Miti di Kutkh Coriachi e Itelmen

I Coriachi, (Koryak) sono la più numerosa popolazione di nativi della Kamchatka, essi chiamano “casa” la parte settentrionale della loro penisola, Kamchatka.
Il nome Koryak, si traduce letteralmente con “popolo delle renne”, la parola rende chiaramente l’idea con quali risorse essi vivono.
I Coriachi sono allevatori di renne, l’allevamento dei cervi appaga tutte le loro necessità. Le persone utilizzano le risorse provenienti dal cervo in tutto e per tutto, dai vestiti alla costruzione dei loro ripari.

Mappa

La figura centrale per i miti dei Koryak è kutkh, il grande dio corvo. Le credenze Koryak descrivono kutkh, il Grande Corvo, come il primo uomo, padre e protettore dei Koryak.
Quasi ogni mito o storia Koryak si occupa della vita dei viaggi o delle avventure di kutkh. Il Koryak crede che la creazione è iniziata quando il grande corvo piombò sul mare e lasciò cadere una piuma, creando così la Kamchatka.
Una volta stabilito in terra creò gli uomini ad abitare il suo creato. Dopo qualche tempo kutkh creò una donna, ella ebbe il suo posto sulla terra (per gli uomini) per continuare la creazione. Era molto bella e tutti gli uomini si innamorarono di lei, desiderandone il suo affetto profondo.
Alla loro morte gli uomini diventarono montagne, trasformando la terra in origine piatta in montagna. Le montagne si trasformarono in vulcani, come il cuore degli uomini dentro ciascuna montagna arde ancora a causa dell’amore ardente per la donna.
È il cuore di questi uomini originali che hanno creato le montagne, che hanno formato la penisola in quella che la vediamo ancor oggi.

La kamchatka è una terra di ghiaccio e di vulcani, almeno 160 di cui 29 attivi. È riconosciuta come patrimonio naturale dall’UNESCO.

Molte sono leggende del corvo Kutkn e molte sono semplici varianti.

Ecco una leggenda Chukchi di kutkh e i topi.

Il grande e potente Raven kutkh volava attraverso il cosmo. Stanco dal volo costante rigurgitò la Terra dal suo intestino, trasformatosi poi in un vecchio, si posò sul terreno vuoto per riposare.
Dai suoi primi passi sul suolo apparvero i primi topi. Curiosi, giocosi e senza paura, entrarono nel naso di kutkh mentre dormiva. La furia del successivo starnuto inarcò la terra e creò le montagne e le valli. I tentativi ulteriori di debellarli portarono alla formazione del mare.
Ulteriori fastidi portarono ad una grande battaglia tra le forze della neve e del fuoco che crearono le stagioni. Così è il mondo cui noi lo conosciamo dato dall’interazione dinamica tra il potente kutkh e la piccola ma numerosa comunità dei topi.

Un’altra leggenda Koriak


Il mitico corvo, o big- raven dei Koriak appare come il promotore dell’universo. Egli è il primo uomo e nello stesso tempo l’antenato dei Koriak.
Come egli apparve sulla terra non è abbastanza chiaro. Secondo alcuni racconti, l’Essere Supremo lo creò, secondo altri, egli creò se stesso, mentre una terza versione afferma che è stato lasciato dai suoi genitori quando era piuttosto piccolo, e si affermò da solo in uomo potente. Sua moglie è a volte considerata la figlia del Supremo, a volte la figlia del dio del mare, che ha l’aspetto di ragno-granchio.

Al momento del Big-Raven, o durante l’era mitologica, tutti gli oggetti sulla Terra potevano trasformarsi in uomini e viceversa. Allora non c’erano veri uomini e big-Raven viveva con gli animali e con oggetti apparentemente inanimati, o fenomeni della natura come se fossero uomini.
Era in grado di trasformarsi in un corvo solo mettendosi sopra uno strato piumato di corvo e di riprendere la forma di uomo a piacimento. I suoi figli sono stati dati in matrimonio agli animali, come ad esempio, foche, cani, lupi, topi; o ai fenomeni della natura, come il vento, (wind-man) la nuvola (Cloud-man) o a corpi luminosi come la luna, Moon-man, o la stella, Star-man, od oggetti inanimati, come pietre, le Stone-men, o agli alberi, bastoni o piante.
Gli uomini sono nati da queste unioni. Quando Big-Raven non ci fu più, anche la trasformazione di oggetti da una forma all’altra cessò. E un confine chiaro distingue la separazione degli uomini dalle altre forme. Big-Raven lasciò la razza umana improvvisamente, perché si dice, essi non avrebbero seguito i suoi insegnamenti, e non si sa più nulla di lui.

Internet Archive

Nella penisola vivono alcune migliaia di individui di popolazioni autoctone, appartenenti alle etnie Itelmen, Koriak, Chukchis, Even e Aleutini.
Gli Itelmen sono una delle popolazioni della penisola meno numerose, ma uno dei più antichi popoli del Nord.
Il primo ritrovamento archeologico per la presenza Itelmen sulla penisola di Kamchatka è di 5200 anni!
Gli Itelmen si sono accasati nella punta meridionale della penisola, il Capo Lopatka.

Una vecchia leggenda Itelmen tramandata oralmente della creazione della terra chiamata Kamchatka.

Il grande dio degli Itelmen chiamato Kutkh (as Raven ovvero il corvo), si tuffò nel mare e con i suoi artigli ne afferrò il fondo e lo tirò su, quando la terra emerse lasciò andare la presa per cui si formarono montagne e vulcani, se la terra poi scivolava nell’acqua, egli di nuovo la faceva riemergere.
Ancora oggi essa è tremolante e in fase di assestamento. Quando il terreno fu sollevato i popoli potevano facilmente l’un l’altro passare in terraferma, potendo rimanere a guardare le altre terre create dal Kukth. Quando però la terra scivolava di nuovo sotto l’acqua molta gente che aveva lasciato non potendo più ritornare, rimase nelle altre terre.

Ed ancora dal sito: ansipra.npolar.no

La leggenda ha trovato una testimonianza scientifica solo nel XX° secolo quando dei ricercatori dell’Isituto di Vulcanologia trovarono sul fondo del mare di Okhotsk degli strati di torba che provano il fatto che il quel posto c’era la terraferma non molto tempo fa.
Inoltre provano insieme con altri fatti che la colonizzazione delle isole Curili, le isole Aleutine e in America ha avuto origine dalla Kamchatka e Chukotka, giacché i popoli che vi abitano hanno molte tradizioni, pratiche di sussistenza e modi di vita simili.
Itelmen significa “vivere qui”. Gli Itelmen nativi hanno una credenza religiosa composta da molti dèi per rappresentare la loro creazione, la vita e la morte. Gli Itelmen credono che tutti i luoghi pericolosi, come i vulcani, le sorgenti termali, le foreste, l’acqua, e molti altri manufatti, siano abitati da demoni, di cui hanno paura e rispetto più dei loro dei.
Gli dei spiegano solo la loro esistenza; sono i demoni che abitano con i vulcani che governano la loro vita. Le eruzioni vulcaniche si spiegano con la convinzione che i demoni di montagna, chiamati gomuls o Kamuli, vivevano di pesce. I demoni volano giù dalle cime delle montagne di notte per andare prendere in mare pesci e balene per poi cucinarli e mangiarli nelle loro dimore. Questo spiega il motivo per cui i vulcani illuminano la notte.
Gli Itelmen sono molto timorosi dei demoni di montagna. Essi non salgono le cime delle montagne in quanto si ritiene che i falsipiani siano un deposito di pesce e ossa di balena. Se essi (gli itelmen) si avvicinassero troppo alla parte superiore, i demoni esploderebbero dalla montagna. Gli Itelmen pagano il rispetto da parte dei demoni sacrificando cibo, lanciando pezzi di carne sulle montagne, tutto questo al fine di contrattare maggior sicurezza.
Si ritiene che i sacrifici non mancheranno di avere efficacia nel tenere i demoni, o “eruzioni”, ottenendo in cambio sicurezza per i danni alle persone che potevano procurare durante i loro raid notturni.
Oggi, la lingua Itelmen è via di estinzione.
L’esploratore russo ed etnografo di Kamchatka Stepan Krasheninnikov (1711-1755) nel suo rapporto sugli Itelmen di kutkh annotò:
Essi non offrono omaggi a lui (kutkh – il corvo) e non chiedono mai alcun favore; si parla di lui solo con scherno. Raccontano storie così indecenti che sarei in imbarazzo a ripeterle. Lo rimproverano per aver fatto troppe montagne, dirupi, scogli, banchi di sabbia e fiumi rapidi, per aver causato temporali e le tempeste che spesso li danneggiano. In inverno, quando essi percorrono verso l’alto o verso il basso le montagne, lo coprono d’insulti e lo maledicono con imprecazioni.

Essi si comportano allo stesso modo quando si trovano in altre situazioni difficili o pericolosi.

Kutkh

Raven e sua nonna un racconto dal popolo degli aleutini

Dal sito Native Languages of the Americas

Nella loro casa natale (barrabara) alla fine di un grande villaggio, vivevano una vecchia nonna con il nipote, un corvo. I due abitavano in disparte dagli altri abitanti del villaggio perché erano malvisti. Quando gli uomini tornavano dalla pesca del merluzzo, il corvo andava a mendicare un po’ di cibo, ma essi non gli diedero mai niente del loro pescato. Quando tutti lasciavano la spiaggia, il corvo riusciva a raccogliere qualsiasi residuo, anche i pesci malati.
Per mezzo di questi il corvo imperiale e sua nonna riuscivano a vivere. Un inverno fu molto freddo tanto che la caccia era impossibile, il cibo divenne così scarso e il villaggio era vicino alla fame. Anche il loro capo non ne aveva più molto. Così il capo chiamò tutta la sua gente e li esortò ad utilizzare ogni sforzo per procurare cibo a sufficienza per tutti, altrimenti sarebbero morti di fame.
Il capo poi annunciò che avrebbe voluto dare una sposa al suo figlio, e che sarebbe stata scelta fra le ragazze del villaggio. Tutte le ragazze si agitarono per l’emozione dell’occasione e si vestirono con i loro migliori costumi e gioielli.
Per un breve periodo la fame fu dimenticata, allineate che furono le ragazze furono giudicate dal loro capo, che scelse la più bella (giusta) della fiera per suo figlio. Una festa fu data dal capo dopo  il matrimonio.
Ma subito dopo la fame cominciò a farsi sentire di nuovo.
Il corvo che era appollaiato in cima ad un palo della sua casa, osservò e ascoltò con attenzione tutto ciò accadde. Dopo la festa volò a casa e disse alla nonna. “Anch’io mi voglio sposare”. Lei non rispose, così il corvo andò al suo solito lavoro, a raccogliere quel cibo che poteva per la sua piccola casa. Ogni giorno volava sulla spiaggia e trovava sempre pesci o uccelli morti. Egli riusciva a raccogliere cibo più che sufficiente per due persone.
Mentre era in paese, egli osservò che la carestia era peggiorata. Così chiese al capo. “Cosa mi dai, se vi porto del cibo?” Il capo lo guardò con grande sorpresa e disse: “Avrai mia figlia maggiore per tua moglie”. Nulla avrebbe accontentato di più il corvo. Volò via in un gioioso stato d’animo e disse alla nonna, “Puliamo il Barrabara”. Fai tutto pulito, per la mia sposa. Ho intenzione di dare al capo un po’ di cibo, ed egli ha promesso di darmi sua figlia maggiore.
“Ai, Ai, Ya! Ti stai per sposare. Il tuo Barabara è troppo piccolo e troppo sporco. Dove metterai tua moglie?”.
“Caw! Caw! Caw! (verso del corvo per gracchiare) Stai tranquilla e fa quello che ti dico, fa la cintura e le torbarsar (scarpe indigene) mentre io vado a prendere la balena” esclamò con rabbia, usando in questo modo, il metodo più efficace per zittire sua nonna.
Il giorno dopo ancor prima dell’alba il corvo volò via verso il mare. In sua assenza la vecchia nonna era impegnata a fare le cose per la giovane sposa, che guardava e parlava a lei. Verso mezzogiorno videro il corvo volare verso la riva, portando una balena.
La nonna accese un gran fuoco e la giovane donna si infilò il suo parka (abito nativo) si cinse con la nuova cinghia, mise le nuove torbarsars, affilò il coltello di pietra e andò in spiaggia per incontrare il marito. Mentre si avvicinava (il corvo), chiamò; “Nonna, va in paese e parla con tutte le persone che ho portato a casa una grossa, grassa balena. Ella corse più forte che poteva e dette la buona notizia.
I mezzi-morti divennero improvvisamente vivi, alcuni affilarono i coltelli, altri si vestirono con i loro migliori abiti. Ma la maggior parte di loro corse solo com’erano con i coltelli che avevano, alla spiaggia per vedere la balena. L’improvviso successo non fu perso dal corvo, che saltò su e giù per la schiena della balena guardando la scena della carneficina.
Ogni tanto, il corvo tirava fuori un piccolo sasso da un suo sacchetto e dopo aver riflettuto lo rimetteva nella borsa. Quando il capo e alcuni suoi parenti si avvicinarono egli li scacciò. Essi dovevano essere contenti solo a guardare le persone a godere il banchetto e portare via il grasso di balene alle loro case.
La prima moglie del corvo, figlia del capo, ebbe un figlio da lui, un piccolo corvo. Lei lo aveva in braccio sulla spiaggia e camminava davanti al corvo, dove egli potesse notarla. “Qui c’è il tuo bambino, guardalo” ella diceva. Ma lui la ignorò. Lei continuò a chiamarlo diverse volte e continuò a mostrargli il bambino. Alla fine egli disse: “vieni vicino… ancora più vicino”. Ma lei non ne poteva sopportare l’odore a lungo e lo lasciò senza dire una parola.
A causa della festa avvennero dei decessi, molte persone mangiarono così tanto grasso sul posto che morirono poco dopo, il resto delle persone avevano mangiato molto e poi riempito le loro barrabas così tanto che durante la notte soffocarono. Di un intero villaggio, solo tre sono rimasti: il corvo, la sua nuova moglie, la nonna. Ivi vissero come i loro discendenti fino a questi giorni.