Febbraio di una volta

È febbraio, è carnevale, la stagione che fa balzare il cuore a tante fanciulle, che manda il cervello a spasso e le ali della marsina all’aria, nei balli spensierati.


La neve cade ancora, e copre col suo candore tante follie; cade, e si stende sui casolari delle campagne, dove si festeggia il carnevale in compenso di tante veglie solitarie, penose, fra i sibili del vento, e senza la carità di una boccata d’aria calda di stufa.
Chi si veste da pagliaccio e corre sulla neve per gridare negli orecchi d’un paesano; chi sale sui trampoli, beato come un re che salga sul trono… E la neve cade ancora, silenziosa, a fecondare i campi ora dimenticati per la bottiglia, per le baldorie, per le sfrenatezze.
Le feste del carnevale in città abbandonano ormai la piazza, e si ritirano nei teatri, nelle sale private: nelle campagne, invece, esso conserva ancora i costumi rumorosi, e grotteschi: basta un naso di cartone, basta un pezzo di sego per arricciare i baffi, un pezzo di carbone per annerire due sopracciglia.
Quattro urli, quattro salti, quattro fiaschi… E i contadini si accontentano… Quando non fremono malcontenti, insofferenti della miseria, quando non emigrano.

Tratto da: L’Illustrazione popolare, Volume 26
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