e col proteggerli contro ogni genere di attentati.
Quindi è che della solennità di celebrare le nozze si fece una festa veramente nazionale.
A questo fine si stabilì l’uso di celebrare quasi tutti i matrimoni in uno stesso giorno e nella stessa chiesa.
Il dì a ciò destinato fu quello della Purificazione di Maria, che cade ai due di febbraio e la chiesa quella di san Pietro di Castello, detto allora Olivolo.
Venivano le spose alla chiesa portando seco la meschina lor dotte in una picciola cassa, chiamata Arcella; poichè in que’ felici tempi d’innocenza e di moderazione, non compravasi nè marito nè moglie con oro.
Colà stavano esse aspettando gli sposi che le raggiungevano col corteggio dei parenti degli amici e di una folla di spettatori. Udivano insieme la messa solenne celebrata dal Vescovo, dopo la quale pronunziava egli un discorso sopra la santità dell’impegno, che gli sposi stavano per contrarre e sopra i doveri che Dio stesso a loro imponeva; indi santificavasi la loro scelta colla benedizione episcopale ad ogni coppia.
Finite tutte le cerimonie, ognuno degli sposi porgeva la mano alla sua compagna e prese in consegna le Arcelle, s’avviavano tutti alle loro case accompagnati da quello stesso lieto cortèo, che gli aveva seguiti alla chiesa. Il rimanente del giorno era consacrato ad una tavola frugale si, ma saporita, e ad una danza gioviale si, ma senza arte.

Quando fu poscia fissata la costituzione, stabilito un Doge come capo della Repubblica e la città cresciuta in ricchezze e popolazione, allora si volle rendere questa cerimonia più brillante e magnifica.
Decretossi, che dodici fanciulle di condotta irreprensibile e di non comune avvenenza, tratte dalle famiglie più povere, venissero dotate dalla nazione e andassero all’altare accompagnate dal Doge stesso rivestito del suo regal manto e circondato dal pomposo suo seguito.
Allora gli abbigliamenti delle spose ottennero maggior gaiezza e magnificenza. Ritenevano esse è vero, la modestia e l’innocenza nelle vesti, ch’ erano tutte candide, siccome candido era il lungo velo, che dalla testa dove appuntavasi scendea largamente a ricoprire gli omeri; ma i loro colli vennero fregiati e cinti d’oro, di perle e di gemme.
Quelle che non potevano riccamente ornarsi del proprio, non arrossivano di prendere in prestanza, per quel dì, li fregi e sino la corona d’oro che lor venia posta in cima al capo, qual segnale di nuove spose.
Il governo avea cura di abbigliare in pari modo quelle, che venivano dotate dal pubblico; ma finita la festa, dovevano esse restituire tutti gli ornamenti, non ritenendo per se, che la dote. Quest’aggiunta di splendido apparato rese la commovente istituzione ancor più bella e maestosa.

Ma un fatto accaduto intorno l’anno 944 fece sì, che la festa venisse a prendere un nuovo carattere.
Alcuni pirati Triestini, avidi sempre di preda, gelosi dell’ ingrandimento di Venezia e dolentissimi che le loro sconfitte recassero un lustro sempre più grande al nome Veneto, osarono fra di loro tramare un orribile insidia.
Per assicurarne l’effetto, nella notte precedente alla gran festa dei matrimonii, si appiattarono entro le loro barche dietro l’isola di Olivolo.
La mattina cogliendo il tempo, che i Veneziani stavano affollati in chiesa per la cerimonia, ecco che a guisa di lampo attraversano il canale, balzano a terra colla sciabola alla mano, entrano in chiesa per tutte le porte ad un tratto, rapiscono le spose appiè dell’altare, s’impadroniscono delle Arcelle, corrono alle barche, vi si gettano dentro colla preda e fuggono a tutte vele.
Che far potevano i pacifici abitanti delle isole, che non altre armi avevano allora a difesa, che festoni di alloro e ghirlande di fiori?

Il Doge Pietro Candian III presente all’infame oltraggio, compreso d’ altissima indignazione, si slancia il primo fuori della chiesa, e seguito dai giovani sposi e da tutti gli astanti, scorre con essi le strade della città chiama tutti i cittadini alla vendetta, in tutti ne accende smaniosa brama, e tosto un gran numero di barche și appronta e si riempie di gioventù risoluta col Doge stesso alla testa.
Per difensori di una sì giusta causa il cielo e l’amore si dichiarano favorevoli: il vento gonfia le loro vele: raggiungono i rapitori verso Caorle, e scorgonli sulle rive del piccol porto tutti affaccendati in disputarsi e dividersi le femmine e il bottino.
I Veneziani non tardano un punto: gli attaccano con furore, li combattono, li conquidono, ně v’ha pur uno, che sottrarsi posse.
Il Doge non abbastanza satollo della vendetta, comandò che i cadaveri fossero tutti gettati in mare, affinchè rimanessero insepolti, e venisse tolto ai parenti e agli amici il mezzo di prestar ad essi alcuna maniera d’onore.
Onde poi perpetuare la memoria di un tale avvenimento, egli impose a quel piccolo porto il nome di porto delle donzelle, nome che ancora sussiste.
In seguito i Veneziani si pongono di nuovo alla vela, riconduconsi in trionfo le racconsolate fanciulle; nessuno ha perduto la sua sposa; tutte ritornano intatte fra le braccia materne.
La gioia inebbria tutti i cuori, ognuno si sente felice e giubila dell’esito di un’impresa, che accresce gloria alla nazione.
Ricominciasi la sacra funzione, gl’ inni della riconoscenza si frammischiano ai canti nuziali e lei giovani spose gustano ancor più la felicità e l’orgoglio di appartenere ad uomini, che avevano saputo sì ben difendere il loro onore e meritare viemaggiormente l’affetto loro.

La nazione di unanime consenso volle, che la memoranda impresa si celebrasse ogni anno alla stessa epoca.
E perchè il corpo de’ casselleri (specie di falegnami) che per la maggior parte erano della parrocchia di santa Maria Formosa, avea somministrato un numero maggiore di barche, e colla sua prontezza e col suo zelo avea avuto parte maggiore nella vittoria, il governo lasciogli la libertà di chiedere quella mercede, che stata gli fosse più cara.
Quanto mai la loro domanda non ci dee sorprendere oggidi? Essi non supplicarono se non la visita del Doge alla loro parrocchia nel giorno dell’annua festa, ch’erasi decretata.
Lo stesso Doge, benchè vivesse in un tempo assai dal nostro diverso, ne rimase maravigliato; e per porgere ad essi occasione di chiedere qualche cosa di più, mise in campo alcune difficoltà intorno a questa visita, dicendo allora col candore di quei tempi: E se fosse per piovere? – Noi vi daremo dei cappelli onde coprirvi.- E se avessimo sete? – Noi vi daremo da bere. Non v’ebbe più luogo a repliche e bisognò accordare una sì discreta domanda.
Il patto fu d’ambe le parti mantenuto, e sino agli estremi della Repubblica, il Doge colla signoria nel giorno della Purificazione della Vergine si recava alla chiesa di santa Maria Formosa, ed il parroco nell’incontrarlo presentavagli in nome de’ parrocchiani alcuni cappelli di paglia dorati, dei fiaschi di malvagìa, e degli aranci. Oh l’avventurosa e mirabile semplicità!

Per ciò poi che riguarda la festa, si cominciò dal sostituire al nome di festa dei matrimoni, quello di festa delle Marie. E ignoto se posteriormente si continuasse la celebrazione de’ matrimonii nello stesso modo di prima; certo è bensì, che sino agli ultimi tempi della Repubblica i matrimoni delle famiglie patrizie si celebravano così pomposamente e con tanta affluenza di popolo, che ogni giorno di nozze potevasi computare un giorno di festività nazionale.
É pur anco ignoto d’onde avesse origine il nome di Maria dato a questa festa; non essendovi’ scrittore che ne parli.

Potrebbesi credere, che ciò fosse, perchè il più delle rapite vergini avevano nome Maria; nome tra noi molto comune oggidi e ancor più comune anticamente. Fors’ anche ciò nacque dall’essere seguita la vittoria dei Triestini; e ‘l racquisto delle spose nel dì della Purificazione di Maria, ovvero perchè la festa finiva colla visita a santa Maria Formosa, unica chiesa allora consacrata alla Vergine.
Ma comunque ella si fosse, tal festa da principio non fu che mera divozione e gratitudine di questi buoni isolani e quindi la sua fama non oltrepassò gli angusti confini entro cui celebravasi.
Ma in seguito tanto divenne famosa per la sua magnificenza, che gli stranieri accorrevano da ogni parte a Venezia, per vederla.
Essa non fu. più la festa di un sol giorno; diventò in vece una festa animata dal trasporto di un piacere, che durava otto giorni, e per cui merito di venire descritta da parecchi scrittori, i quali servendosi della lingua del Lazio, preferirono di darle il nome di Ludi Mariani a somiglianza de’ Ludi Megalesi, Cereali, Floreali ed altri.
In questi otto giorni adunque dodici leggiadre zitelle venivano condotte con pompa per tutta la città.
La scelta veniva fatta da tutti i cittadini nel modo seguente. La città di Venezia, che in sei parti, detti sestieri, è divisa, raccoglieva in ciascuna delle sei principali parrocchie li proprii abitanti, i quali per via di suffragi eleggevano le due figlie più belle e più saggie, che si trovassero nel sestiere.
Al Doge spettava il confermare la scelta; alle parrocchie il somministrare quanto faceva mestieri per adornar le Marie; alla nazione, il pagar la spesa necessaria per la celebrazion delle feste.
Ogni giorno eravi un nuovo spettacolo. Il primo dì le Marie vestite col maggiore sfarzo accompagnate da un numeroso seguito, salivano su certe barche scoperte e con eleganza adobbate, ed erano condotte dinanzi al Doge, il quale accoglievale nel modo che più s’addiceva alla sua dignità.
Tutti andavano alla chiesa patriarcale a ringraziare l’Altissimo dell’ottenuta vittoria, e della ricuperazion delle spose; e le dodici Marie accrescevano l’augusto corteggio del principe. Ritornate a san Marco, il Doge congedava in bella forma le Marie; indi volto all’immenso popolo, davagli la sua benedizione.
Oh quanto questa benedizione era commovente! Oh quanto essa riusciva cara ai Veneziani, che la ricevevano non come sudditi trepidanti, ma come figli, amici, fratelli! Qual sovrano si arrischiò giammai d’impartirne una simile? qual altro popolo fu mai degno di riceverla? In questa cerimonia in cui tutto era animato dalla tenerezza, dalla concordia, dalla felicità, la benedizione del capo dello stato era quella di un padre che non avendo nulla ommesso per la prosperità di quelli, che a lui sono affidati e ch’egli predilige, finisce implorando sovra di essi tutti i benefizii del cielo.
Qual confidenza reciproca! Qual amore inspirar non doveva un atto sì tenero? Di fatti tutti si ritiravano poscia allegri e pieni del vivo trasporto; e già sentivano che i lor legami col governo si stringevano ognora più.
Le Marie rimbarcatesi come prima percorrevano il gran canale, e da per tutto dove passavano spiegavasi un ricco apparato di tappezzerie di ogni maniera, e di frequenti orchestre con mille strumenti.

Toccava a qualcuna delle famiglie più nobili e più doviziose il ricevere in casa le Marie e il loro seguito; il che facevasi con tal profusione e splendidezza di doni, che alle volte la famiglia ospitale pativane notabilmente.
Quindi furono necessarie alcune leggi, che ne moderassero le spese. Egli è per questo che cambiò anche il numero delle Marie, e nell’anno 1272 un decreto del ridusse a quattro, indi a tre sole.

Negli altri sette giorni tutto era gioia e piacere, e non passava dì, che non vi fossero gozzoviglie, danze, mascherate, commedie, regate e mille trastulli.

L’amore stesso coglieva l’occasione di estendere ed esercitare il suo impero. In que’ dì le femmine riscattavansi dal servagio, in cui le teneva il pudore e il severo costume di que’ tempi.
Le Marie stesse non dissimulavano la loro compiacenza e vanità allorchè giungevano ad attirare sovra di se medesime il viril guardo togliendolo alle sacre immagini, che recavansi in processione l’ultimo giorno nell’ andare a santa Maria Formosa.
In somma una festa, che dapprima era stata quella della virtù e dell’innocenza, divenne poscia per ogni classe di persona festa di apparecchiata malizia.

Essendosi per tal modo introdotto il disordine morale, ed oscurata la bella semplicità de’primitivi secoli, il governo credette opportuno di sostituire alle zitelle, che accompagnavano la processione, alcune figure di legno rappresentanti le vergini rapite.
Una mutazione sì nuova e singolare, è ben naturale che dispiacesse al popolo, il quale si abbandonò ad ogni sorta di eccesso, per far conoscere tutto il suo disprezzo verso que fantocci di legno.
Egli seguivali con fischi, con urli, che interrompevano la sacra funzione, e col lanciare loro addosso una pioggia di navoni, il che diede motivo nel 1549 ad un decreto del maggior consiglio a favore delle statue di legno: decreto che ci porge una distinta idea del carattere e dei costumi di allora, In esso viene proibito il lanciare; durante la festa delle Marie, navoni, rape e cose simili sotto pena di soldi cento di amenda, somma a que’ giorni importante.
Per questa legge ebbero fine i popolari trasporti, ma non isvanì il disprezzo conceputo per quelle nuove figure.
E perciochè non evvi mai cosa che valga a distruggere un sentimento interessante, la plebe si vendicò del freno impostole dal decreto contro i navoni, col sostituire ad essi un proverbio, che anche in presente dura, chiamando Maria di legno qualunque femmina, che sia magra, fredda ed insulsa.

Le luttuose vicende della guerra di Chioggia 1379 furono cagione, che si sospendessero i Ludi Mariani i quali non vennero più ristabiliti, sia perchè delle immense somme che costavano si fece un uso migliore per lo stato, sia forse anco per lo sconcerto morale che andava crescendo ognora più.
Di tutte le cerimonie della funzione non restò negli ultimi tempi della Repubblica, che l’annua visita del Doge a santa Maria Formosa.

Se il racconto per me fatto del rapimento delle spose Venete non avesse soddisfatto appieno alla curiosità dei miei lettori, ponno essi ricorrere a parecchi scrittori, che trattarono lo stesso soggetto in prosa ed in verso.
Ma non giungeranno essi a gustare vero piacere, se non leggendo un grazioso poema in sei canti composto da tre illustri amici Carlo Gozzi, Daniele Farsetti e Sebastiano Crotta. Ciascun di essi prese sopra di se il lavoro di due canti, e al Gozzi fu lasciata innoltre la cura di comporre gli argomenti.
Nelle opere di stampa di questo ultimo i suoi due canti si trovano; ma i quattro altri dei due bravi patrizii non si divulgarono. Cagione di tal mancanza fu la modestia del Crotta, che vi si oppose.
L’amicizia rifugge di accusare un uomo ripieno di fino spirito, e dottrina, e dottato di quei doni, che il rendono caro alle anime oneste: tuttavia non può frenarsi di far altamente suonare i suoi lagni per una privazione si amara.
E questo il caso in cui la modestia si trasforma in difetto. Perchè avvien mai, che coloro a cui meno si può perdonare di averla, sieno appunto quelli, che la portano ad un eccesso si pregiudicevole ai nostri piaceri? Buon per noi, che il poema tutto intero venne con gran diligenza ricopiato per mano del Farsetti stesso, e puossi vedere nella pubblica biblioteca di san Marco, sotto la custodia del celebre bibliotecario Morelli, il quale col suo sapere ne forma il principale ornamento.

Da google Libri.
Origine delle feste Veneziane
Volume 1
Di Giustina Renier Michiel · 1852

Compedium

Il nome di Venezia – quel nome a cui la Storia, la Poesia e il Romanticismo hanno attribuito un fascino così particolare e potente – non ha perso nulla delle sue pretese sui sentimenti e sull’immaginazione a causa dello stato di decadenza in cui la “città fatata” dell’Adriatico sta ora rapidamente sprofondando. I suoi splendori sbiaditi, “come il sole che tramonta o la musica che si chiude”, ci sono ancora più cari per la probabilità che anche le loro deboli tracce rimangano a lungo completamente cancellate.

Il canto del gondoliere, i festoni scintillanti del Bucentauro, i mercanti principeschi di Rialto, i palazzi incantati di San Marco saranno presto ricordati solo nelle creazioni della fiction e saranno considerati come caratteristiche di un’epoca e di un sistema scomparsi, come la maestosa magnificenza di un trionfo romano o le splendide maschere e i tornei della cavalleria.

Sotto queste impressioni, ogni ricordo di una città, i cui “milleduecento anni di libertà” hanno lasciato a malapena le vestigia della loro gloria romantica, possiede un valore e un’importanza supplementari. L’opera di cui stiamo per presentare un esemplare è destinata a ripercorrere quelle splendide feste nazionali, istituite dalla politica della Repubblica di Venezia, in commemorazione dei suoi trionfi e in onore dei suoi eroi. Come testimonianza di usanze e istituzioni, ugualmente distinte per la loro particolarità, e ancora un po’ e Venezia sarà una piccola Babilonia, con la sostituzione del gabbiano con il tarabuso e della focena con la volpe. Se desiderate cercare ricchezze tra i suoi rifiuti, leggete le Teste Veneziane, pubblicate di recente da La Dama Renier Michiel. Questa signora, nella sua descrizione delle feste veneziane, ha messo insieme molte cose curiose e interessanti e, dopo aver formato una coroncina con reliquie a lungo calpestate dalla polvere, l’ha appesa agli altari del suo Paese, con uno spirito che non avrebbe fatto rimpiangere i più illustri dei suoi antenati”.

Riportiamo di seguito alcuni estratti della descrizione di questa signora della celebre festa veneziana chiamata Festa dei matrimoni. Sembra che in passato fosse consuetudine celebrare tutte le nozze della Repubblica nello stesso giorno e nella stessa chiesa.


Dal Libro: The Edinburgh Magazine and Literary Miscellany Volume 86 -1820

La notte prima della grande festa dei matrimoni, e si misero in agguato dietro l’isola di Olivolo. Al mattino, quando tutto il popolo era riunito in chiesa per la cerimonia, questi pirati attraversarono il canale con la rapidità di un fulmine; sbarcarono con la spada in mano; si precipitarono all’istante nel santuario attraverso ogni passaggio; trascinarono le giovani spose dall’altare; e dopo aver messo al sicuro loro e i loro scrigni, tornarono ai loro barconi e salparono immediatamente. Cosa potevano fare i pacifici abitanti delle isole veneziane, che al momento non avevano armi per difendersi, ma festoni di alloro e ghirlande di fiori?

Tradotto con Deepl – Google il 26/062022