CASTRAZIONE – ORIGINE, SIGNIFICATO E STORIA

DELLA CASTRAZIONE, EUNUCHISMO E CIRCONCISIONE

FR. BERGMANN – 1883

I. Oggetto e scopo del presente Memorandum. – Nel trattare l’argomento sopra indicato, ancora quasi vergine, ci proponiamo di spiegare usanze molto antiche e molto singolari, la cui origine e il cui significato sono generalmente sconosciuti. Per spiegarle, sarà necessario farne una storia, mostrando quali motivazioni le hanno originate, come si sono formate e poi trasformate, e quali interessi religiosi, economici o di altro tipo sono stati legati ad esse, per mantenerle, attraverso le loro trasformazioni, fino allo stato attuale della nostra civiltà.


(Ndr – castrazione ed evirazione a volte sono sinonimi, perciò in questo testo viene adoperato il termine castrazione, per intendere castrazione completa o nera, e il francese chátrure o châtrement per indicare ablazione bianca, o solo dei testicoli).


I. Castrazione.

  1. La castrazione nel periodo eroico-guerriero. – La castrazione primitiva consisteva nella rimozione completa dei genitali (pene e testicoli). È stata praticata per la prima volta sull’uomo e solo in seguito, per imitazione e per motivi analoghi, sugli animali.
    In quale epoca, più o meno, è nata questa operazione barbarica e a quale scopo è stata praticata? Ricordiamo che la lotta sociale o economica, prima per l’esistenza e il sostegno fisico, e poi per la soddisfazione di bisogni morali più o meno fittizi o più o meno naturali.
    Gli uomini primitivi, essendosi specializzati collateralmente da una razza animale congenere, ed essendo nati originariamente in un clima caldo e fertile, hanno continuato a lungo, per la maggior parte, la vita dei loro antenati zoologici e si sono nutriti di radici, piante e frutti forniti in abbondanza dal luogo in cui vivevano. In questo periodo di frugivorismo, è comprensibile che a nessun uomo venisse in mente di praticare la castrazione.
    Ma in seguito, le tribù che si allontanarono dalla culla primitiva dell’umanità e si diffusero in regioni più selvagge e meno produttive, furono costrette a vivere cacciando animali selvatici non ancora addomesticati, e persino cacciando uomini a scopo antropofago. In questo periodo barbarico di creofagia (cibo carnivoro) e antropofagia, non c’era assolutamente motivo di praticare la castrazione. Ma la caccia alle bestie e agli uomini, per nutrirsi della loro carne, portò poi al periodo eroico-guerriero, quando gli uomini, non vivendo ancora del prodotto del loro lavoro, vivevano a spese dei loro vicini con la guerra, che all’inizio era solo furto e rapina.
    È stato attraverso la guerra che si è affermata prima la proprietà individuale, poi il lavoro familiare imposto agli schiavi, originariamente prigionieri di guerra, e infine la subordinazione sociale dei deboli sconfitti, sotto il dominio dei vincitori. È solo in questo periodo eroico-guerriero che la castrazione ha potuto nascere.
    Quali furono i motivi che spinsero il vincitore a praticare la castrazione sui vinti? Ricordiamo che ciò che distingue l’uomo dall’animale è che, in qualsiasi grado di barbarie si trovi, è in grado di associare a tutto ciò che compie un sentimento di dovere, o una nozione di gloria, o un’idea di perfezione, cosicché i suoi istinti più brutali si spiritualizzano sempre di più, ed entrano nel dominio della consuetudine approvata, o di un’idea più o meno morale.
    Sebbene in origine la guerra non fosse altro che saccheggio e forza bruta, tuttavvia era comunque prima di tutto un’esigenza sociale, e di conseguenza un’occupazione naturale. Allora, per avere successo in guerra, bisognava avere il vantaggio della forza fisica, del coraggio e dell’intelligenza dell’astuzia, per superare ostacoli e resistenze.
    La forza, il coraggio e l’astuzia in guerra erano qualità personali e costituivano, secondo il giudizio dell’epoca, un vantaggio prezioso. A questo vantaggio era naturalmente legata la nozione di perfezione, valore e virtù, e questa perfezione o virtù dava al guerriero l’ammirazione del pubblico e un ascendente indiscusso.
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  2. La mascolinità ha il suo simbolo. – Poiché la guerra offensiva e difensiva richiedeva forza fisica e coraggio, che sono gli attributi più ammirati degli uomini che delle donne, la mascolinità era la causa primaria che costituiva il predominio morale e sociale degli uomini sulle donne.
    Nelle nozioni e nelle lingue del tempo, guerriero, difensore e protettore (gr. arès, lat. vir; got. vairs) erano generalmente sinonimi di uomo o maschio; maschio (héb. geber) era sinonimo di forte (héb. gibor), e femmina era sinonimo di molle, (lat. mulier) debole e codardo.
    Nel simbolismo naturale ma rozzo dell’antichità, la mascolinità, il coraggio e l’energia guerriera erano rappresentati dal membro maschile (sansc. lingam), mentre la natura femminile, la debolezza e la codardia guerriera erano simboleggiate dai genitali della donna (sansc. yoni).
    Per questo motivo la tradizione riporta che il grande conquistatore egiziano Sesostri fece erigere nelle regioni sottomesse a volte erigeva stele o cippi con il segno ‘maschio’, per dire che gli abitanti, pur sconfitti, avevano opposto una resistenza virile. A volte le stele recano il segno della donna, per dire che i vinti si comportavano debolmente come le donne. (Erod. II, 102, Diod. Sic. I, 55).
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  3. Il Maestro vittorioso e lo schiavo sconfitto. – Nel periodo eroico-guerriero lo scopo e la conseguenza della guerra non era più quello di nutrirsi della loro carne; il guerriero voleva solo impadronirsi dei mezzi di sussistenza dei vinti, e anche fare prigionieri di guerra i vinti sopravvissuti, al fine di sfruttare, per il proprio profitto, la loro persona e il loro lavoro, o di renderli suoi schiavi.
    La guerra fu la causa principale della distinzione sociale introdotta tra i padroni vincitori e gli schiavi conquistati. In virtù del diritto e della gloria generalmente riconosciuti al più forte, il guerriero barbaro giustificava facilmente, ai suoi occhi, la violenza esercitata sullo schiavo dicendo a se stesso che il sopravvissuto sconfitto, a causa della sua naturale debolezza, non meritava di appartenere a se stesso, né di avere una proprietà personale, che era di natura inferiore a quella del conquistatore, che era, come la donna, privo di coraggio, e che doveva, come lei, diventare proprietà del suo padrone.
    Da quanto detto sopra, possiamo ora capire perché, durante il periodo bellico, al guerriero vittorioso deve essere venuta l’idea di tagliare il membro virile del vinto. Infatti, i vinti essendosi vergognato di essere debole come una donna, il vincitore gli fece l’affronto di renderlo fisicamente simile a una donna, privandolo del suo membro virile.
    Poi, rendendolo, attraverso la castrazione, simile a una donna, il conquistatore stabiliva il suo diritto di considerare il conquistato come suo schiavo. È così che l’essere castrati diventato prima sinonimo di essere sconfitto, e poi, come risultato della sconfitta, sinonimo di essere schiavo di un padrone vittorioso.
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  4. Castrazione come conseguenza della sconfitta. – Nel periodo della guerra-eroica la vittoria non era solo un guadagno materiale, in quanto procurava il possesso della persona e della proprietà del vinto; era anche una gloria individuale, come prova della forza, del coraggio e dell’intelligenza del vincitore. Il vincitore, quindi, era solito portare via dal campo di battaglia, come prova gloriosa della sua vittoria e come trofeo, una parte mozzata del corpo del vinto, il corpo del vinto, o la testa, o il cuoio capelluto, o il braccio, o la mano, o la mascella inferiore, ecc. Il trofeo più bello era togliergli, dopo averlo tagliato, il membro virile. Esempi di castrazione dei vinti in questo modo si trovano nell’alta antichità.
    Ma poiché sono molto antiche, non possono essere molto numerose, innanzitutto perché il loro ricordo si è affievolito nella storia, e perché, in seguito, come vedremo più avanti, la castrazione o l’ablazione completa del membro è stata sostituita dalla castrazione o dall’ablazione dei testicoli, e che alla castrazione, o all’eunucoismo, è stata sostituita, ancora più tardi, la circoncisione o l’ablazione del prepuzio.
    Esempi di castrazione in seguito a una sconfitta si trovano nella mitologia e nelle antiche tradizioni popolari. Cominciamo con alcuni esempi tratti dalla mitologia. Un antico mito egizio, secondo cui il Genio Malvagio (Tiu-fou egiziano; gr. Tifon) sconfisse il fratello Genio Buono (Useri, gr. Osiride), afferma che dopo averlo sconfitto, Tifone prese il membro virile di Osiride come trofeo, e distribuì le altre parti del corpo del vinto ai suoi compagni di battaglia (Diod. I, 21).
    Un mito frigio, secondo cui Dionusos, il dio del sole straniero, avrebbe sconfitto l’eroe nazionale Agdestis (Abitante del Monte o della Roccia Agdus), afferma che, in seguito alla sua vittoria, Dionusos avrebbe tagliato il membro virile dello sconfitto (Arnob. Adversus Gentiles, V).
    Un altro mito frigio racconta che Attis (Atys), figlio di Agdestis, e suo suocero furono sconfitti e di conseguenza privati della loro virilità. Un mito greco, per dire che il Cielo (Cerchio Superiore o Kronos,
    (cfr. chronos, cerchio del tempo; lat. corona) riuscì a sconfiggere Oceano (sansc. Varounas cerchio inferiore, gr. Ouranos) afferma che Crono inseguì il padre Ouranos, dopo averlo sconfitto (Apollod. Bibl. I, 1).
    Un mito dei Graïkes d’Italia riporta anche che Saturno (p. Sæviturnus, aeternus, tempo eterno; cfr. copto sav duration; got. saivs duration, lat. ætas p. ævitats age, saeculum generation. century) fu sconfitto e di conseguenza castrato da suo figlio Giove (FatherSky).
    Il segno della schiavitù è dimostrato, per i tempi meno antichi, da monumenti storici positivi. I conquistatori egiziani facevano tagliare ai vinti o la mano destra che aveva vanamente impugnato le armi, o l’arto virile che i vinti, ridotti in schiavitù, non erano più degni di portare.
    A questo proposito Diodoro di Sicilia (Bibl. hist. I cap. 48) riferisce, secondo il racconto dei viaggiatori greci, che nelle sculture parietali del monumento di Osymandyas erano raffigurati prigionieri di guerra, il cui numero era registrato dagli scribi reali, ai quali venivano tagliate le mani o le membra virili. Per nostra fortuna questa scultura esiste ancora oggi; è stata riprodotta su una lastra delle sculture di Tebe nell’atlante della Descrizione dell’Egitto (Antichità, v. II, pl. 11, num. 42 87).
    Lì vediamo prigionieri di guerra stranieri, alcuni legati con corde, altri che battono le mani sopra la testa in segno di disperazione; avanzano verso gli scribi reali e vediamo, in fondo al piatto, in un angolo, un mucchio di mani e membra virili mozzate, risultato dell’amputazione e dell’asportazione dell’arto che i vinti hanno dovuto subire in seguito alla sconfitta e in qualità di schiavi.
    L’usanza barbara di tagliare e portare via le membra virili come prove e trofei di vittoria esisteva probabilmente anche, ad imitazione degli Egiziani, presso gli Ebrei.
    Si dice infatti (1 Sam 18,25) che Davide, per dimostrare di essere degno di diventare genero di Saul, gli portò duecento membri virili (hebr. orloth) che aveva tagliato da altrettanti Filistei sconfitti e uccisi.
    La prova che orloth qui non significa, come tutte le esigenze dicono, prepuzi, ma membra prepuziate, è: 1) che i guerrieri avevano le loro lame per tagliare le membra virili, ma non pietre o coltelli per tagliare i prepuzi; 2) che i guerrieri ebrei, considerando la circoncisione come un onore nazionale, difficilmente pensavano di applicarla ai nemici non circoncisi; 3) che, secondo Ibn Batuta (ndr), la circoncisione non è un’operazione di guerra. Lee, p. 17), i Berberi portano al futuro suocero, come Davide, i membri.
    Questa stessa pratica barbarica è praticata ancora oggi dagli abissini, dai galla, dai negri vicini alla Guinea e dai berberi (Liebrecht, Zur Volkskunde p. 95 504).
    La storia dell’umanità dimostra, con numerosi esempi, che antiche usanze barbariche possono riprodursi improvvisamente anche tra i popoli di una civiltà molto più avanzata.
    Così la tradizione siciliana, per metà storica e per metà leggendaria, racconta che dopo i Vespri siciliani del 1282, i pescatori che esportavano tonno salato in Provenza inviarono a Palermo e a Messina barili pieni delle membra mozzate dei francesi uccisi nei Vespri (cfr. G. Pitrė, Il Vespro Siciliano; Salomone-Marino, Lu Vespiru Sicilianu p. 20; Leggende popolari Siciliane p. 13).
    Al di fuori della guerra, la castrazione o l’asportazione completa del membro è stata generalmente sostituita, tra i vari popoli, dalla châtrement.
    Ancora oggi viene eccezionalmente praticata su alcuni schiavi africani che, per questo motivo, vengono venduti a un prezzo più alto rispetto ai semplici eunuchi, perché la castrazione causa la morte di un numero maggiore di individui rispetto al châtrement.
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  5. Origine del nome castrazione. È comprensibile che la castrazione praticata sull’uomo, come risultato della sconfitta e come segno di schiavitù, non avesse motivo di essere applicata agli animali. Per ridurre gli animali alla domesticità e addomesticarli, era sufficiente sostituire la castrazione con la chátrure, di cui parleremo più avanti.
    Ma poiché nell’antichità la la chátrure,degli animali era praticata molto più spesso della castrazione, si riteneva che la châtrement degli uomini fosse un’imitazione successiva della castrazione degli animali, mentre in realtà la châtrure era solo una modifica minore della castrazione e del châtrement.
    Le tradizioni popolari suppongono che gli uomini abbiano imparato dagli animali a praticare la castrazione e la castrazione. Così una tradizione vuole che la iena abbia l’abitudine di strappare con i denti i genitali dei piccoli maschi della sua specie, per paura che questi maschi, in seguito, le facciano concorrenza nelle sue relazioni amorose.
    Un’altra credenza, ancora più diffusa nell’antichità, affermava che il castoro avesse dato agli uomini l’idea di praticare la castrazione. È così che deve essersi formata questa tradizione. Il nome castoro deriva in greco dal verbo Kazo (disporre, costruire; Kosmos disposizione, ornamento, mondo; lat. casa stabilita; it. casa; castrum stabilimento, accampamento; castus disposto, casto, contrapposto a disordinato, dissoluto; castigare disporre, chátier).
    Dalla commistione del verbo greco desiderativo Kastorio (desiderare di costruire) e del verbo latino Kasturio (volere costruire) si è formato il nome Kastor (amare costruire). Il significato di questo nome corrisponde al latino fiber (per faber costruttore), allo slavo bobr (per bour, all. bauer costruttore) e ha dato origine al basso latino castitiator (architetto) e al francese antico casticheur (costruttore). Il castoro fornisce una sostanza medicinale, chiamata castoreum, che viene secreta da due follicoli ai lati delle parti sessuali e che gli antichi ritenevano essere i testicoli del castoro.
    Gli arabi che ricevettero questa sostanza medicinale attraverso il Mar Indiano e il Golfo Persico la chiamarono testicoli d’oltremare (ar. chuzyalu’-l-bahhr) e i mercanti, senza dubbio per aumentare il prezzo di questo articolo, raccontarono alla gente la favola secondo il quale il castoro del Ponte, per sfuggire alla continuazione, fece abbandonare ai cacciatori i suoi testicoli, mentre si tagliava interamente il membro genitale con i suoi incisivi. Secondo questa tradizione popolare, i Latini formavano da castorare (agire come il castoro, che castra) il verbo castrare (castrare), che designava, tra loro, non solo la vera e propria castrazione o l’ablazione completa del membro maschile, ma designava ancora, generalmente, ciò che designeremo più precisamente con due termini, con il termine di castrazione (rimozione dei testicoli) o eunuchismo praticato sugli uomini, e con il termine di castrure, che designa la castrazione operata sugli animali.

(Strasbourg).
F. BERGMANN.

Tratto da Google Libri
Archivio per lo studio delle tradizioni popolari, Volume 2
a cura di Giuseppe Pitrè, Salvatore Salomone-Marino