COSTUMANZE NATALIZIE

(Da un articolo di Mabel PEACOCK, Gentleman’s Magazine, dicembre 1896)

Fra i paesi di Europa, è il centro della Francia quello nel quale si conservano ancora, più che in tutti gli altri, certi usi pagani, o semipagani, legati alle feste di Natale. Ivi, la «Cosse de Nau», o ceppo di Natale, è tuttora un gran pezzo di legno simboleggiante la fiaccola celeste i cui raggi vivificano tutto il mondo organico, e il cui culto dette occasione alla gran festa invernale che cambiò più tardi il suo significato dopo l’avvento del cristianesimo.
Questo ceppo è un intero tronco d’albero che, mediante la forza di molte braccia, si colloca sul vasto focolare dove rimane a nutrire la fiamma durante i tre giorni consacrati alle feste. Esso, secondo la tradizione, deve esser preso da una quercia tagliata a mezzanotte, e si pone sul focolare nel preciso momento nel quale le campane suonano per la elevazione dell’Ostia durante la messa della notte di Natale. Il capo di famiglia è quello che lo accende dopo che è stato spruzzato d’acqua benedetta. Alle due estremità del ceppo soglionsi mettere le focacce, i dolci, e i regalucci per i bambini i quali sono andati a letto colla speranza che, durante il loro sonno, le bon homme Nau, il vecchio del Natale, oppure le petit Naulet, il bambino del Natale, portino loro dei doni.
Talvolta, si usa anche alzare, presso il focolare, l’arbre de Nau ossia dei ramoscelli di ginepro cui si appendono i regali; e ciò rammenta molto da vicino il fascio di sempreverde legato a un’ossatura di legno, che serve per lo stesso uso in Inghilterra.
Nella provincia di Berry, i resti del ceppo di Natale si conservano tutto l’anno sotto il letto del capo di casa, e un pezzetto di quel legno si getta sul fuoco quando infuriano delle grosse tempeste, al fine di scongiurare i danni possibili. Qualche cosa di analogo si usa anche in Germania.
È da notarsi che il culto del sole si manteneva ancora in Bretagna tre secoli dopo Cristo, e che non più di cento anni fa, in Normandia, al 24 decembre si estingueva il fuoco, e il ceppo di Natale si accendeva alla fiamma di una lampada che bruciava nella chiesa vicina.
Ció dimostra come la venerazione e il rispetto per il fuoco sacro siasi dal rito pagano trasferito nel rito cattolico, lasciando quasi intatte certe usanze e certe cerimonie che, per sè stesse, non avrebbero ragion d’essere nel nuovo culto; lo che è anche confermato dal fatto che qua e là si ritrovano tuttora le tracce delle antiche credenze in alcune tradizioni e superstizioni popolari.
I contadini di Chemnitz, in Germania, credono, p. es., che, se le donne ballano sotto ai raggi del sole per la festa della Candelora (Purificazione), il lino darà buona raccolta quell’anno; e nella contea di Lincoln, in Inghilterra, si ritiene che i meli si caricheranno di frutti quando il giorno di Natale il sole risplenda attraverso ai rami. In quella regione si crede eziandio che, affinchè un molino prosperi, la ruota deve girare seguendo il corso del sole, cioè da sinistra a destra.
Le focacce di Natale fatte a forma di corna, come si usano fra i contadini del Berry, sembrano avere un’origine pre-cristiana, rammentando i sacrifici che si facevano in antico alla divinità affinchè proteggesse i bestiami ed i campi. Ciò apparisce più probabile che non l’idea esposta da alcuni, secondo i quali la forma di quelle focacce simboleggerebbe il bove che dicesi avere assistito alla nascita di Gesù Cristo.
Oltre a queste focacce, dette cornaboeux, si cuoce nella Francia centrale, nella stessa occasione, un gateau cui si attribuiscono maravigliose virtù medicinali, come al pane cotto il venerdi santo fra certe popolazioni inglesi. I fornari del Berry cuociono anche delle piccole galettes, in forma di bambino, che sono chiamate naulets dal nome popolare del bambino Gesù, ed altri naulets, o pani di Natale di forme svariate, si preparano in diverse provincie della Francia in occasione delle feste natalizie.

Lo scrittore fa qui un parallelo con usi di altri paesi, e rammenta in particolare i popoli scandinavi, presso i quali la focaccia di Natale ha sovente la forma di un porco, ricordo del cinghiale che un tempo, sulla metà dell’inverno, veniva sacrificato a Frey (0 Freyr), la divinità che presiedeva alla luce, alle stagioni, ai raccolti. Ugualmente in Scandinavia si usa cuocere una focaccia fatta della farina del grano ricavato dall’ultima spiga raccolta. Le focacce cotte in certi determinati giorni hanno anche altrove dei significati speciali di buon augurio, ed in America, fra le razze indigene, erano collegate alle cerimonie religiose prima che gli Spagnuoli ponessero piede in quelle regioni.

Il Natale non è soltanto un’epoca di festa, ma è anche un’epoca di grandi pericoli spirituali. In Portogallo, è la sera della vigilia di S. Giovanni, il 23 giugno, che gli spiriti delle tenebre ricuperano per qualche ora la propria libertà; ma fra i contadini francesi è, invece, nella notte dal 24 al 25 dicembre che si scatena per il mondo un esercito di esseri infernali.
In quella stessa notte, invero, viene per un momento sospeso, secondo un’altra credenza, ogni male e ogni castigo dei peccati, in forza di una specie di tregua di Dio, durante il periodo della lettura dell’epistola; ciò nonostante, è appunto in quella notte che il gran nemico dell’umanità tenta ogni mezzo per traviare i fedeli e indurli al peccato, togliendo loro, con ogni sorta di stratagemmi, la via della chiesa.
Gli stregoni e le streghe usano nascondersi allora, preferibilmente, nelle stalle e nei recessi dove si tengono chiusi gli animali, ed è per questo che se ne chiudono con maggiori precauzioni le porte, e si impedisce alle donne di mettervi piede.
I bovi e gli asini sono, durante le feste natalizie, oggetto di speciale considerazione, in memoria, certamente, della loro tradizionale presenza alla nascita del Salvatore. Si sa che è in forza di quest’ultimo privilegio che il folletto, lo spirito maligno che si compiace nel tormentare le bestie, lascia in pace le due nominate specie di animali, e specialmente l’asino che porta sulla groppa la croce commemorativa della sua entrata in Grusalemme. Questa croce tiene il lutin a distanza, precisamente come, secondo la superstizione inglese, tedesca, scandinava, il caprone, l’animale intimamente connesso col culto di Thor, allontana dalle stalle le streghe ed altri spiriti maligni.
I bovi e le vacche, nella provincia di Berry, sono lautamente trattati la notte di Natale, e, in molti paesi di Francia, Germania, ed Inghilterra, si crede che in quella notte ottengano momentaneamente il dono della parola, tolta loro, secondo una leggenda francese, dopo il peccato di Eva. Durante la messa di Natale si ritiene che gli animali si inginocchino e preghino presso la mangiatoia, dopo di che, se nella stalla si trovano due giovenchi fratelli fra loro, essi cominciano a conversare.
Ma è buona regola astenersi dall’ascoltare la loro conversazione; si narra che, una volta, un bifolco che era li presso udi un giovenco domandare all’altro: «Che faremo noi domani?» Al che il compagno rispose: «Porteremo il nostro padrone al cimitero.» Il bifolco corse atterrito a narrar la cosa al padrone, e questi, irritato per il malo augurio, atterrò un forcone e corse verso la stalla per punire il profeta.
Ma aveva fatti appena pochi passi, che vacillo e cadde per non più rialzarsi. In Germania, la leggenda è un po’ diversa, ma la conclusione non è meno funesta. Il padrone degli animali volle, per curiosità, udire ciò che le sue bestie dicevano; ma avendo sentito che egli sarebbe morto ben presto, ne ebbe un tal sussulto al cuore, che di li a poco spirò.
Nel Voigtland si dice che alla vigilia di Natale si può udire, se si pone attenzione, gli animali che conversano fra loro nelle stalle; ma che, disgraziatamente, costoro non profetizzano che le sventure le quali debbono verificarsi nell’anno veniente.
A Neudorf, poi, si ritiene assolutamente che chiunque ascolti quella notte un dialogo degli animali, sia condannato a una morte sollecita; e l’insegnamento contenuto in simili superstizioni è senza dubbio questo, che nessun vantaggio si può ricavare dal voler conoscere ciò che è proibito di sapere.
Che cosa giova, infatti, di andare a incontrare i dolori inevitabili a metà di strada? L’uomo non deve essere nè più saggio nè più curioso di quel che gli conviene; nè deve cercar di conoscere i propri destini chi vuol vivere quieto e tranquillo.

Tratto da Minerva rassegna internazionale

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