EUNUCHISMO – ORIGINE, SIGNIFICATO E STORIA

DELLA CASTRAZIONE, EUNUCHISMO E CIRCONCISIONE

II. Eunuchismo o Châtrement

  1. La castrazione mutata in châtrement. (ital. castramento, prov. castrament). – Al periodo eroico-guerriero in cui si praticava la castrazione come segno di sconfitta e schiavitù, subentrò quella del dispotismo patriarcale e della Monarchia, che fondò un ordine politico sociale e religioso più elevato, dove i popoli trovarono, non più esclusivamente nella rapina e nella guerra, ma anche nel lavoro e nello scambio dei loro prodotti, il loro mantenimento fisico e i mezzi per soddisfare i loro primi bisogni morali. Ora, una volta consolidate tra gli uomini, le usanze si mantengono più o meno per tradizione, così che la castrazione dei tempi primitivi ha continuato a essere praticata anche ai giorni nostri.

    Ma tutte le usanze si modificano in base alle circostanze storiche e alla forza delle cose; in particolare diventano meno frequenti, in conseguenza del mutamento del loro modo primitivo.
    La storia dell’umanità dimostra che ciò che viene chiamato progresso morale e civiltà si raggiunge molto meno dallo sviluppo del sentimento umanitario, o dall’intelligenza e dalla giustizia, piuttosto che dal calcolo egoistico di interessi materiali meglio compresi.
    Così, dal periodo della guerra, i sopravvissuti vinti hanno continuato a essere schiavizzati e, in quanto schiavi, sono stati privati della loro virilità, ma, nel periodo del dispotismo patriarcale e monarchico, gli schiavi sono diventati sempre più una proprietà o un capitale che era nell’interesse di tutti conservare e accrescere.

    Poiché la castrazione o l’asportazione completa del membro provocava spesso la morte di un gran numero di schiavi castrati in questo modo, questa dolorosa operazione fu usata meno frequentemente e fu sostituita dalla pratica meno pericolosa e più innocua della châtrement, che consisteva nel rendere eunuco uno schiavo mediante l’escissione dei testicoli.
    La châtrement, come la castrazione, di cui era in qualche modo la forma minore, continuò a essere principalmente il segno esterno della sottomissione, della schiavitù e dell’inferiorità sociale. Per indicare questa inferiorità sociale dello schiavo, i popoli antichi ricorrevano, oltre alla châtrement, a ogni sorta di altre mutilazioni corporali, al fine di degradare gli schiavi e renderli così fisicamente dissimili e inferiori ai loro padroni.
    Così, per esempio, gli indù rasavano i capelli degli sconfitti ai popoli sconfitti che amavano portare i capelli lunghi come segno di libertà (cfr. The Gethsemen p. 104).
    Gli Sciti, non potendo accecare gli schiavi senza renderli inadatti al lavoro, li rendevano orbi privandoli di uno dei loro occhi. I popoli goti storpiavano un piede dello schiavo tagliando il tendine, per privarlo dei mezzi di fuga (Diehti, p. 104).
    (Die Edda. Gedichte der nordischen Heldensage, p. 363).
    Altri popoli tagliavano almeno le orecchie agli schiavi e agli animali domestici, o imprimevamo un ustione sui loro corpi per dimostrare, con questo segno, il loro diritto di proprietà su questi schiavi e animali.
    Ma la castrazione era il mezzo tradizionale più comune per stabilire lo stato di schiavitù, tanto che in questo secondo periodo, essere un eunuco era sinonimo di essere uno schiavo, come lo era la castrazione nel periodo precedente. La castrazione veniva risparmiata allo schiavo solo quando lo status sociale inferiore dello schiavo era già assicurato al padrone per legge, e il padrone o il proprietario della persona dello schiavo sperava ancora di diventare il proprietario dei figli che lo schiavo avrebbe potuto generare.
    Per operare la châtrementche era, in un certo senso, l’attenuazione della castrazione, invece di eseguire, come nella castrazione, l’ablazione completa del membro virile, ci si limitava o a tagliare lo scroto e i testicoli che conteneva, oppure altrimenti i genitali furono distrutti, o rimuovendoli dallo scroto mediante escissione, o radendoli nello scroto.
    Queste procedure non erano quasi mai praticate con un certo grado di abilità chirurgica, ma erano generalmente applicate con una rozza e stupida barbarie.
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  2. L’origine dei nomi greci Eunouchos, Thladias e Spadon. – I greci avevano principalmente tre nomi per coloro che avevano subito la castrazione. Poiché l’uomo castrato era diminuito in ciò che costituisce la forza e la dignità virile, e poiché c’era in lui una sorta di mancanza (gr. aunis, sansc. únas, got. vans) lo chiamarono eun-ochos (avere-carenza, all. mangel-haft) nel senso di privo di virtualità o virilità.
    Se avessimo la sua traduzione del passo di Matteo (19:12), questo traduttore avrebbe probabilmente reso il termine greco eun-ouchos con il corrispondente termine gotico van-ugs (privo di), che si forma ad esempio come hand-ugs (avere una mano), e che corrisponde al norreno van-ugr (privo di) e al tedesco wen-ig (privo, debole, poco).
    Un altro termine greco per indicare l’eunuco era thladias; si riferiva più in particolare all’individuo a cui erano stati schiacciati i testicoli, e quindi corrispondeva al termine ebraico katut (schiacciato), che indicava anche l’eunuco così castrato.
    Un terzo termine greco dal significato più sprezzante è spadon (pieno di ignominia).
    Infatti, la parola con la desinenza ôn, che significa accumulo, come ad esempio in dendron (accumulo di rifiuti). Infatti la parola con la desinenza ôn, che significa accumulo, come ad esempio in dendron (accumulo di alberi), ampelón (accumulo di viti), significa propriamente accumulo di contaminante; infatti spados (scarto, rifiuto) significa macchia, contaminazione, e corrisponde al greco spodos (polvere, cenere), al tedesco schmulz, (rifiuto), all’inglese spot (macchia), e anche al tedesco spott (disonorevole, scherno); così che spadon significa propriamente pieno di disonore, e degno di scherno e disprezzo.
    Sebbene coloro che erano stati castrati fossero naturalmente, in quanto schiavi ed eunuchi, socialmente e moralmente disprezzati, in molte circostanze potevano tuttavia acquisire, grazie al loro carattere, alle loro qualità fisiche e ai loro talenti, un valore morale e, di conseguenza, un’importanza sociale che eguagliava quella degli uomini liberi e che spesso dava loro un grande ascendente sui loro padroni; Più o meno come in epoca feudale, quando la nobiltà predominava nella società, molti popolani hanno comunque raggiunto le più alte posizioni politiche e sociali. Inoltre, dall’antichità ai giorni nostri, la storia delle grandi monarchie, soprattutto tra i Cinesi, gli Assiri e persino tra i Greci del Basso Impero, menziona un gran numero di eunuchi, che hanno avuto un ruolo storico più o meno importante. Secondo le indicazioni dell’autore, esamineremo i nomi di coloro che, uscendo dalla loro degradazione sociale, hanno acquisito una certa celebrità.
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  3. Eunuchi come ministri e alti funzionari. – Nelle grandi case dei principi e dei ricchi, gli schiavi eunuchi erano molto numerosi I principi preferivano addirittura scegliere i loro ministri tra di loro, perché la castrazione aveva reso il loro carattere più ossequioso e flessibile. Gli eunuchi erano così dominanti nelle funzioni di corte che, in molte lingue orientali, eunuco divenne sinonimo di ministro e funzionario. Così in ebraico saris, che originariamente significava eunuco, designava vari alti funzionari, e in aramaico talmudico il nome astratto sarsyä (eunuco) designava, come oggi il termine astratto di eccellenza, alcuni funzionari di alto rango. Per non parlare qui degli antichi cinesi e assiri, citiamo alcuni eunuchi che divennero ministri di imperatori e re anche in epoche precedenti e che sono ben noti alla storia. Come ad esempio Bagoa sotto Alessandro, Fotino sotto uno dei Tolomei, Filaitairos sotto Lisimaco, Menofilo sotto Mitridate, Sporus sotto Nerone, Eutropio sotto Arcadio figlio di Teodoro, ecc. Vi furono anche eunuchi che divennero capi dell’esercito: è il caso, ad esempio, di Aristonikos, sotto uno dei Tolomei, e di Narses, sotto l’imperatore Giustiniano.
    Poiché gli eunuchi erano molto numerosi nelle monarchie, alcuni storici antichi ritengono che siano stati i monarchi e i principi a inventare la castrazione.
    Così si dice addirittura che Semiramide, che cronologicamente passò per la prima imperatrice del mondo antico, introdusse la castrazione, per impedire la propagazione della specie da parte di quegli individui troppo deboli di corpo, come se, in quell’epoca antica, si fosse già potuto pensare di effettuare, per la popolazione dei grandi Stati, una sorta di selezione artificiale.
    Un anonimo autore greco del Basso Impero, il cui manoscritto è stato ritrovato nella Biblioteca dell’Escorial, attribuisce l’invenzione dell’eunucoismo del tutto sconosciuto nella storia dell’Oriente e dell’Occidente, credo che questo singolare nome proprio derivi dall’ignoranza filologica di questo autore bizantino. Senza dubbio aveva letto in una storia di Semiramide che era una regina incline alla lussuriosa libidine (basilissan lyttousan) e prese maldestramente il participio aggettivale lyttousa (cfr. lucsa o lutla relâche, lat. luxus, luxuria) per il nome proprio di una regina.
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  4. Gli eunuchi dell’harem. – I principi e i ricchi, generalmente poligini, avendo molte mogli, impiegavano eunuchi per sorvegliarle, in primo luogo in considerazione della loro qualità di servi devoti, e in secondo luogo come precauzione coniugale, per evitare qualsiasi possibilità di competizione erotica con loro. Gli eunuchi dell’harem erano così predominanti in Oriente che anche i Greci hanno ritenuto di dover spiegare il nome eunouchos, che, come abbiamo visto sopra, significa generalmente privo (cioè privo di virilità), come se significasse tenere il letto, nel senso di custodire il letto nuziale del padrone. La lingua greca presentava loro diverse espressioni che potevano sembrare la prima parte della parola composta eunonchos. In primo luogo, c’era l’aggettivo eunos, che corrispondeva al sanscrito açnas (tagliente) e da cui derivava la parola cunè (pezzo di pietra angolare), forma dialettica collaterale sia del greco akoně (pietra tagliente) sia del norreno hein (pietra tagliente), e che, già ai tempi di Omero, designava la grande pietra che veniva posta sulla riva per attaccarvi, come a un’ancora, la corda che doveva sostenere la nave.
    Poiché questo significato di eunė (pietra) non poteva essere applicato alla parola eunouchos, gli antichi, che non sono mai stati bravi nell’etimologia, ricorsero alla parola greca eunos, che corrisponde al sanscrito vasnas (abitazione, copertura, letto) ed era sinonimo di eunè (letto); ma hanno dimenticato che, se la parola eunos (o eunė) aveva il significato di parouchos, il composto euno-ochos, formato come la parola parouchos (presentare, mantenere, ospitare) non avrebbe mai potuto significare altro che concubino, marito (avere il parouchos per sé), e non avrebbe mai potuto significare nulla che si avvicinasse alla nozione di eunuco, come custodire il letto.
    Gli eunuchi dell’harem sono stati trovati per la prima volta in Cina durante il regno dell’imperatore Yeu-wang, nel 781 a.C.. L’uso di questi schiavi di alto rango fu in seguito alternativamente abolito e ripreso, cosicché Montesquieu (Espr. des lois 15, 19) aveva, secondo le sue informazioni, sia ragione che torto nell’affermare che in Cina c’è stato un gran numero di leggi per rimuovere gli ennuques da tutti gli impieghi civili e militari.
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  5. Eunuchi come insegnanti. – I bambini, sia maschi che femmine, venivano allevati nell’harem o nel gineceo così che gli schiavi eunuchi avessero il compito di accudire sia le donne che i loro figli.
    Da lì poi è nata naturalmente l’usanza di impiegare schiavi eunuchi per guidare, sorvegliare e proteggere i ragazzi dei loro padroni. Questa pratica si sviluppò ulteriormente tra i Greci, dove troviamo pedagoghi eunuchi che non solo fungevano da balie, ma a volte servivano anche come mentori, consiglieri e precettori dei giovani, figli dei loro padroni.
    La maggior parte di loro erano schiavi eunuchi comprati dall’estero; così questi cosiddetti pedagoghi e questi barbari, istigatori delle stravaganze dei giovani, portano nella Commedia greca il nome della loro nazione barbarica, e sono chiamati semplicemente Getá, Daos, Phoenix, Syros, Cappadox ecc.
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  6. I servitori di Sigisbian. – Considero come conseguenza e trasformazione dell’uso degli eunuchi schiavi, guardiani di donne e bambini, nonché pedagoghi, consiglieri e protettori dei giovani, l’uso mezzo romano, mezzo feudale dei cavalieri serventi introdotto, a fine del medioevo, principalmente nell’Alta Italia.
    Infatti, la Commedia greca ci mostra che, così come i ragazzi avevano dei pedagochi, anche le ragazze senza genitori e che vivevano liberamente avevano i loro protettori, che erano legati al loro servizio.
    Per consuetudini feudali, le giovani nobildonne sposate avevano i loro Cavalieri serventi (cfr. Dante, Vita e opere p. 4447); e poiché le signore borghesi imitavano i costumi delle nobildonne, anch’esse prendevano al loro servizio un uomo di fiducia. Questo servitore, per essere al di sopra di ogni sospetto di galanteria, doveva essere un parente, un ecclesiastico o un fratello di latte. In effetti, il carattere di fratello implicava anche una sorta di parentela mistica, che escludeva ogni galanteria e relazione erotica. Per questo motivo il popolo beffardo diede maliziosamente ai cavalieri serventi il soprannome di cicisbei (fratelli di latte). Spiego questo nome popolare come formato da sbeo (bevitore, succhiatore) e cici (slavo zizy, all. zitze, fr. téton la mamelle), così che cicisbeo significava fratello di latte, come se avesse succhiato dalla stessa mammella o avesse avuto la stessa nutrice.
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  7. Gli eunuchi, belli e simpatici, e quelli chiamati ermafroditi. – La castrazione, se praticata in giovane età, non solo rende il carattere dell’eunuco più duttile ed effeminato dal punto di vista morale, ma avvicina anche la corporatura del maschio alla forma più rotonda, aggraziata ed esteticamente più bella della femmina. Gli orientali e soprattutto i greci, che si abbandonavano al gusto depravato della pederastia, preferivano gli eunuchi belli ai ragazzi belli.
    Nella Grecia asiatica questi bellissimi eunuchi, simili a donne, erano chiamati Androgini (uomini-donna) o Ginandri (donne-uomo), e spesso diventavano i fidanzati di principi, grandi signori e talvolta anche di grandi dame. La gente, che raramente conosce il fondo delle cose, credeva che queste creature androgine portassero davvero sia i genitali maschili che quelli femminili. Qualsiasi anatomista filosofico noterà l’analogia che esiste tra le parti dell’apparato maschile e femminile; ma sa con certezza che, nella specie umana, è meccanicamente e fisiologicamente impossibile che un individuo sia realmente maschio e realmente femmina.
    Tuttavia, dato che secondo Pitagora la dualità nasce dall’unità, il filosofo Platone ammetteva che la dualità dei sessi è androgino e non negava la possibilità dell’ermafroditismo. L’arte plastica dei Greci, soprattutto nella scuola di Prassitele e di Lisippo, che amavano le forme morbide e femminili (cfr. Ottf. Muller, Kunstgeschichte, p. 122-592), prese a modello le belle eunuche e ne fece numerose rappresentazioni, senza far risaltare i segni troppo visibili del doppio sesso.
    I Greci avevano, oltre a queste rappresentazioni di bellissimi eunuchi, doppie stele o statue che rappresentavano due divinità unite schiena contro schiena. Esistevano, ad esempio, cippi chiamati Herm-Apollons, composti dai busti uniti di Hermes e Apollo; altri chiamati Hermaphrodites, composti dalla figura di Hermes unita a quella di Afrodite. Il nome di ermafrodito sostituì sempre più spesso quello di androgino per designare un bell’eunuco, e diede adito a poeti, relativamente recenti, di immaginare una favola, che doveva assomigliare a un mito antico, su un presunto personaggio mitologico di nome Hermaphroditos.
    Ecco come penso di dover spiegare l’origine del presunto mito di Ermafrodito (Ovidio, Metam. l. 4).
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  8. Origine del cosiddetto mito di Hermaphroditos. –Già nell’antichità, come nel Medioevo e nei tempi moderni, le città balneari erano luoghi in cui non solo i malati venivano a cercare la salute, ma anche un gran numero di dissoluti oziosi, che vi si recavano per abbandonarsi a piaceri immorali. Tale era la città caria di Hali-Karnassos (Karnassus sul mare), dove si trovavano, per il servizio e il piacere dei bagnanti di ogni tipo, c’era un gran numero di schiavi, eunuchi e cortigiane di professione. La città era consacrata a Ermete e Afrodite, i cui templi erano posti l’uno vicino all’altro, e in città c’erano molte doppie stele in onore di queste due divinità, tanto che il patrono della città Ermete, secondo queste doppie stele, era anche chiamato Hermaphroditos, senza però che con questo nome si intendesse esprimere il presunto doppio sesso di Ermete.
    L’acqua dei bagni di Alicarnasso era salmastra (gr. halmuros, lat. salmacidus.) Anche la Naϊade o ninfa marina che presiedeva queste acque fu chiamata Salmakis (gr. Salmakids Issue of saumure). Questa ninfa era venerata come Afrodite, patrona della città, e finì per essere confusa con lei, tanto che il popolo chiamò le divinità rappresentate dalle doppie statue della città non Ermete e Afrodite, ma Hermaphroditos e Salmacis. Sulla base di questi fatti popolari, un poeta carioca, forse Hekatasos o Kallimachos, dovette solo immaginare una favola per spiegare l’intima unione di Salmakis con Hermaphroditos, dicendo che la ninfa si era confusa, in un’unione amorosa, con il dio di Alicarnasso. Infine, per affermare che il quartiere dei bagni chiamati Salmakis ad Alicarnasso era il ritrovo di uomini effeminati, eunuchi e innamorati, i vicini dicevano maliziosamente che questi bagni rendevano effeminati ed ermafroditi coloro che li frequentavano.
    In generale, si può dire che le più belle statue di ermafroditi rimaste nell’arte antica avevano come modelli dei bellissimi eunuchi chiamati androgini. Tra queste rappresentazioni plastiche di ermafroditi, va annoverata quella del bellissimo Antinoo, il simpatico eunuco dell’imperatore Adriano.
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  9. Gli eunuchi giullari – I principi e i signori d’Oriente, e anche i liberi borghesi in Grecia e in Italia, non avendo in genere alcuna occupazione seria, si annoiavano per la maggior parte del tempo e cercavano di divertirsi con ogni sorta di follia. Da qui nacque l’usanza di tenere uno o più schiavi che, con il loro ingegno, la loro intelligenza e persino la loro deformità e bruttezza, rallegrassero i loro padroni oziosi. I piccoli principi arabi diedero a questi giullari eunuchi il nome di chindsid su, un termine astratto che, come l’arabo churafalu (follia, vaneggiamento), designava ciò che i latini esprimevano con morio, i siculi con momar, e i cortigiani del Medioevo, e persino all’epoca di Francesco I e Luigi XIV, con l’appellativo di ‘fol du roi’ e ‘fou de cour’ (all. hofnarr).
    * Spiegherò in un’altra occasione cosa intendeva Dante dire con nostro peccato su ermafrodito.
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  10. Gli eunuchi cantanti. – Così come la castrazione avvicinava la carnagione fisica dell’eunuco a quella di una donna (vedi sopra), modificava anche il timbro della voce avvicinandola al soprano o al contralto femminile. Gli antichi preferivano la voce delle donne a quella degli uomini. Anche il canto profano, di solito accompagnato dalla danza (cfr. Eine kelte von Liedern, ecc., p. 4), era coltivato in Oriente soprattutto dalle donne. Gli israeliti non permettevano alle donne o agli eunuchi di cantare i canti sacri.
    Ma i sacerdoti frigi di Cibele, che cantavano come mendicanti per il mantenimento del loro culto, e che a causa di questo canto mendicante portavano il nome di Galles (cantori, cfr. Kelse gallus coq, ct. all. nachtigal rossignol) erano generalmente eunuchi.
    La musica vocale greca si sviluppò, nella teoria e nella pratica, a Costantinopoli. I cristiani d’Oriente, conformandosi in gran parte al culto giudaico e dando un significato troppo esclusivo al detto di San Paolo secondo cui le donne dovrebbero tacere in chiesa, hanno esitato a lungo a impiegare nella cappella non solo cantanti donne, ma anche cantanti eunuchi.
    Le voci di soprano e contralto di entrambi furono sostituite da voci di giovani ragazzi, per imitare i canti degli angeli. Ma poiché questi ragazzi non sempre avevano la necessaria intelligenza musicale, si tornò all’antica usanza pagana di utilizzare cantori eunuchi. Socrate lo Scolastico, verso la fine del IV secolo, menziona, nella sua continuazione della storia ecclesiastica di Eusebio, un certo Brisón, che era un eunuco incaricato dell’istruzione dei castrati, che cantava gli inni della chiesa. Teodoro Balsamon, bibliotecario a Costantinopoli alla fine del XII secolo, nel suo Commento alla Raccolta dei Concili di Fozio afferma positivamente che ai suoi tempi si usavano voci di castrato nel canto in chiesa. Questi eunuchi, formati a Costantinopoli, divennero insegnanti di musica in gran numero e si diffusero nelle città della Grecia e presso i popoli slavi. È il caso, ad esempio, dell’eunuco Manuel che, con altri due cantori eunuchi, arrivò ad affermarsi, nel 1137, come professore di musica a Smolensk.
    Dall’Impero d’Oriente l’uso barbaro della castrazione, adoperata per produrre cantori eunuchi, passò in Italia, e fu praticata principalmente a Roma e a Napoli. La Cappella Pontificia ha ammesso il canto di questi chátrés (castrati) detti anche musicisti (musici). La più grande voga e, per così dire, l’età d’oro dei castrati iniziò con l’origine dell’opera italiana nel XVII secolo. Il viaggiatore Pietro della Valle racconta che, ai suoi tempi, i castrati erano diffusi in Italia in tutti i teatri lirici. Dal famoso cantante eunuco Caffarelli a Veluti e Crescentini, quasi nostri contemporanei, quanti castrati non sono diventati famosi e ricchi oltre misura? La castrazione musicale che gli italiani non volevano abolire, Napoleone, che troppo spesso era solo un despota, ma che in questa questione era l’esecutore autorizzato e potente dell’alta giustizia e della coscienza dell’Europa cristiana, riuscì a farla finita.
    Non si possono che approvare le parole del conte Orlof che, nella sua storia della musica in Italia, affermava: Se, dimenticando lo spirito filosofico del secolo, dovessimo vedere di nuovo impuniti gli attacchi più penosi, qualunque sia il nostro gusto per la musica, per quanto ardente il nostro amore per essa, non esitiamo a dire che preferiremmo vedere scomparire quest’arte dal numero di quelle che rendono la vita così affascinante, piuttosto che vedere la morale, l’umanità e la natura tradite ancora in questa misura.
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  11. Eunuchi per la vendetta pubblica e la vendetta privata. – Tra gli innumerevoli eunuchi che sono esistiti, ce ne sono un numero minore che sono stati castrati per punizione o vendetta pubblica o privata. Le troviamo già tra i cinesi, la cui lingua ha espressioni particolari, come ad esempio yentsze e Ko-schi, per indicare la punizione con la castrazione.
    Anche l’India antica menziona la castrazione come punizione anche nelle Leggi di Manou VIII, 374. Poiché la castrazione era in origine un segno di schiavitù, l’idea originaria di questa punizione mediante castrazione era di rendere il colpevole simile allo schiavo eunuco, in quanto uomo tanto abietto quanto miserabile.
    In seguito, poiché nel codice penale dei popoli antichi predominava il principio della ritorsione, il castigo veniva emanato soprattutto contro i colpevoli di stupro e adulterio, per punirli dei loro peccati.
    Innumerevoli castrazioni di quest’ultimo tipo sono state effettuate tra i popoli dell’antichità, del Medioevo e anche dell’epoca moderna, non solo per vendetta pubblica, ma anche per vendetta privata. Un esempio tra mille è quello di Pierre Abailard, che il canonico di Parigi Fulbert, zio di Heloise, fece mutilare da briganti corrotti.
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  12. Eunuchi per castità e ascesi. – Nell’antichità ci sono stati due sistemi opposti nella concezione del destino e della felicità suprema dell’uomo. In un sistema, ispirato e favorito dall’istinto animale, l’amore e la propagazione della specie erano considerati il destino e la felicità suprema dell’uomo, al punto che l’amore e persino la promiscuità divennero un atto religioso, generando, come tali, sia i misteri che le infamie dell’erotismo pagano, e portando definitivamente, come conseguenza necessaria, alla rovina economica, politica e morale dei popoli più ricchi e civilizzati del mondo antico.
    L’altro sistema, opposto a questo, partiva dall’idea filosofica dell’unità dell’Essere divino e considerava la pluralità delle cose di questo mondo generate dalla volontà, dalla concupiscenza e dall’amore, come una separazione dalla sostanza divina e come opera del Genio del male.
    Il saggio e giusto adoratore della Divinità dovrebbe quindi ritirarsi dal mondo, astenersi dall’amore e dalla propagazione, avvicinarsi alla sostanza divina con la concentrazione dell’anima e tornare di nuovo, per l’evaporazione (sansc. nirvana) della personalità, nell’unione con l’essenza di Dio. Questa filosofia ascetica ha avuto origine, come il buddismo, nell’India brahmanica, da dove si è diffusa in tutto il mondo antico. Così in India vediamo un gran numero di saggi congiuntivi (sansc. yôgina), che aspirano alla congiunzione (yôga) e la fusione (nirvanam) con la mente spirituale come ostinazione d’amore, o addirittura fisica come castrazione chirurgica.
    Al di fuori dell’India, gli esempi di castrazione fisica per la castità sono pochi. Infatti, se l’autore del trattato Sulla dea siriana riporta l’esempio del giovane siriano di nome Combabus, il protetto del re Seleuco Salvatore, che, era perseguitato dalla regina Stratonice come Hippolyte di Phèdre e Giuseppe dalla moglie di Putiphar, si fece castrare fisicamente, non fu tanto per un motivo di castità quanto per dimostrare la sua fedeltà al re, per provare con questo mezzo l’innocenza e la purezza dei suoi rapporti con la regina, che voleva sedurlo.
    Un esempio più eclatante di un castrazione subita volontariamente da un’ascesi estrema è quello di Origene, che, dotto filologo ma pessimo esegeta, prese le parole di Gesù Cristo (Mt 19, 12) rese in greco come eunuchisan heau! oures (eunuchizzarsi) non nel vero senso morale di privarsi del commercio con una donna, ma nel senso molto materiale di rendersi fisicamente eunici, e che di conseguenza, secondo questa falsa interpretazione, si sottoponevano per ascesi, se la tradizione è vera, all’operazione di castrazione.
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  13. La castrazione degli animali domestici. – La castrazione (ital. castratura; prov. cresteza) è la castrazione praticata sugli animali domestici; ha origine dalla castrazione degli uomini che l’ha preceduta nella storia, ed è quindi di data molto più recente.
    La castrazione, che non aveva motivo di sorgere, come la castrazione, nel periodo eroico-guerriero, si verificò solo più tardi, nel periodo dello Stato patriarcale e nomade. Infatti, il nomade, che era allo stesso tempo cacciatore, pastore e pescatore, vivendo in mezzo ad animali selvatici, cercò di addomesticarne alcuni e di farne animali domestici, per cibarsene, appropriarsene e trarne vantaggio. L’uomo dapprima addomesticò gli animali il cui carattere presentava meno difficoltà nella sottomissione, e quelli il cui mantenimento richiedeva la minor cura e spesa. Tale, ad esempio, era il maiale, originariamente selvatico e addomesticato per primo nella Cina primitiva.
    Lo dimostra il fatto che l’antica parola cinese Kia-Koou, che significa dimora sotto un tetto, e poi famiglia, è espressa, nell’antica scrittura figurativa, da un segno che rappresenta un tetto o tec, sotto il quale è raffigurato un maiale, il che sembra indicare che questo animale era considerato appartenente alla famiglia umana in qualità di animale domestico.
    Questo legame tra l’uomo e la bestia fu il motivo per cui l’uso della castrazione, applicato agli uomini, fu esteso anche agli animali domestici. Poiché la castrazione era il segno della sottomissione, della schiavitù e del diritto di possesso che si affermava sull’uomo, la castrazione, imitata dalla castrazione, veniva applicata anche all’animale per indicare che era domato e che era una proprietà che il padrone poteva usare e abusare. Così come lo schiavo eunuco era considerato un individuo difettoso (gr. eunouchos) e menomato, anche l’animale castrato era considerato, presso certi popoli, difettoso e impuro. Per questo motivo, tra gli israeliti, che vietavano la castrazione e il castigo, l’animale castigato, essendo difettoso, non poteva essere offerto come vittima a Geova.
    Poiché la castrazione era un’imitazione e un’estensione della châtrement, anche le procedure operative della castrazione sono state imitate da quelle della châtrement, e designate con gli stessi termini. Come c’erano eunuchi a cui erano stati tagliati i testicoli o i cordoni seminali (ebr. natouq), o trafitti (ebr. Karout), o schiacciati (ebr. Katout; gr. Thlibias, Thlasias), così c’erano animali castrati con le stesse procedure rozze e barbare!
    Essendo gli arabi grandi castratori, la loro lingua è ricca di espressioni per designare qualsiasi tipo di castrure, come madala, djabba, hhazai, varjaa, vadzai, vahaza, malasa, ecc. I cinesi hanno persino espressioni speciali per castrare diverse specie di animali, come Kei-yang (castrare una pecora), che-Ken-schi (castrare un maiale), Schen-Koou (castrare un cane), fin dai tempi antichi ai giorni nostri, in tutto il mondo, ogni anno si pratica la castrazione su diversi milioni di animali volatili maschi e femmine e persino su pesci vivisezionati con inintelligenza e atroce barbarie, e quel che è peggio, dopo antichi pregiudizi, che fanno non sopportare un esame serio.
    Infatti i cosiddetti vantaggi che si crede derivano da cátrure, dal punto di vista dell’economia domestica, potrebbero essere ottenuti senza di essa, e con mezzi più legittimi, più naturali e più razionali.
    Questi presunti vantaggi che si dice si traducano nell’economia domestica sono infrazioni dell’economia della natura, e quindi perdite reali, nell’economia politica.
    Tutto sommato, la castrazione, come la châtrement, è solo una pratica tradizionale secolare e barbara, contro la quale le società animaliste dovranno protestare, per farla abolire a poco a poco, o almeno restringerla sempre di più.

(Strasbourg).
F. BERGMANN.

Tratto da Google Libri
Archivio per lo studio delle tradizioni popolari, Volume 2
a cura di Giuseppe Pitrè, Salvatore Salomone-Marino