Demolizione della chiesa di S. Lucia a Venezia

Mentre a Torino si erige un Foro di cristallo, quasi emulando i vitrei palagi della civiltà francese e britanna, a Venezia si abbatte una chiesa di marmo, quasi emulando il genio distruttore di Attila. È l’espressione giustissima dei due antagonismi che si combattono in questa nostra Italia. Sebbene la chiesa di Santa Lucia, ora in demolizione, non fosse per avventura fra le stupende di Venezia, non per tanto era tenuta in qualche conto; talchè, non essendo indispensabile di smantellarla, il martello d’Erostrato poteva invero starsi inoperoso, se non fosse invece prontissimo a menar colpi domani, ove occorra, anche sul palazzo dei dogi o sul tempio di Pietro Orseolo.
Prima che sparisca ogni linea di questa fabbrichetta leggiadra, noi sentiamo il debito di recitarne un po’ di orazione mortuaria.

Ex Chiesa di Santa Lucia

La chiesa di Santa Lucia, prospettante il Canal grande, era bella di forme semplicemente classiche, e quasi di austerità monacale. Alcuni la vogliono di Palladio, ma pare che ei non ideasse se non la cappella maggiore, cominciata nel 1562 e compiuta nel 1589. Fu solo nel 1590 che il Senato accordò alle monache dell’Annunciata l’area pel resto dell’edificio, per che il Palladio non potè dare il disegno dell’intera fabbrica, nella quale fu bensì studiato di secondare lo stile della cappella originale, ma non si seppero evitare alcune mende. Fra i santi e i morti cui si dette l’escomio, notiamo, Bernardo Mocenigo, che ebbe il gran torto di far erigere la cappella, la quale non dovea piacere ai venturi dogi Viennesi. Egli vi aveva, come in casa sua, un busto di Alessandro Vittoria, e dopo più che tre secoli dovette cercarsi altro alloggio.

Chiesa di Santa Lucia in demolizione.

Dappoichè non per senso di retta economia, che il lei non fu mai, ma per impotenza di spendii e quasi prescienza di fallimento. L’Austria deliberò di cedere ad una ad una le sue amministrazioni ad imprenditori privati, per lo più stranieri, e che l’esercizio delle strade di ferro scadde a una società francese, fu messo innanzi, senza alcun motivo al mondo, il progetto di demolire Santa Lucia, pretestando doversi erigere in quell’area la grande stazione di Venezia. I due spazii intercedenti fra la chiesa degli Scalzi e quella di Santa Lucia e fra Santa Lucia e il margine della laguna erano più che sufficienti all’uopo, e la chiesa d’altronde, che avrebbe nel bel mezzo della fabbrica acquistato vaghezza alla stazione, poteva opportunamente conservarsi agli usi dei moltissimi addetti al vasto stabilimento e degli stessi viaggiatori, senza contare come vogliasi andare a rilento nel distruggere quanto adesso non si sa manco immaginare – la dejezione della architettura contemporanea giustifica questi miei scrupoli soverchi.

Il Municipio allora, men codardo che adesso, non rimise di richiamarsi a Vienna contro la gratuita barbarie, a tutela dell’arte e della storia e per infirmare più che tutto il pernicioso principio; nè rimise di farlo il Patriarca nei riguardi della religione e di certa tradizionale pietà del popolo veneziano verso la santa di cui si custodivano in quella chiesa le reliquie. Se non che l’Austria accademica non fu meno sorda dell’Austria apostolica – l’Austria che sa camuffarsi da monaco e da ateo, essere a un tempo Rodolfo d’Absburg e l’Imperatore Filosofo, inspirarsi ai concordati come alle leggi Giuseppine.
Forse sin d’allora si vagheggiava di sostituire in quel sito un forte a una chiesa, e non per anco abbattuta la chiesa, comincia a sorgere il forte, come vedete dal disegno. Quest’opera militare, diretta, s’intende, più a guardar il popolo dal lato della città che il nemico dalle testate del ponte, non dovrebbe essere di gran momento.
Il lettor cortese mi chiederà per avventura qual pensiero strategico determinasse a munire l’innocente Canal grande con un nuovo forte, che non minaccia una nuova edizione della cittadella di Ferrara. — In verità non potrei dare alcuna spiegazione in proposito.
Ma forse fu quello stesso genio strategico che consiglio i gloriosi figli di Radetzky a rinserrare le loro scolte in certe gabbie di ferro, e a trasmutare in cittadella il palazzo di Francesco Foscari, onde taluno ebbe a dire, celiando, avrebbero appostato le artiglierie agli abbaini. In una parola, codesta strategia deve le proprie ispirazioni e la propria ragione di essere alle tradizioni di Culoz e del 1848.

V. S.

Tratto da: Google Libri
Il Mondo Illustrato – Giornale Universale. – 1861


Santa Lucia prima intitolata alla ss. Annunziata. L’origine di questa chiesa si assegna all’anno 1192. Si rese celebre per la traslazione in essa del suo santo corpo, come ritengono gli scrittori veneti ed altri. Però Butler fu d’avviso, nelle Vite de principali santi, che il corpo della celebre s. Lucia vergine e martire di Siracusa, ivi, dopo il martirio patito nel 304, sia rimasto parecchi anni, ma fosse poi trasferito in Italia (ossia nella sua terraferma, ed alcuni dicono nell’VIII secolo). Si sa da Sigeberto di Gemblours, che l’imperatore Ottone I (re d’Italia nel 961 e nel seguente imperatore, morto nel 973) lo fece poi portare a Metz, dove si venera nella bella cappella della chiesa di s. Vincenzo.
Le reliquie di detta santa, ch’erano anticamente a Costantinopoli, sono al presente a Venezia, e vi erano onorate con peculiare divozione nella chiesa al suo nome intitolata. Ciò premesso colla critica, per le diverse opinioni circa il luogo delle traslazioni, seguiremo il linguaggio della principale nostra guida per le chiese di Venezia, ch’è il benemeritissimo Corner.
Nel 1204, famoso per la conquista di Costantinopoli, da questa fu condotto il corpo di s. Lucia in Venezia, e collocato nella chiesa di s. Giorgio Maggiore de’ benedettini nell’ isola omonima, ov’era sommamente venerato, massime nel giorno consacrato dalla vittoriosa di lei morte il 13 dicembre. Ma perchè in quel giorno per lo più burrascoso e inclemente, succedevano nel tragitto della laguna frequenti naufragi, fu determinato, nel 1279, in cui per improvviso turbine perì un gran numero di persone, per potersi venerare il sacro corpo dal popolo con maggior sicurezza, di trasferirlo in Venezia nella chiesa parrocchiale eretta sotto l’invocazione della santa.
Seguì la traslazione il 18 gennaio 1280, o 1226, come nello Stato personale; giorno memorabile pel primo arrivo del santo corpo, Dio illustrandola con due prodigii, cioè con lasciare la santa una delle sue braccia in mano dell’abate di s. Giorgio, e con ridonare la vista perduta ad un nobile che ne implorò la grazia.
Accrescendosi poi colla divozione del popolo il culto della santa, per solennizzarne con pompa la festa, ebbe origine nel 1284 una pia confraternita coll’assenso del pievano della chiesa e degli altri suoi preti. Da questo e da’ documenti si deduce, che allora fosse anche collegiata.
Nel pontificato d’Eugenio IV, ottenne da questi il vescovo di Feltre Tommasini, che la chiesa di s. Lucia fosse unita al monastero delle domenicane del Corpo di Cristo, già da circa mezzo secolo fondato nella stessa parrocchia. Questo si effettuò alla morte del pievano nel luglio 1444, e d’allora in poi i pievani esercitarono la cura sotto la giurisdizione delle monache. Frattanto alcune religiose, vestito l’abito del terzo ordine dei Servi di Maria, sotto la regola di s. Agostino, si ridussero in una casa vicina alla chiesa di s. Lucia, ove vivendo in forma di comunità religiosa riuscirono di edificazione. L’acquistata riputazione vi trasse tante compagne, che divenuto angusto il luogo, molte di esse trasferironsi a Padova per fondare un nuovo monastero.
Le otto religiose restate in Venezia, fidando del divino aiuto, comperarono alcune case contigue alla loro, e dispostele in forma di piccolo chiostro, vi entrarono nel 1459, coll’intendimento d’istituire un monastero sotto l’invocazione della ss. Annunziata, alla quale costruirono propinqua chiesetta. Elessero quindi una superiora, e dal monastero fiorente di s. Daniele, vi passò per abbadessa Orsa, nelle cui mani fecero i voti religiosi.
Dipoi Sisto IV concesse loro la chiesa di s. Lucia e la casa parrocchiale, colla condizione di pagare alle domenicane suddette cinquanta ducati annui d’oro, in compenso del tolto, tralasciando di riferire i litigii tra i due monasteri, ed il temporaneo rapimento del corpo di s. Lucia, fatto dalle domenicane.
Le agostiniane di s. Lucia prosperarono, sotto il governo dell’abbadesse perpetue, che Gregorio XIII ridusse triennali, sotto la prima delle quali il fiorentino Donato Baglioni, padre d’una monaca, ridusse sontuosamente la cappella ed il sepolcro di s. Lucia. Avendo già Bernardo Mocenigo eretta la cappella maggiore, la sua nobiltà e quella della santa, non accordandosi colla vecchia chiesa, si rinnovò questa da’ fondamenti con mirabile disegno di Palladio (mirabile altresì per le angustie dello spazio, ed altre circostanze di sito), ed è l’ultima sua opera, onde fu condotta dopo la sua morte del 1609. Compita del tutto il 21 novembre o 13 dicembre 1617, la consacrò il patriarca cardinale Vendramino.
Di poi Giorgio Polacco, confessore per trentasei anni del monastero, edificò accanto la sacrestia la divota cappella, in onore della Natività di Gesù Cristo e del dottore s. Girolamo, e l’arricchì di copiose ss. reliquie; il patriarca Tiepolo ne consacrò l’altare il 24 novembre 1629; ed egli pure quivi eresse la cappella ed altare magnifico in onore dell’Aspettazione del Parto della Vergine.
Ultima ad essere compita fu la cappella a destra dell’altare maggiore dei ss. Gioachino ed Anna nel 1628, e n’ebbe merito Nicola Peetres nobile d’Anversa, ivi sepolto. Avendo le agostiniane contiguo il monastero alla chiesa, facevano esercitare la cura delle anime ad un cappellano da loro eletto. Colpite nel 1810 dal generale decreto di soppressione, la chiesa divenne oratorio sacramentale, dipendente dalla parrocchia di s. Geremia; sempre però essendo insigne santuario per la divozione di tutta la città, per contenere il corpo intatto della gloriosa s. Lucia.
Nel 1812 Maddalena Canossa otteneva questo convento in dono, e vi fondava la casa del suo istituto per Venezia. Ma essendovi in questa situazione della città la stazione della strada ferrata, cedettero il convento ai bisogni di questa e passarono a s. Alvise.
Ed avanzandosi i lavori ed il progetto della stazione in modo, che tutta occorreva l’area di quel tratto compresa anche quella della chiesa, ottenute le dovute dispense dall’autorità della chiesa, questo bellissimo tempio venne atterrato, il corpo di s. Lucia trasportato solennemente, come si disse, a s. Geremia. In questo bellissimo e leggiadro edificio, se l’occhio non trovava la felicità delle proporzioni sì propria al gran Palladio, vi riscontrava però una certa piacevole novità, e un non so quale gusto greco, degno degli aurei tempi di Roma; in altissima considerazione era tutto l’interno agl’intelligenti dell’arte. Il prospetto era d’imperito artefice.

La stazione ferroviaria di Venezia

Da: Enciclopedia ecclesiastica… – 1862 –
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