Arsenale di Venezia – 1848

Di L. C.

Di quale importanza non era mai l’arsenale in Venezia quando la repubblica si estendeva nei mari e nelle contrade orientali coi traffici e colle conquiste? Il cantiere ove si fabbricano le navi era come l’officina della sua prosperità: era l’arnia delle api che andavano raccogliendo i tesori per tutta la terra.
Molti cantieri, piuttosto squadri e squari, furono sulle prime collocati in vari siti delle isole, che andavano allargando la città novella, e ve n’erano alle spiaggie di Cannaregio, a Sant’Alvise, a Castelforte, alla Santa Trinità, alla punta dei Lovi, in quel terreno ove sono oggi i giardini reali.
Infine dal settimo secolo, secondo le cronache, si fabbricavano in quei luoghi navigli mercantili e da guerra a simiglianza di quelli della greca marineria, che servivano da modello ai Veneziani.
Cominciò tosto a coltivarsi l’architettura navale con ogni ardore poiché gli abitanti della laguna volendo crescere non dovevano fidare che nelle navi le quali procacciavano a loro la sussistenza come il vomere all’agricoltore. Si sa che nell’anno 837, quando già da cinque lustri e più si era fissata la sede del governo a Rialto, si costrussero due grossi vascelli mai più veduti, detti galandrie, con castello, albero e palamento.
Si vide tosto come la navigazione fosse in fiore presso i Veneziani, che con i viaggi e scientifiche applicazioni ampliarono l’astronomia e la geografia che sono appunto le basi di quell’arte che insegna la scoperta di terre e di popoli, e guida il nocchiero nell’immensità dei mari in cerca dell’industria e della ricchezza.

Era intanto necessario per l’esito di quell’impresa lo stabilire in un sol luogo l’opera di molti lavoratori sparsa nei cantieri, onde nel principio del secolo XI si vuole che fosse fondato in Venezia l’arsenale così chiamato secondo il Muratori dall’ arabo dār aṣ-ṣinā‘a ‘
L’arsenale di Venezia è all’oriente della città, nella parte più opportuna per lo scioglimento delle vele, ed è posto sulle antiche isole Gemelle ove si sacrificava ai numi gemelli Castore e Polluce. E’ lo stesso luogo cui le cronache danno il nome di Adrio o Ladrio, che fu sulle prime un aggregato di gore e piscine con bassi terreni all’intorno. Abbracciava lo spazio che oggi si chiama Arsenale vecchio. Esso venne ben presto circondato d’alte muraglie pinnate con torri qual ben munita fortezza.
Per conoscere come si estendesse la potenza marittima dei Veneziani basta por mente alle loro relazioni coll’Oriente e alla conquista ch’essi fecero insieme coi Francesi di Costantinopoli ove sul seggio del greco imperadore collocarono Baldovino di Fiandra. I navigli di commercio e di guerra erano egualmente necessari ai destini della repubblica, perciò dovevano sempre più fervere i lavori dell’arsenale.
Questo, circa l’anno 1304, venne ingrandito con alcuni terreni paludosi, venduti dalla famiglia Molin al governo sotto il doge Pietro Gradenigo. Simile aggiunta di un’estensione forse tripla del vecchio arsenale fu chiusa anch’essa in una cinta di muraglia. Ivi si pose il canevo, ossia emporio, o laboratorio pel canape indispensabile per costruire gl’istrumenti della navigazione alla parte di tramontana v’era il sito acconcio per varare le navi. Si provvide ad officine, fonderie, magazzini di remi, dando maggior sviluppo ad ogni genere di lavoro in corrispondenza dei bisogni.
La parte nuova dell’arsenale si chiamò Tana dalla città che giace in riva al Tanai, donde Venezia traeva principalmente il canape.

Sarebbe lungo il descrivere quante officine ed edifizii ingrandirono il vecchio arsenale, ma non lascieremo di notare che vi furono anche polveriere, ove si lavorava la polvere che fu nelle prime imprese con tanto successo adoperata dai Veneziani.
Il primo ingrandimento dell’arsenale avvenne nella stessa epoca della serrata del maggior consiglio.
Il secondo ingrandimento dell’arsenale sotto il pacifico dogado di Giovanni Soranzo si estese al lago S. Daniele, ceduto dai monaci alla repubblica. Un canale detto Rivo della casa nuova congiunse il vecchio arsenale col lago, e si fecero a mano a mano tanti cambiamenti ed aggiunte, che la nuova darsena acquistò l’aspetto il più pittoresco.
Il lato occidentale poi venne abbellito negli anni 1544, 1547 col disegno del Sammichieli, che architettò un ampio locale destinato a conservare il Bucintoro, il trono dei mari, ove siedea il doge quando si sposava l’Adriatico, e che meritava un pomposo ricovero nell’arsenale. Disfatto il Bucintoro le barche dorate dell’I. R. certe profanarono il loco, finchè la libera Venezia non le ha fracassate.
Nell’anno 1473 il senato, essendo doge Niccolò Marcello, diede principio al terzo ingrandimento dell’arsenale e sorse l’arsenale nuovissimo. Venne cinto di muraglie e di torri uno spazio di paludi e melme interrotte da punte di terra e da barene elevate fra cui s’ingolfavano le acque del canal Biria: e quello spazio era al settentrione del lago S. Daniele. Abbisognarono parecchi anni di lavoro per gl’imbonimenti e interramenti, dopo che s’innalzarono i fabbricati, si fecero le volte o cantieri coperti, e le muraglie s’innalzarono; i recinti si ampliarono, le officine si moltiplicarono in proporzione della navigazione e delle conquiste dei Veneziani.

Le navi di Venezia avevano espugnato costantinopoli girato le rive del Ponto Eusino, della palude meotide, dell’Arcipelago, del Mediterraneo, dell’Adriatico, è stabilito per tutto emporii, mercati, consolati, relazioni con popoli e governanti. Il professor di letture greche Vettor Fausto insegnò il modo di formare la quinguereme degli antichi.
Il secolo XVI, epoca del terzo ingrandimento dell’arsenale, è ricordato per la famosa lega di Cambrai e per la vittoria della repubblica, e quindi per lo splendor delle belle arti di cui di ornò Venezia come si volesse vingere di fiori per la gioia di essere uscita salva e vittoriosa dal pericolo tremendo, che Giulio II e i potentati nemici le apparecchiarono per la sua rovina.
Sotto il dogado di Pietro Lando, quando venne istituito il supremo tribunale degl’inquisitori di Stato, si ampliò l’arsenale col riparto alle galeazze. Questo nuovo spazio confinava a tramontana colla laguna. A levante l’arsenale nuovissimo, a mezzogiorno l’ortaglia annessa al convento della Celestia, ed a ponente alcuni terreni ne’dintorni di San Francesco. Vi si fece la solita guarnitura di muraglie e torri, che separò lo spazio dalle parti contigue, e fu posto in comunicazione coll’arsenale nuovissimo per sotto la torre di San Cristoforo. Le galeazze che diedero il nome alla nuova aggiunta dell’arsenale erano navi veneziane introdotte in quei tempi nelle fazioni di guerra.
Nell’anno 1565 si comprese una parte dell’ortaglia appartenente al convento della Celestia, e si eresse una muraglia per contenerla e difenderla. Si aprì poi un libero accesso marittimo alla vasca delle galeazze, passando dalla darsena a vecchio arsenale. Sul lembo del canale delle galeazze viene alla metà del secolo XVIII eretto il grandioso fabbricato per gli squadratori col disegno dell’architetto Giuseppe Scalfarlotto.

Era tanto a cuore della repubblica l’arsenale, che negli atti pubblici lo chiamava Nostra casa. Fu sempre intento di lei l’isolarlo dal restante della città, come si vede ponendo mente al rivo della Tana a quello di San Daniele, all’altro detto delle Vergini e finalmente all’ultimo che dicesi della Guerra, e conserva la tradizione delle spose veneziane rapite dai Triestini.
Nell’anno 1795 si ridusse il rivo della Madonna ad una capacità sufficiente per ricevere ogni grosso naviglio costruito secondo l’arte più recente.
Noi accennammo di volo quanto si fece dalla repubblica per il suo stabilimento marittimo e militare, nel corso di 693 anni, cioè dal principio della grandezza di Venezia fino alla sua caduta.
Dopo quell’epoca si fece qualche altra aggiunta per opera dello straniero, ma come la repubblica era morta e Venezia non possedeva più l’impero dei mari, ogn’ingrandimento non fu di alcuna importanza per la città perchè serviva ai disegni di chi la signoreggiava.
Nell’anno 1810 si aggiunse all’arsenale tutta l’ortaglia, parte del monastero e la chiesa della Celestia ov’é sepolto Carlo Zeno compagno di Vittore Pisani. Si volle migliorar l’arsenale coll’atterramento dei nove cantieri da vascello per consiglio di Forfait, e si fece assai male.
Venne fatta ancora qualche modificazione all’arsenale colla parte di orticello in fianco della chiesa della Celestia e col Rivo-Sacca; e finalmente con una nuova muraglia di cinta eretta nel 1828, per la quale oggi l’arsenale è affatto separato dal restante di Venezia.

Tocchiamo ora dell’aspetto dell’arsenale e delle cose principali che contiene: Un arco di trionfo sormontato da un attico collo stemma della repubblica forma la porta d’ingresso: la materia è di pietra istriana: greco è il lavoro delle quattro colonne: l’arco che chiude la porta con Santa Giustina nel pinacolo fu eretto dopo la vittoria delle Curzolari. L’atrio della porta è scoperto con pilastri ornati di statue, e fu costrutto nel 1682 nella decadenza dell’arte come l’opera l’attesta. Fuori dell’atrio ai lati sono quattro leoni di marmo pentelico, due dei quali furono come trofei recati dal Pireo di Atene da Francesco Morosini il Peloponnesiaco nel 1687.

Entrando si giunge alla piazza cui Francesco I osò porre il suo nome. Avvi cinque fabbricati nel fondo con un solo prospetto destinati a varie officine, notevoli per grandi fornelli e machine per far cannoni.
Alla destra delle fonderie si trova la Tana ov’é il lavorio delle corde, architettura di Antonio da Ponte, con ampie gallerie e tre spaziose navate distinte da due ordini di colonne di stile toscano.
Uscendo dalla Tana si vede il così detto stradale di campagna con officine di artiglierie, e tornando indietro a destra magazzini e laboratori ancore, di vetri, di mantici, di trombe d’acqua ecc. ecc.
A destra in quel punto s’apre la darsena d’arsenal nuovo, e a sinistra la fabbrica degli uffizii con bella architettura degna di Sammichieli.
Passati due ponti s’incontra il deposito detto Bucintoro, superbo edilizio con dorico stile a bozze scabre con attico in mezzo a cui siede scolpita una donna sopra due leoni.

Nell’interno si conserva come reliquia del Bucintoro il tronco dorato dell’albero. Oltre il ponte delle seghe si veggono quattro marmorei piani inclinati per la costruzione dei vascelli, opera del goveno italico: quindi molti cantieri, la darsena di arsenal nuovo, e dopo un piazzale dodici cantieri da vascello, ed altri, e poi le darsene di Novissima grande, e di Novissimetta; e passato il riparto Nappe e il riparto Novissimetta si monta all’ampia e ben decorata sala dei modelli, eseguita nel 1778 secondo l’idea del Maffioletti professore di matematica ed architettura navale. Ivi si conservano i modelli di famosi navigli.
Discesi da quella sala si visita il fabbricato degli squadratori, il riparto Galeazza col bell’edifizio di Vincenzo Scamozzi, il ponte del molo limite dell’antico Arsanà rammentato dal Dante, molte officine, fra’quali quelle d’intagli, di ornamenti, di pittura, e delle puleggie che formano il principale capo di lavoro.
Si giunge finalmente alle sale d’armi. La prima fu acconciata nel 1825 per raccogliere gli avanzi delle depredazioni del 1797. Vi sono riposte armature memorabili per i personaggi e per la storia come quella di Carlo Zeno. Nella sala in piano superiore è il monumento di Vittore Pisani con varii strumenti di guerra, come il mortaro a bomba, primo saggio d’artiglieria usato nell’espugnazione di Chioggia: le armi di Enrico IV, un elmo e celata di bronzo creduti di Attila, vessilli di turchi, ed altre numerose memorie del tempo in cui la repubblica fu grande. Poste in un arsenale che non ha più moto, sono come i gloriosi emblemi sul sepolcro di un gran personaggio.
Il risorgimento di Venezia sta nell’arsenale dell’artiglieria di terra, ove in sei vaste sale erano collocate armi da agguerrire un esercito. Ed ivi la risorta Venezia si munì per impedire che l’Austriaco tornasse a metterle il giogo sul collo.
Quando la fortuna avrà spirato un soffio di vita in quell’arsenale toernarà a fiorir l’opera marittima e Venezia avrà di nuovo l’impeto dell’Adriatico tributario dell’Italia.

L. C.


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Tratto Da: Il Mondo Illustrato – 1848