Dopo le feste

Edoardo Conti

Timoleoni contava i giorni che mancavano al Natale. Egli e i suoi compagni di collegio, avevano, per fare questi calcoli, un metodo poco usato.
Figuratevi: quando mancava un mese al giorno dell’uscita, mettevano nel cassetto del banco trenta noccioli di ciliegia, o semplicemente trenta pallottoline di pane; e ogni giorno che passava, ne toglievano una.
L’uscita !… Chi di voi non è stato in collegio non può capire che cosa voglia dire questa parola, quanta gioia prometta ai convittori, e quante speranze essi vi ripongano. Vedono il babbo o la mamma, e spesso tutti e due; pranzano fuori del collegio e approfittano dell’occasione della venuta dei loro genitori per farsi comprare mille cosette.
Se l’uscita è permessa per più di un giorno, allora tornano a casa a rivedere i parenti, gli amici, la campagna e i giocattoli abbandonati, e ritornano in collegio carichi di dolci e di frutta che sanno nascondere agli occhi dei loro istitutori con astuzie sempre nuove.
Timoleoni non era figlio di ricchi genitori – i suoi erano fittaiuoli di una grossa tenuta – ma, si sa, l’agricoltura rende poco ai giorni nostri, e quindi Tito Timoleoni si trovava in uno di quei collegi dove si spende росо, e per conseguenza, si mangia poco – e lui, ch’era sano e aveva un appetito da leone, soffriva spesso la fame. Mentre a casa mangiava pochissimo pane, in collegio sognava anche di notte miracolose ceste di panetti appena tolti dal forno.
A dirvela com’è, Tito Timoleoni era anche goloso, e in collegio c’era poco da accontentare la gola, perchè le frutte c’erano una sola volta alla settimana: mele ammaccate e spesso fracide.
Quando andava a passeggio, Tito Timoleoni le mangiava cogli occhi assieme ai dolciumi esposti nelle botteghe.
All’uscita poi, si vendicava dell’astinenza, con scorpacciate incredibili.
Quando Dio volle, venne la vigilia di Natale. Al mattino, nessuno si fece pregare per alzarsi; tutti i trentadue ragazzi ch’erano nella camerata di Tito, lui compreso, furono pronti coll’abito di divisa, in meno di venti minuti.
L’Istitutore, un po’ colle buone, un po’ colle cattive, li fece passare nella sala di studio, dove tutti aprirono i libri; ma nessuno studiò.
Verso le nove, dopo il caffè e latte, il quale, come diceva Tito, aveva il colore dell’uno e dell’altro, ma, a suo dire, era acqua tiepida, Timoleoni venne chiamato alla porta.
Tito salutò il Direttore, e poi, abbracciato il babbo, salì con lui sulla pesante vettura e via…
La sera, in casa di Tito, si usava far la gran cena di Natale…
– Oh che mangiata voglio dare!..
diceva Timoleoni vedendo i preparativi.
E mantenne la promessa.
Mangiava, mangiava con furia, senza parlare, per paura di perdere un boccone. Cacciava il cibo in bocca come avesse dovuto riempire un sacco vuoto.
– Bada, Tito, che ti farà male . . . consigliava la mamma.
– Ah! rispondeva lui, ho tanta fame, mamma!
– Conservane un po’ per domani.
– C’è posto. . . va là!
E Tito Timoleoni continuava a far lavorare i denti e a cacciar giù roba. A tavola, c’era gente; e, siccome nella sala da pranzo faceva freddo, passarono tutti in un salottino dove ardeva scoppiettando il ceppo tradizionale.
Tito sarebbe rimasto volentieri a tavola, tanto d’aver il tempo di mangiare un altro po’ di frutte, e di metterne in tasca per la mattina dopo; ma suo padre lo teneva d’occhio e dovette uscire cogli altri. Avrebbe rinunciato al caffè… ma poi, sentendosi pieno come un botticino, ne prese una tazza, che empì a mezzo di zucchero.
Si sentiva obeso, aveva sonno, ma il pensiero di potere, senz’essere visto dare una capatina nella sala da pranzo, lo tenne sveglio.
Infatti, colto il momento che babbo era uscito e la mamma parlava col dottore, Tito Timoleoni, pian pianino, entrò nella sala, e vista la fruttiera, la saccheggiò riempiendosene le tasche.
Tornò vicino al fuoco; ma la gola non gli diede requie. Si ficcò in bocca una pera e a poco a poco di soppiatto la trangugiò.
Suo padre se ne accorse.
– Oh Tito! e quando la finisci?
Lui fece segno di no colla testa.
– Oh! tu continui a mangiare?
Altro segno negativo da parte di Tito. Mandò giù il grosso boccone, e finalmente potè rispondere una bugia:
– Non mangio mica io.
Tutti risero, ma il babbo gli disse:
– Ma se avevi la bocca piena proprio adesso!
– Oh! era una piccola pera.
Visto che non c’era mezzo di mangiare in pace, il ragazzo disse che aveva sonno e se ne andò in camera, dove spogliandosi, ad uno ad uno mise in bocca il resto dei frutti. S’addormentò, si può dire colla bocca piena; ma svegliatosi dopo un’ora gli parve che la stanza gli girasse d’intorno; sentiva un gran mal di capo e dei dolori al ventre. Per un po’ soffrì, ma il male crebbe; gli parve di morire.
Chiamò, urlò. Corse la mamma che capì subito di che si trattava.
Il dottore sali col babbo nella stanza di Tito e disse trattarsi d’una terribile indigestione; ordinò dei pannilini caldi allo stomaco e mandò a prendere un emetico. Tito Timoleoni fu costretto, dirò così, a restituire la roba mangiata con tanta ingordigia; ma pareva guarito e la notte dormì.
– Ahimé! la mattina dopo non potè alzarsi.
Tornò il medico, e ordinò dieta rigorosa tutt’al più un po’ di brodo.
– Povero Tito! passò in letto, e a digiuno Natale e Santo Stefano – e al martedì dovette ripartire per Milano.

Edoardo Conti

Tratto da Google Libri
Frugolino giornale dei fanciulli – 1893